Gentiloni, pensa da blogger ed agisci, agisci, agisci

Mentre il Centrosinistra gongola per la nuova vittoria alle amministrative ed il Centrodestra inizia a riflettere sull’opportunità di politicizzare anche il voto del referendum come ennesimo plebiscito contro Prodi, la società civile si dedica a discutere su temi un po’ più concreti: da un governo di ispirazione centro – centrosinistresca – pocosinistresca ci si aspetta diverse riforme che tocchino argomenti trascurati dai governi precedenti, volutamente o meno.

Accanto a chi parla di diritti dei gay ed altri temi sociali scottanti, c’è anche chi inizia a discutere dell’opportunità di riformare il sistema mediatico: i vantaggi (…) del SIC previsto dalla Legge Gasparri sono sotto gli occhi di tutti e non c’è bisogno di essere analisti finanziari per intuire che serva chiarezza in un settore industriale così delicato. Non è solo il tema del conflitto di interessi che scalda i cuori della gente di sinistra (se così fosse, i relativi politicanti avrebbero già dovuto risolverlo due legislature fa), ma anche aspetti di livello maggiormente culturale: ad esempio, il destino della Rai.

Il grido d’allarme viene da Sabina Guzzanti, che tutti si aspettano di veder tornare in Rai visto il Governo amico: è proprio lei a denunciare quanto ciò sia poco legittimo, quanto sia perverso pensare che si possa apparire in TV o meno a seconda delle simpatie dei politici al potere. La riforma della Rai passa da una de-lottizzazione che solo un Governo coraggioso può avviare: vuol dire ammettere che la longa manus della politica ha ormai definitivamente rovinato la credibilità di quella che Pippo Baudo ha definito “la più grande istituzione culturale italiana” (gulp) e ridare fiato alla sua espressione più importante.

In un sistema politico popolato da lestofanti, deve essere il buon Paolo Gentiloni a fare la differenza. Proprio lui, il ministro blogger, l’unico che scrive in maniera più o meno regolare sul suo spazio virtuale. Più dei suoi colleghi ministri Lanzillotta e Pecorario Scanio, è la persona più indicata a segnare la testimonianza di cosa voglia dire “pensare da blogger” in politica. Perché è l’unico ad avere la responsabilità di gestire il mondo della comunicazione nostrana in un quinquennio che si preannuncia cruciale per avviare questo ampio processo di riforma. God bless him, potrà essere l’asso nella manica del Governo Prodi. O la sua nemesi più feroce.

Capitalia, cambia tutto (per ora sulla carta)

Termina domani l’operazione “Cambia Tutto” lanciata da Capitalia qualche settimana fa attraverso un massiccio mailing: sembra siano state prodotte 2 milioni di copie dello pseudo – giornalino da distribuire nelle cassette postali dei residenti nelle vicinanze delle filiali interessate dal programma innovativo “Delta 2”. Di fatto, oltre ad un foglio A2 piegato in quadricromia, il vero interesse del plico plastificato è il foglio contenente i 2 coupon relativi al Concorso “Cambia tutto” ed alla Carta Capitalia Click E.

Nel primo caso, l’idea è abbastanza tradizionale: un coupon da compilare con i propri dati anagrafici (o stampare dalla Rete) e da portare in filiale per partecipare all’estrazione di una quindicina di viaggi verso le coste di Valencia, città ospite dell’America’s Cup. Nel secondo, il prodotto offerto è decisamente interessante: una carta del circuito elettronico di Mastercard, ricaricabile, offerta gratuitamente per 3 anni. Buone anche le condizioni economiche: due Euro per i servizi in filiale, un Euro per quelli sui canali diretti (ATM in primis).

