La compromessa immagine della Banda d’Italia

Chissà perché a molti italiani Fazio piaceva e magari continua a piacere, nonostante la gestione allegra della Banca d’Italia in questi anni. A dire di Alberto Statera, ben 4 milioni di persone l’avrebbero votato qualora si fosse buttato in politica. Prospettiva inquietante, per un personaggio dal fare un po’ viscido che però ha sempre lavato la sua immagine spacciandosi per devoto.Le ormai note intercettazioni telefoniche distruggono non solo l’immagine del Governatore e non solo quella dell’Istituzione. Già negli scorsi mesi, il comportamento sopra le righe aveva creato molta diffidenza in tutta l’Europa: a questo punto, tutti i brutti presentimenti di olandesi e spagnoli (ma anche del resto dei professionisti della finanza europea) trovano riscontro nella realtà di un personaggio che ha cercato di difendere più che l’italianità del sistema bancario (già di per sé un valore non troppo nobile) gli interessi della sua Banda.

“Tonino” ed i suoi uomini di fiducia fanno rimpiangere i Governatori del passato: non tanto i simil – Baffi & Carli che di fatto negli anni Ottanta diedero luce agli scandali antenati di quelli odierni, quanto quelli che, un secolo fa, gestivano l’Istituto con fare magari disinvolto, ma con una chiara idea di bene pubblico in mente. L’immagine dell’Italia bancaria non è mai stata troppo positiva, ma non per questo tutta la colpa era la loro: in un Paese in cui manca del tutto l’idea della public company, difficilmente il sistema finanziario può garantire il giusto equilibrio del mercato.

Nel 2005 verrebbe voglia di mandare Fazio, i suoi scugnizzi ed i suoi amici banchieri / bancari a qualche corso di formazione in più: rovinare definitivamente l’immagine già abbastanza compromessa del sistema economico italiano è stato un passo falso micidiale. Gli italiani saranno pizza, mandolino, anema e core: ma in fin dei conti sono generalmente più onesti di come vengono considerati a livello internazionale. Certo, comunicare l’onestà di una classe dirigente in questo modo non è stato un grande affare.

Se la Benetton pare l’Upim

La Benetton era ovunque, negli anni Ottanta e poi nei Novanta. Non solo in Italia, non solo in Europa. Ai quattro angoli della Terra c’era uno store, un megastore, un punto in franchising, un punto per l’underwear, un punto 012, un punto per le sole donne, un negozio Sisley. Era una presenza costante per i turisti italiani in trasferta che, inevitabilmente finivano per comprare persino a migliaia di kilometri di distanza i “soliti” capi che avrebbero ritrovato nel negozio all’angolo.

Oggi Benetton in Italia vuol dire soprattutto megastore di proprietà nelle principali zone chic italiane: vuol dire ancora maglioni prodotti in Cina con lana australiana, con la differenza che ora questo è un business model uniforme per tutte le aziende del settore. Il posizionamento del marchio è crollato mentre a livello europeo di affermavano i vari Zara, H&M e simili che, nel frattempo, sono assurti a punti fermi nell’immaginario modaiolo dal Nord al Sud Europa, Italia compresa.

Mentre la Stefanel, il rivale storico, cercava progressivamente di spostare il proprio target verso l’alto, Benetton le contrapponeva Sisley e faceva diventare i suoi negozi una sorta di Upim monomarca, con tanto di cartelli “A solo 19.90 Euro!” nelle vetrine e con una strategia di prezzo delirante. La virata da bottegone di Benetton lo si può ammirare (si fa per dire) in questi giorni tra San Babila ed il Duomo di Milano: i negozi Benetton e Sisley sono stati ricoperti di carta gialla con scritte in rosso a proposito degli sconti al 70% e dei prezzi a partire da 1 Euro (nessuno ha capito riferiti a cosa, tra l’altro).

