Vignette ed alabarde (verdi)

Quando ancora il coinvolgimento dell’Europa meridionale era lontano, la vicenda delle vignette danesi sembrava qualcosa di folkloristico, lontano dalla quotidianità: osservando la cronologia del montare delle polemiche (e delle tragedie), si vede come siano state le scelte di pochi uomini, magari spinti dalla giustissima volontà di difendere la libertà di espressione cui siamo abituati, ad aver alimentato un vortice che è cresciuto per tutta l’Europa e che da Oriente è stato visto in maniera diversa. Non tanto un turbinio di dibattito sulla libertà, quanto come la crescita dell’adesione al contenuto blasfemo (eventualmente) contenuto nelle vignette stesse.

Negli ultimi giorni la vicenda ha assunto un profilo ancora più angosciante e più esteso nei territori coinvolti: ora anche l’europea Italia è dentro sino al collo, ma anche al di là del Mediterraneo stavolta è cambiato l’interlocutore. Stavolta sono infatti i libici i protagonisti delle sanguinose avventure, delle stralunate manifestazioni di protesta sotto le ambasciate europee. La cosa che cambia di più, però, è la miccia: non più un atto di coraggio da parte del direttore di un quotidiano leader come è avvenuto in Francia, ma una t-shirt indossata “ironicamente” (?) da parte di un ministro italiano. Grande idea strategica, verrebbe da dire.

L’idea, si badi, non è giusta o sbagliata di per sé. Non riflettiamo sulla validità etica e morale di tutte le discussioni e di tutti i rivoli di quanto connesso al tema delle “vignette sataniche”: badiamo anche solo alle opportunità di comunicazione che si sono scelte e sono state bruciate con atti magari non troppo ragionati. Vediamole come opportunità di dialogo mancato, mani tese che potevano tendersi e sono diventate braccia mozzate. Ha ragione Lia Celi a scavare a fondo nel passato europeo: probabilmente i prodromi dei disagi odierni erano già visibili, o quanto meno dovevano essere immaginati, venti anni fa. In una delle sue ultime Bustine di Minerva, Umberto Eco si è spostato anche più in là nel tempo, rivedendo nei dibattiti odierni temi di sempre.

Ognuno ha la sua posizione sulla vicenda e non tutti guardano di cattivo occhio l’apparentemente strana strategia di marketing politico della Lega: chi conosce bene il movimento leghista sa che i nostri amici verdi possono essere parecchio acidi anche con chi sta appena qualche centinaio di chilometri sotto, figurarsi con chi è culturalmente (e fisicamente) distante migliaia di miglia dal fiume Po. Nel gran gioco della politica, può anche starci qualche accelerazione sulle forme di comunicazione scelte, tanto il contenuto di fondo è sempre lo stesso, da almeno un decennio. Peccato che stavolta siano morte insensatamente almeno 10 persone cui, della comunicazione politica italiana, interessava ben poco.

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