Tutto oro che luccica? Quasi, visto che il passaggio dai piani di marketing romani all’applicazione pratica è decisamente meno brillante: l’esperimento di un viaggio in una delle principali filiali di Banca di Roma a Milano, aperta al sabato mattina, diventa un calvario. Se il sito recita:

«E per averla non occorre neanche aprire un conto corrente!
E il sabato straordinarie offerte in promozione anche per i nuovi clienti!»,

ovviamente la prima cosa di cui si viene informati è “che sarebbe meglio aprire un conto corrente” per avere la carta da non cliente, altro che promozioni esclusive. Visto che non basta essere clienti Fineco per essere ritenuti cliente Capitalia, prima tocca l’interminabile censimento (solo a patto di avere la tessera plastificata del codice fiscale, tra l’altro), poi l’inevitabile notizia: la procedura di emissione delle carte è giù e nessuno sembra avere molta voglia di contattare l’help desk centrale. Il coupon per Valencia, poi, è qualcosa di completamente sconosciuto: cos’è e che fine deve fare?

È necessario tornare in settimana ed affidarsi a nuove persone: la carta viene emessa con un foglio sintetico di 5 pagine (!) che presenta simpatici asterischi: ad esempio, che fino a data da destinarsi il prelievo gratuito è possibile solo presso la Banca emittente e non da tutti gli ATM Capitalia. D’altra parte, la carta scade tra poco più di due anni e non tra tre come si potrebbe immaginare in base alla promozione: fa parte dello stock che la filiale ha ricevuto lo scorso autunno, quindi la decorrenza parte da allora e non dalla consegna al Cliente. Ironia della sorte, la carta è in realtà emessa da Fineco Bank e collocato dalla Banche rete.

In passato su queste pagine si era plaudito al coraggio di alcune scelte di marketing di Capitalia: giudizio positivo confermato nelle intenzioni, ma tanta perplessità sulla declinazione nella realtà periferica della Banca (filiali popolate da giovani impiegati mentalmente rimasti nel Medioevo) od in quella organizzativa centrale (possibile che non si siano ancora uniformati i sistemi sottesi agli ATM?). Speriamo che le tante voci sul destino societario di Capitalia non condizionino le scelte dei piani alti in merito all’avvio di nuovi programmi come Delta 2: cambiare l’approccio al Cliente non solo è opportuno, è anche necessario.

«E Brown ha venduto due copie in più del suo libro»

La conclusione dell’articolo di Luigina d’Emilio su questo animato week-end di lancio mondiale del film tratto da Il Codice da Vinci è probabilmente la sintesi migliore delle mille voci levatesi a discutere sulla vicenda narrata da Dan Brown prima ancora che della sua trasposizione cinematografica. Qualsiasi discussione sull’argomento, di segno positivo o negativo essa sia stata, ha infatti contribuito a pubblicizzare ulteriormente l’uscita nelle sale, che come prevedibile ha visto un bagno di folla in tutta Europa.

Il film, come nota l’insospettabile Lietta Tornabuoni, è un «brutto thriller», colossal quanto basta per avere successo nei cinema: dal punto di vista estetico più che per i contenuti, visto che come sottolinea la critica, si tratta per lo più di divagazioni pseudo-filosofiche impastate in salsa di secolarismo. Forse è un peccato vedere due grandi attori come Hanks e Tatou così spaesati, ma probabilmente entrambi hanno colto la palla al balzo di una grande produzione per un grande pubblico: i soldini, si sa, fanno gola a tutti.

La verità storica proposta nel film, d’altra parte, è discutibile al pari di tante altre leggende apparse nel corso dei secoli nel fiorente mondo dell’Occidente cristianizzato: Monsignor Ravasi fa una critica feroce, eppure equilibrata, al fatto che sono state privilegiate alcune “voci”, secondo lui infondate quanto basta per considerarle blasfeme. In fin dei conti, Brown ha fantasticato ad alta voce a proposito di una tradizione tramandata nei secoli attraverso i popoli della cristianità. E con 2 milioni di Euro al giorno solo in Italia, si tratta di una fantasia venduta a buon prezzo.