La famiglia Benetton, inutile nasconderlo, è ormai presa da tutt’altro tipo di affari, dalla ristorazione alle telecomunicazioni. Sul sito del Benetton Group (la Capogruppo che si occupa di abbigliamento) con coraggio è stato presentato uno specchietto che riassume il crollo dei ricavi ed il dimezzamento degli utili in appena 5 anni solari. Triste a dirsi, ma a livello di immagine l’abbigliamento è per i Benetton ciò che è l’auto per gli Agnelli: un fardello che prima o poi verrà elegantemente ridimensionato sino a sparire.

Il vero competitor della Mercedes? L’elicottero!

Il titolo non ha senso, se non quello di ironizzare su un recente post su IMlog a proposito della tecnologia RSS come bene sostitutivo del servizio di Google. Ironia che vuol far riflettere sul tentativo di rendere prodotti omogenei una tecnologia ed un servizio commerciale: banale notare come proprio Google è stata tra le prime aziende al mondo ad aver puntato su tecnologie XML di scambio di informazioni prima ancora che di dati. L’acquisizione di Blogger.com, lo si ricorderà, era stata seguita da numerose riflessioni su quale sarebbe stato il formato di feed su cui puntare e sul fatto che la scelta avrebbe avuto ripercussioni in tutto il mondo della comunicazione.

Oggi l’XML e i suoi derivati (RSS e similari) vengono ampiamente usati come base di applicazioni Web sempre più sofisticate: quello che importa sottolineare, però, è la loro importanza per il mondo dell’informazione e in generale della comunicazione interpersonale. Persino applicazioni come i più recenti instant messenger di fatto utilizzano l’XML per farci dialogare in tempo reale, sebbene ancora solo in formato poco più che testuale. L’RSS è alla base di nuovi servizi, sempre più “creativi”, che stanno obiettivamente ampliando le nostre possibilità cognitive.

L’articolo originale da cui parte la riflessione sugli RSS, effettivamente, va oltre i luoghi comuni e cerca di sostanziare la sua posizione di alert verso Google. Ci fa vedere una realtà in cui i blog (e i mezzi di informazione più classici) divengono sempre più «pure data», grazie alla profonda semplicità dei feed: altro che interfaccia, altro che graphic design, altro che colore, altro che pubblicità più o meno contestuale come fonte di reddito. La “sottoscrizione” dei contenuti via RSS permette di prendere solo il “nucleo” del frutto, senza la buccia: il proprio aggregatore diventa una marmellata di frutti senza pelle, un marasma di puro succo.

Difficile mettere in dubbio l’efficacia di iniziative come del.icio.us, esaltatatissime da Kevin Hale, che tecnologicamente si fondano proprio sullo scambio di informazioni via RSS. Difficile, allo stesso modo, che si possa navigare esclusivamente attraverso tassonomie condivise: una cosa è leggere la propria marmellata selezionata (o selezionata da amici) prodotta da siti conosciuti, un’altra azzardarsi ad affacciarsi alla finestra e consultare, ad esempio, le notizie via Google News. Pascolare nei propri feed equivale ad attraversare la piazza del proprio paese incontrando sulla strada i propri amici blogger e leggiucchiando il proprio giornale di fiducia. Navigare con l’ausilio un motore di ricerca equivale appunto a navigare, a perdersi in mari spesso sconosciuti ma non per questo poveri di informazioni.

Evviva la tecnologia RSS, dunque, ma non confondiamone l’importanza tecnologica con il rispettivo uso comunicativo. RSS e XML in generale sono un grande aiuto per costruire infrastrutture, ma non un fine in sé. Quando i motori di ricerca avranno migliorato la loro tecnologia filtrando i risultati – spam che loro stessi hanno contribuito a creare con le loro politiche, probabilmente beneficeranno altamente dello sviluppo di queste infrastrutture. Ma saremo soprattutto noi utenti a gustarne i frutti migliori, magari assaggiandoli con la loro buccia.

Allarghiamo la banda larga

Son sempre scritti bene, i comunicati stampa del Ministero dell’Innovazione. Riescono a trasmettere entusiasmo, ottimismo, vivacità. Quello sullo sviluppo della banda larga in Italia non fa eccezione: squillino le trombe, il 37% delle aziende ed il 19% delle famiglie usa la banda larga, così come il 73% delle scuole ed addirittura l’85% delle strutture sanitarie (qualsiasi cosa esse siano).

