Come si guadagna da vivere Il Corriere della Sera digitale?

In questi giorni fa la sua bella (?) presenza nell’header di Corriere.it una delle solite campagne (abituali per chi naviga spesso nei siti di Oltreoceano) di quella sorta di compravendita delle illusioni chiamata Green Card Lottery. Campagne solitamente brutte graficamente che conducono a siti tradotti col traduttore automatico: verrebbe da domandarsi quale sia il reale giro d’affari di tutto il circo in questione…

Quello che colpisce nel caso del Corriere della Sera, comunque, non è tanto la qualità dell’annuncio (in termini di banner, si è visto anche di peggio) quanto il fatto che venga servito da PennyWeb, uno dei pochi servizi statunitensi che negli anni sono sopravvissuti allo scoppio della bolla proprio grazie ai microinvestimenti pubblicitari condivisi in minima parte con i gestori di siti e sitarelli. Soprattutto dei secondi, che da sempre hanno costruito una massa critica grazie alla loro numerosità, piuttosto che alla qualità e quantità dei navigatori.

In questo asfissiante agosto, evidentemente, il Corriere non ha trovato niente di meglio con cui occupare un terzo del browser dei suoi lettori. Quello che sembrava lo iato tra grandi editori e piccoli siti, insomma, sembra definitivamente saltato: un tempo un editore italiano non avrebbe mai pubblicato un link stile Commission Junction, oggi invece gli inserzionisti di TradeDoubler sono onnipresenti in portali e giornali on line. I box di Overture e Google fanno il resto, garantendo visibilità anche ai microinvestitori pubblicitari in cambio di qualche centesimo all’editore. Di campagne “tradizionali”, garantite dalla concessionaria, se ne vedono sempre meno.

Da una parte, dunque, è evidente che in tutta Europa manchi una chiara strategia di gestione delle entrate pubblicitarie da parte dei grandi editori: di fronte alla crisi degli scorsi anni, si è scelto di infarcire le pagine con qualsiasi cosa possa vagamente produrre centesimi, come un tempo facevano i siti privati (chi non ricorda la febbre del pay to surf?). Non sta più in piedi nemmeno la famosa equazione che distrusse i mercati finanziari ad inizio decennio, quella che supponeva una crescita dei ricavi esponenzialmente legata al numero di registrati. Oggi ci si rende conto che, in molti contesti, rendere disponibili gratuitamente le informazioni è una spinta all’approfondimento, piuttosto che un “regalo” fine a sé stesso.

Questo spinge a considerare l’altro problema, più evidente per i giornali italiani rispetto agli altri del Continente: una gestione delirante di quella che dovrebbe essere l’altra fonte di reddito, il pagamento della versione digitale. Da una parte torna alla carica dopo qualche anno PuntoCom, in versione gratuita rispetto ai 2 Euro (!) di quella cartacea; dall’altra Corriere e Repubblica alternano periodi di folli pagamenti a periodi del tutto promozionali. Si vorrebbe capire come pensano di (soprav)vivere le versioni digitali dei quotidiani di casa nostra, da sempre ai primi posti in termini di numero di visitatori e pagine viste tra i siti italiani: sarebbe ora che si comportassero da “grandi”, e non solo nei numeri.

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