In tutta l’operazione, infatti, ciò che colpisce davvero è il genio markettaro di Dan Brown da una parte e quello commerciale di Ron Howard dall’altro: comunque vada, sarà un successo. I ciociari in crisi di astinenza da Grande Fratello potranno fare tutti i roghi che vorranno e le organizzazioni clericali si sbracceranno in scomuniche a pié sospinto, eppure tutto ciò che riguarderà film e libro sarà sempre un business clamoroso, nei secoli dei secoli. Amen.

In un mondo di nani, Biscardi sembra un gigante

Considerando che la maggior parte dei nuovi programmi televisivi italiani ha una vita molto breve (vedi il successone di Comedy Club su Italia Uno, sospeso dopo la prima puntata, deludente e noiosissima), pensare che Il processo di Biscardi fosse trasmesso pressoché ininterrottamente dal 1979 regala una strana sensazione: se dopo quasi trent’anni il prodotto riusciva a fare il doppio della media ascolti della rete su cui andava in onda, qualche segreto vincente dovrà pure averlo avuto.

Verrebbe da chiedersi, da non spettatori dei programmi Biscardiani, del perché di tante voci negative sul rosso conduttore dall’accento inconfondibile: possibile che un programma noto a tutti come sede ideale per caciare sportive, moviole violente e discussioni infervorate riuscisse ancora a fare così tanto audience? E cosa succederà a La 7, ora che ha perso il suo bizzarro programma di punta? Cosa farà Aldo Biscardi, travolto dalla scandalosa gestione allegra della res calcifera italiana?

Domande destinate a rimanere senza risposte, almeno sino a quando l’indignazione nazionale sarà terminata e si ricomincerà a nuotare nell’abituale torbido (se ne riparla non più tardi del prossimo inizio di Campionato, insomma). Nel frattempo, leggere quello che La Gazzetta dello Sport ha chiamato il «romanzo del processo» è istruttivo: si può leggere la storia del nostro uomo dall’essere subentrato ad Enrico Ameri nella conduzione dl Processo del Lunedì, all’aver occupato vari ruoli di potere nei vari trasferimenti seguiti all’abbandono della Rai.

In fin dei conti, leggere la storia di Biscardi e del suo Processo, anche nella versione raccontata da Antonio Dipollina, porta a capire che più di un programma sportivo, si trattava di puro entertainment: in fin dei conti, accanto a qualche “vero” esperto di calcio e dintorni, gli ospiti di Biscardi erano soprattutto istrionici personaggi dello show business italico. A questo punto, sarebbe interessante vedere il conduttore in uno spettacolo vero: finirà a condurre Mai dire Goal?

La sete di contenuti si soddisfa col passato

In tutta Europa in queste settimane si discute molto di contenuti multimediali: da una parte, tutti si preparano all’indigestione dei Mondiali di Calcio, che terrà banco su metà dei media, specialistici e non; dall’altra, si susseguono annunci di nuove iniziative, soprattutto nel campo televisivo. La motivazione è semplice: lo sviluppo tecnologico sta offrendo tecnologie sempre più innovative e gli attori interessati ad utilizzarle crescono in maniera esponenziale.

I contenuti pseudo – televisivi, ad esempio, non sono più trasmissibili via etere (in analogico ed in digitale) o satellite (in analogico ed in digitale), ma anche via cavo (eventualmente anche con una “semplice” linea Adsl al posto della fibra ottica), via Web (in streaming ed in download), via cellulare (anche con l’alta qualità permessa dalle reti di terza generazione). Come al solito, la revisione delle tecnologie tradizionali alla luce di Internet è stata la molla scatenante: l’IP-TV è ormai uno stilema che va oltre le sue declinazioni cross-canale.

Il vero problema è che, in degli imbuti così ampi, bisogna trovare del buon cibo da far digerire ai teleutenti in movimento, a pagamento, col supplemento: produrre contenuti ad hoc per televisioni così di nicchia è un’ottima idea per fidelizzarli, ma rischia di avere dei costi mostruosi. Non meraviglia che le “nuove televisioni” abbiano solitamente un palinsensto di 4 – 6 ore ripetuto ad oltranza per le 24 ore successive o che lo stesso film in prima visione su un canale satellitare venga poi riproposto sui canali fratelli per settimane.