Al di là dei dati sulla pubblica amministrazione, cui va un plauso per l’effettivo investimento in nuove tecnologie (i soldi pubblici non sono un problema, si direbbe), è importante notare che, letti da un’altra luce, i dati vogliano anche dire che il 63% delle aziende italiane e l’81% delle famiglie non ha ancora, nel 2005, nessuna connessione broadband. Non ce l’hanno magari non perché non la vogliono, ma perché magari nessuno riesce loro ad offrirla.

Il problema non è strettamente commerciale: di pubblicità di Alice e delle sue sorelle son piene le fosse. Il problema è biecamente infrastrutturale: la mappa dell’Italia pubblicata nella seconda slide degli allegati al comunicato stampa fa paura. L’Italia appare da un lato afflitta da un rossastro morbillo, dall’altra preoccupantemente ingiallita: la sintesi visuale dice più dei numeri quanto territorio italiano sia ancora largamente scoperto, non raggiunto dall’Adsl.

Si badi bene: dall’Adsl, non dalla vera banda larga. In Italia ormai in pochi investono nella fibra ottica e ciò non lascia prevedere nulla di buono sul lungo termine. Per quanto l’invenzione dell’Asdl sia stato un assegno in bianco per il futuro tecnologico italiano, la mancanza di investimenti infrastrutturali rischia di diventare un problema eccessivo nel lungo termine. Non è un caso che, una volta confrontati i nostri dati con i benchmark europei, la verità di un’Italia fanalino di coda venga prepotentemente alla luce.

Continuiamo a tenere d’occhio i lavori dell’Osservatorio Banda Larga, ma cerchiamo di farlo con senso critico: proprio perché gli attori coinvolti sono così importanti per il mercato italiano, è importante che orientino le loro strategie verso uno sviluppo che tenga conto delle necessità dell’economia reale. La banda larga non è un gingillo per scaricatori indefessi: è uno strumento di comunicazione e di lavoro che può far fare un salto di qualità notevole a tutti noi.

Ottonovedue, ottonovedueeee…

I parruccati gemelli baffuti dell'892 892Capita di sentir canticchiare il motivetto dello spot 892 892 per strada e ciò è — all’apparenza — incredibile. Di solito si ascoltano le canzoncine estive, eventualmente oggetto di spot televisivi (tipici i tormentoni firmati Tim), ma che uno spot rimanga così impresso, per il suo essere bizzarro e per la frequenza col quale viene trasmesso, tanto da entrare nel novero dei “motivi da strada” (o “da doccia”) rappresenta soprattutto il fatto che alla base ci sia una buona dose di creatività pubblicitaria.

De Martini ed i suoi hanno fatto un buon lavoro, ma c’è anche da dire che avevano un sacco di materiale da cui prendere spunto, sin dalla prima apparizione dei Mystery Runners in Gran Bretagna. Il marchio di fabbrica, anzi la fabbrica stessa, è sempre InfoNxx, il gigante delle directory statunitense, lo stesso che dall’altra parte dell’Atlantico usa toni seriosi per il sito istituzionale, ma che ha impostato tutte le campagne in Gran Bretagna ed Italia con uno stile delirante ma (ed è qui l’importanza strategica) difficilmente dimenticabile. Presto arriverà in Francia e non è difficile immaginare che terrà lo stesso tono anche lì.

In generale, d’altra parte, il delirio organizzato è solo il lato pubblico, che può piacere o meno, di un approccio “forte” nei mercati, con strategie aggressive anche sul Web. Il business model è semplice ma efficace: in un’ottica di deregulation di un mercato, metter su una struttura a basso costo a Palermo per accaparrarsi un bel pezzo di un mercato da 300 milioni di Euro, in forte espansione. La cosa migliore del commerciare informazioni, lo sanno tutti, è che una volta creato / ricevuto un contenuto, lo si può riciclare all’infinito a costi marginalmente nulli.

