Carosello compie 50 anni

Un frame della sigla di CaroselloSi festeggia in questi giorni il cinquantesimo anniversario di Carosello, l’unico programma della storia televisiva italiana che non ha bisogno di presentazioni. Ci sarà sempre qualche giovane curioso di scoprire cosa fosse Canzonissima o in cosa consistesse il successo di Fantastico (questo a dire il vero ce lo chiediamo anche noi), ma probabilmente conoscerà Carosello ed i suoi protagonisti, citerà a memoria qualche slogan celebre o magari addirittura canticchierà qualcosa. Magari perché l’ha visto crescendo negli anni Ottanta a “20 anni prima” su Rai Tre, oppure perché l’ha scaricato da un sito come MondoCarosello.com.

I giudizi dei telespettatori sono stati e saranno ancora per lungo tempo favorevoli a questo pezzo di storia televisiva: spesso ciò che rientra nella categoria dell’Amarcord perde gli eventuali caratteri negativi e rimane come indelebile ricordo di felicità (magari infantile). I giudizi degli addetti ai lavori, invece, sono spesso di carattere opposto: è così anche per Carosello, che non per tutti i pubblicitari rimane un ricordo così irrinunciabile. Una delle posizioni più note in merito è di Giancarlo Livraghi, tante volte citato su .commEurope per le sue illuminate considerazioni sul panorama della comunicazione europea.

Questa volta, però, è difficile essere d’accordo al 100% col buon Gandalf. Nelle sue parole si capisce l’amarezza di un lavoro pesante e magari a tratti non troppo gratificante, ma è opportuno soppesare anche le positività storica del modello-Carosello. Quei 42.000 (!) siparietti vanno ormai letti più come frammenti di cinema che come tentativi di primordiale attività pubblicitaria televisiva: basti pensare che i filmati venivano realizzati in 35 mm per comprendere quanto quelle produzioni abbiano aiutato Cinecittà e dintorni nei decenni in cui nasceva e si affermava la televisione.

Dal punto di vista strettamente pubblicitario, invece, Livraghi ha probabilmente ragione: basti guardare il primo filmato di Calimero per rendersi conto di come una produzione pur artisticamente valida potesse essere dannosa per il committente; basti dare un occhio a un soporifero carosello di Mina per ringraziare Dio che la Barilla nei decenni successivi abbia sperimentato linguaggi pubblicitari più azzeccati. La sindrome di Carosello c’è, ma a volte sarebbe bello che ne soffrisse anche qualche qualche creativo in più: molta della pubblicità odierna di quell’esperienza ha preso il peggio, ma ha dimenticato di approfittare anche del meglio.

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