In questo contesto, magazzini di idee come le Teche Rai assumono nuova importanza: non solo ottima base di dati per l’utilizzo di studiosi e studenti, ma anche asset da vendere a i tanti canali assetati di contenuti. Sarebbe utile che questo tipo di iniziative venisse sostenuto alla pari delle Biblioteche Nazionali e che i fondi derivanti dalla cessione dei diritti venissero reinvestiti nel potenziamento del fair use. Non sia mai che lo spettacolo anni Sessanta tanto desiderato passi una sola volta su uno sperduto canale satellitare e finisca di nuovo nel dimenticatoio per decenni…

Viva la Fiera del Libro

È ormai terminata la Fiera del Libro di Torino: anche quest’anno un programma abbastanza intenso ha fatto sì che, in una manciata di giorni, si siano tenuti 800 incontri che, con una crescita decisamente virtuosa rispetto alle ultime edizioni, hanno attratto oltre 300.000 visitatori. Numeri interessanti, che testimoniano da una parte il successo delle formula, dall’altra il desiderio diffuso, non solo in Piemonte, di cultura. A Torino, infatti, sono giunti visitatori di tutta Italia: si tratta ormai di una piacevole tradizione per persone di tutte le età e di tutte le regioni italiane, forse ulteriormente incuriosite dalla bella città conosciuta grazie alle Olimpiadi.

Si sono notati, a voler trovare degli spazi di miglioramento, i primi segni della febbre di crescita: gli espositori sono stati felici del poter vendere il 20 – 30% in più di libri, ma hanno dovuto trascorrere decine di minuti in fila per il bagno, mentre nei loro stand i furti crescevano del 10%. Problemi che sembrerebbero già stati presi in considerazione da parte degli organizzatori in modo da potervi porre rimedio nell’edizione del 2007, che si preannuncia elefantiaca rispetto ai ristretti spazi dei padiglioni di Lingotto Fiera di quest’anno. Già quest’anno, l’aver spostato gli intrattenimenti serali in padiglioni diffusi per la città, ha evitato il soffocamento delle arterie circostanti il Lingotto.

Servirebbe un po’ più di respiro, effettivamente, in termini di spazi a disposizione di incontri, esibizioni ed esposizioni: è vero che Mondadori e Rizzoli possono mantenere i loro grandi stand (noiosi come una superette di periferia), ma sarebbe carino che anche i piccoli editori potessero permettersi spazi un po’ più nobili di quelli condivisi su iniziativa degli enti locali o delle associazioni di categoria. La Fiera riesce infatti a comunicare egregiamente ai suoi visitatori la vitalità dell’editoria italiana: completerebbe l’opera di divulgazione riuscendo a dar voce anche ad iniziative di nicchia.

Quello che tira, infatti, sono i bestseller già noti in libreria: nel solo giorno di venerdì Federico Moccia era ospite di tre incontri diversi, con seguito di adolescenti adoranti, mentre nello stand Feltrinelli le copie del suo ultimo libro erano padrone incontrastate del 10% dello spazio totale (!) dello stand; domenica, gli incontri di Fabio Volto e di altri protagonisti del sottobosco culturale italico erano del tutto sold out. Gli incontri con autori ed editori minori servirebbero a spingere ancora di più lo spirito nobile della Fiera: per attrarre pubblico, però, servirebbero spazi ed idee innovativi. Incrociamo le dita: c’è da scommettere che presto il Salone (oooops, Fiera) ce la farà.

Virtualizzare la lingua

Annunciato qualche giorno fa a Roma, il “Tesoro della lingua italiana delle origini” è un’iniziativa importante per la cultura italiana: si tratta di un corposo dizionario storico della lingua italiana, contenente già 15.000 voci ed in piena evoluzione. La consultazione è gratuita ed è di grande valore per cultori della materia e non: sebbene alcuni dettagli siano ostici per i novizi, la possibilità stessa di poter interagire col corpus è un bel regalo per tutti noi. Se si considera che è un progetto iniziato nel 1965, si può capire la rilevanza dell’evento.