I margini, in ogni caso, sono altissimi anche per l’alto costo dei servizi offerti. Un utente Vodafone, ad esempio, arriva a pagare un’informazione fornita dai baffuti gemelli ben 4 centesimi di Euro al secondo, più il classico scatto alla risposta di 15 centesimi: il solo primo minuto, quindi, arriva a costare oltre 2,5 Euro. Il principale concorrente, l’892424 di Pagine Gialle, d’altra parte, non è da meno. Rimane la grande curiosità di vedere come si comporteranno i player storici (Telecom Italia in primis), quando quest’autunno dovranno mollare il vantaggio storico dell’elenco abbonati raggiungibile solo coi “mitici” 12 e 412…

Informare con i numeri

Nel numero 597 di Internazionale, la scorsa settimana, David Randall ha pubblicato uno dei suoi consueti articoli brillanti sul mestiere del giornalista: “Giocare con i numeri” è un avviso ai giornalisti per invitarli a non sparare numeri a caso, visto che quest’usanza potrebbe comportare ripercussioni ben più serie di quelli che, magari, sono i contenuti stessi degli articoli. La terza legge di Randall (“diffidate di qualsiasi cosa che abbia a che fare coi sondaggi”) viene ripresa anche nel microeditoriale iniziale, in cui Giovanni de Mauro parla della scarsa libertà di informazione dei colleghi italiani.

Nel numero odierno di Repubblica.it, uno degli spazi più prestigiosi dell’home page viene occupato dall’articolo intitolato “Gli italiani? Un popolo di bugiardi oltre un miliardo di balle all’anno”, che dimostra, con una messe di dati infinita, che gli italiani dicono 1,4 miliardi di bugie l’anno, con una media di circa 3,8 milioni al giorno. Segue un’ampia catalogazione di motivazioni e stili della bugia, ma anche un ampio spaccato sociodemografico che distingue i bugiardi per età, professione e luoghi comuni.

Nel numero odierno di Corriere.it, svetta uno strillo che richiama l’articolo “Gli italiani scelgono il nudo in spiaggia”, che ci rende edotti di un sondaggio via SMS condotto dal mensile Focus, utile a sostenere l’idea che «per 8 italiani su 10 stare nudi in spiaggia è assolutamente naturale e più del 58% degli intervistati è pronta a prendere il sole senza costume dove è consentito». Esulta la Federazione Naturista Italiana, che sulla scorta di questi sondaggi propone leggi ad hoc per salvaguardare 350.000 naturisti italiani auto-deportati ogni anno oltre confine.

Nel numero di notizie che ognuno di noi riceve ogni giorno, dalle fonti più disparate, quelle basate su sondaggi e pseudo – sondaggi occupano un marketshare molto alto. Repubblica.it ha fiutato l’interesse dei lettori per questo tipo di notizie e sovente le fa precedere da uno dei tre interstitial che intercettano il traffico che dall’home page porta agli articoli chiave della giornata. Che poi alcuni le prendano come spunto per una risata ed altri per una legge, è del tutto indifferente: notoriamente, il 100% dei lettori di .commEurope è soddisfatto della qualità degli articoli. Come non proporre un decreto legge per promuoverne la copertura finanziaria?

E continua a succedere…

La mappa degli attentati della BBCTutti tornano con la mente a Madrid, poi a New York. Che è tristemente normale, visto che dal 2001 in poi il nostro immaginario collettivo è popolato quotidianamente di immagini di bombe, attentati e schifezze varie. Peccato che, ipocritamente, quando i media ci mostrano le immagini del Medioriente tendiamo a dimenticarle (o a ignorarle completamente), ma quando “qualcosa di brutto” avviene nei Paesi dell’Occidente, ci sentiamo tirati così in ballo da divenire news addicted.

Sarà, prevedibilmente, un’altra estate di delirio collettivo. Ripartono le fobie solo attenuate negli ultimi mesi e non c’è da meravigliarsi che i titoli legati all’economia turistica crollino sull’onda del colpo emotivo: peccato che la velocità di diffusione delle informazioni trascini giù tutti i mercati finanziari fino a toccare le decisioni delle Banche Centrali. E questo, come è noto, ha impatti profondi sulla vita quotidiana.