Quasi contemporaneamente, l’Accademia della Crusca ha presentato la “Lessicografia della Crusca in Rete”, altra iniziativa ambiziosa che si fregia della collaborazione della stessa Opera del Vocabolario Italiano madre del TLIO. In questo caso, il Progetto (per gli amici “Cruscle”) si occupa di portare in Rete il contenuto delle varie edizioni del Vocabolario degli Accademici: da una parte, la possibilità di sfogliare virtualmente i volumi digitalizzati; dall’altra, l’accesso diretto alle voci tramite un motore di ricerca dedicato.

In entrambi i casi, l’apporto del CNR è fondamentale: si tratta di progetti che prevedono risorse ridotte ma che risultano importanti per il loro ruolo nello sviluppo della conoscenza della lingua italiana degli esordi. Probabilmente, si sarebbe potuta adottare una strategia di comunicazione migliore per differenziare i due lanci di agenzia, che si sono accavallati sui giornali a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro: in ogni caso, si tratta di iniziative che dovranno incontrare da una parte il sostegno degli studiosi e dall’altra l’interesse dei navigatori per poter continuare ad essere seguite.

Il rischio, testimoniato dal link di richiesta del 5 per mille nell’home page dell’OVI, è che i fondi vengano tagliati e quanto iniziato rimanga incompiuto o peggio svanisca nel nulla. Passi qualche ingenuità tecnologica, a patto che si continui a lavorare nella giusta direzione. L’importante, infatti, è che le istituzioni più alte abbiano capito l’importanza del pubblicare in Rete al fine di minimizzare gli investimenti e massimizzare la diffusione: la carta, in questi casi, non è proprio il supporto migliore.

E-mail marketing de noantri vs. Web marketing spagnolo

Spopolano sul Web i riferimenti all’Asociacion Nuevo Renacer, sedicente lega spagnola per la promozione della castità: sito in apparenza moraleggiante, fastidioso, ridicolarmente sovraccarico di colori. Lo si direbbe una trovata di una sorta di Moige spagnolo: vengono presi di mira MTV ed i messaggi che il network internazionale passa da ormai un paio di generazioni a tutti gli adolescenti. Valori decisamente in contrasto con quanto propagandato nel sito: verginità a tutti i costi, zero tatuaggi, zero mode.

La cosa migliore del sito è sicuramente il video musicale di quella sorta di inno dell’associazione che è Amo a Laura pero esperaré hasta el matrimonio: una canzoncina dal testo surreale che però colpisce già dal primo ascolto. Un successo che ammalia ironicamente l’MTV Generation da un lato e conquista sorprendentemente i movimenti ultracattolici: bravo l’autore della canzone, ma soprattutto complimenti alla BBDO locale, la Tiempo. Si tratta, infatti, di una campagna pubblicitaria di MTV stessa: creativa, affascinante, convincente.

Un ottimo esempio di Web marketing a supporto dei media tradizionali. Quasi la stessa cosa della campagna di E-mail marketing avviata in questi giorni dalla Fnac: un’orripilante immagine mappata che fotografa un word processor della famiglia Microsoft. Non è difficile notare la grafica approssimativa, il miscuglio di caratteri, ma soprattutto i termini segnalati come errore dai dizionari Microsoft italiani (“bookshop”, “clicca”) e persino il puntatore del mouse, immortalato sulla parola “anziché”.

Non era facile far di peggio: non è saggio paragonare il budget dell’iniziativa di MTV España con quello di Fnac Italia, ma non è nemmeno corretto pensare che Fnac possa permettersi di comunicare in maniera talmente approssimativa. I pubblicitari spagnoli riescono a muovere emozioni, di qualsiasi segno esse siano; quelli che hanno creato la newsletter della multinazionale francese, riescono a banalizzare persino informazioni interessanti come il biglietto ridotto riservato ai destinatari dell’e-mail, i già fidelizzati (e paganti) titolari di Carta Soci. Impareremo mai?