D’altra parte, non potrebbe esserci strada alternativa. Sicuramente, è un bene per i familiari delle (potenziali) vittime che la Rete, le TV e le radio riescano a trasmettere più informazioni possibili, a getto continuo. Peccato, però, che soprattutto sui media principali le notizie riguardino “le masse” e quindi l’utilità individuale si riduce di molto. Deo gratias che esista il Web non solo per gli strumenti di comunicazione che offre (pensiamo all’instant messaging, che riesce a funzionare anche in una megalopoli in cui le reti cellulari muoiono sovraccariche o vengono spente volontariamente), ma anche perché il flusso di informazioni riesce a disperdersi in mille rivoli specializzati.

Chi cerca di aggregarli, poi, lo fa in modo originale e nuovo. Su Flickr si nota come Wikipedia venga aggiornata ogni 30 secondi, confermando la sua natura di prima enciclopedia aggiornata (ed aggiornabile) in tempo reale. Superfluo citare i soliti blog ed i relativi tag, ma utile notare come ormai anche i media “ufficiali” ormai si siano impossessati delle logiche del Web: Repubblica.it, ad esempio, da una parte ospita commenti ufficiali, dall’altra permette a chiunque di raccontare la propria storia. Nuovi rivoli che si aprono al momento giusto, per le persone giuste… Poi, ognuno deciderà come rielabolarle: anche stando in silenzio, ad esempio.

Treni tra immagine ed immaginario

Negli ultimi anni l’ufficio marketing di Trenitalia ha fatto un buon lavoro: offerte speciali mirate e segmentate, prezzi spesso interessanti, nuovi collegamenti su tratte strategiche, con modalità innovative. Non sempre azzeccato il lato pubblicitario, ma non è il fulcro del problema: certo, ogni volta che un treno è in ritardo, non ha l’aria condizionata o è gestito da personale poco disponibile, la battuta classica dei passeggeri è “Ed hanno anche il coraggio di fare pubblicità in TV!”…

Quello che proprio non funziona, nel marketing mix ferroviario, è il prodotto. Chi lo spiega, ai poveri emigrati siciliani, che tornare da Agrigento a Milano richiede “solo” 20,5 ore di viaggio, ritardi esclusi? Ore che, tra l’altro, vengono trascorse nella “storica” Freccia del Sud, un treno che più che al popolo del Mezzogiorno non ricorda solo la strage di 30 anni fa, ma anche le intere giornate trascorse al traino di locomotive di 50 anni fa, in carrozze con le stampe ai muri sempre uguali a sé stesse?

Il problema – prodotto, evidentemente, non è necessariamento legato a percorsi così lunghi e pseudo – low budget come vengono ritenuti quelli dei pochi Espressi superstiti: non è difficile trovare in linea racconti di viaggi deliranti in Intercity, quelli che la documentazione del Gruppo FS descrive come “treni di qualità in servizio diurno”. Peggio ancora, come prevedibile, va ai pendolari: i biglietti aumentano e la qualità scende.

Certo, sulle tratte più redditizie i servizi stanno migliorando: il nuovo progetto di Giugiaro per l’Alta Velocità è affascinante e moderno, visti gli interni hi-tech. Tra Roma e Milano, ad esempio, è nettamente preferibile prendere un Eurostar tra i due centri storici in 4 ore e mezzo piuttosto che sobbarcarsi il tormentone Roma Centro – Fiumicino – Linate – Milano Centro. I prezzi, come si è detto, sono abbastanza interessanti, non richiedono costi di trasferimento e soprattutto più chiari di quelli aerei, ormai soffocati da tasse e supplementi.

Per rallegrare i lettori, si può comunque citare una notiziola carina di oggi riguarda l’ultima idea di “pacchetto vacanza” ideato da Trenitalia, dopo il successo di esperimenti come quello dell’anno scorso con Venezia: con 50 Euro si va a Bologna da 50 città del Nord e Centro Italia, si pernotta, si assiste ad uno spettacolo di BolognaEstate05 e si torna a casa. Come sarebbe bello, se tali guizzi creativi avvenissero meno sporadicamente e coinvolgessero l’intero territorio nazionale…