2007, l’anno dell’esplosione della Rete Sociale

Finisce l’anno 2007 e così anche il quarto anno di vita di .commEurope merita qualche riflessione finale: niente di noioso, però, perché è più tempo di panettoni che di melodrammi. Solo qualche nota a piè di pagina di un anno per riflettere sull’esito dei buoni propositi di inizio anno, ma soprattutto per rendere merito all’unico, vero e prepotente trend visto nel 2007: l’affermazione della Rete Sociale in tutti gli strati della popolazione europea. Una vera e propria rivoluzione nella vita quotidiana di molti di noi, che magari ha colto meno impreparati quelli che tra noi avevano già da tempo intravisto le potenzialità degli strumenti di social networking e di personal publishing, ma che è soprattutto riuscita a conquistare insospettabili soggetti un tempo del tutto impermeabili.

Basti guardare alle statistiche dei nostri blog: su .commEurope, ad esempio, sono frequenti le visite di persone provenienti dalle reti di Barilla, Perfetti, Mediaset, ENI, Unilever, E-Polis, Rai, Basko, Ferrero, SitCom, 3M, Gruppo L’Espresso, Alitalia, Mondadori, Bain, Juventus FC, Reply, Sky Italia, Trenitalia, Autogrill e da un numero imbarazzante di Banche di tutte le dimensioni. Nemmeno a dirlo, si tratta nella maggior parte dei casi delle aziende di cui si è parlato di più su questo blog; nemmeno a dirlo, non è stato affatto infrequente ricevere i contatti da parte dei relativi dipendenti, di volta in volta esaltati, arrabbiati, rivoltosi, incuriositi da quanto scritto in questi post e commentato dai lettori di .commEurope. Inutile anche aggiungere una messe di visite da parte di agenzie pubblicitarie e di PR ed il relativo flusso di proposte di temi “interessanti” (sigh), richieste di rettifica, insulti personali e complimenti interessati.

Ma ovviamente sono state soprattutto le singole persone ad essere protagoniste del successo delle piattaforme di condivisione dei contenuti, sia in ambito aziendale (vedi il successo di TamTamy in Reply), sia presso il grande pubblico (vedi la crescita impressionante di Facebook). Persone variegate, solo parzialmente coincidenti con lo stereotipo del blogger autoreferenziale: se quest’ultimo si è creato i suoi parchi giochi ideali (vedi la febbre adolescenziale di Twitter), i suoi familiari magari si sono lanciati su Flickr, MySpace, YouTube, aNobii, in un’esplosione di gusti personali che diventano interesse pubblico. Un incremento di attenzione collettiva che, però, non sempre ha visto le aziende gestrici di queste piattaforme in grado di reggere a picchi di afflusso e fenomeni esterni: basti scorrere la lista dei piccoli-grandi-disastri 2007 per trovare tra le vittime nomi illustri come Skype, Google, T-Mobile.

Qualunque sia l’esito del riflusso 2.0 nei prossimi mesi, potremo ricordare il 2007 come l’anno in cui la Rete ci ha permesso di conoscere ottime persone ed ottimi professionisti: su [mini]marketing sono citati molti eventi nel post di fine 2007, qui basti citare i Marketing Blog Playoffs 2007 ed i vari barcamp visti e vissuti in giro per l’Italia, come esempi felici di come questo anno di ore passate in Rete siano state, per molti di noi, l’investimento personale e professionale migliore da anni a questa parte. Siamo tutti cresciuti un po’, anche se le strategie di marketing sono rimaste un po’ quelle di sempre, con qualche sprazzo di originalità in più. Buon 2008 a tutti ed a Gianluca, nikink, Pier Luca, Mondoboia, Marco, SuperCopy, Enrico, Massimo, Alberico, Gioia (top utenti .commEurope 2007) in particolare.

Twitter, i contenuti a rischio e l’inconfondibile sapore del riflusso

Gli strali lanciati da Dave Winer a proposito del lungo blackout di Twitter avranno fatto sicuramente del male ai poveri creatori di questa supposta gallina dalle uova d’oro, ma anche a molti degli utilizzatori della piattaforma in questione. Intorno a Twitter si è infatti creata una comunità di utilizzatori che amano il mezzo in modo viscerale, di persone che sino ad ora hanno sempre difeso il loro spacciatore di cinguettii anche durante i momenti di assenza fisiologici, seguendone la crescita fulminea ed aiutandolo a diventare famoso. Queste stesse persone ora rimangono stupite dalla violenza con cui un super-vip del loro club ha gridato che il re è nudo. È così evidente a tutti che è iniziata la fase del riflusso: e se Dave Winer è tra quelli che ha fiutato il vento ed ha cambiato bandiera, vuol dire che il riflusso è ufficiale.

Basti guardare le critiche forti che ultimamente vengono rivolte a Pownce, sistema imitazione di Twitter prima pompatissimo da alcuni top-blog internazionali e poi lasciato morire tra il disinteresse generale. Allo stesso modo, le critiche a Twitter lasciano il segno, ma in maniera decisamente più amplificata, poiché si tratta della piattaforma originale e non di un’imitazione, si tratta del Blogger del twittering (appunto) e non di una piattaformina locale. Tutti coloro che qualche anno fa hanno vissuto il passaggio di Blogger.com sotto l’egida di Google, sanno che Twitter ora è arrivato allo stesso bivio tipico dei primi della classe: lasciarsi comprare come è avvenuto a Flickr o YouTube e diventare uno standard mondiale, oppure svanire nel nulla a favore del nuovo standard lanciato dal leader di un mercato vicino (vedi il caso MSN Messenger vs. primi IM).

Le critiche di Dave Winer elevano Twitter al rango di media, rendendo però questa piattaforma elemento debole in paragoni impietosi con mezzi di comunicazione ben più consolidati. Esercizio che rende merito alla pur giovane piattaforma, ma che perde di vista la portata del mezzo: non è corretto caricare un singolo provider di responsabilità superiori allo scope per cui lo stesso è nato. Passi utilizzare Twitter come mezzo col quale raccontare agli amici fatti ed episodi della propria vita quotidiana; passi utilizzarlo per spiare (in senso bonario o meno) quella degli altri; passi il volerlo scegliere come mezzo per promuovere i propri contenuti in Rete (per quanto questo non attirerà di certo le simpatie degli altri cinguettatori); passi l’utilizzarlo in sola lettura come fonte per trovare interessanti spunti quotidiani… Ma Twitter e sistemi analoghi non possono e non devono essere utilizzati per trasmettere informazioni critiche.

Quando qualche settimana fa si è cercato di far passare la notiziola rimbalzata su Twitter di una grande nube nera a Londra come segno di una presunta censura dei grandi media riguardo ad un “probabile” atto terroristico, proprio l’intervento tranquillizzante dei mezzi tradizionali ha abbassato i toni dell’isteria in partenza, riportandoli sui binari dell’incendio di quartiere. Una lezione che dovrebbe farci riflettere: lasciamo Twitter alla sua dimensione, lasciamo che sia un sistema in crescita naturale e non sovraccarichiamolo di responsabilità ed attese eccessive. Altrimenti il riflusso gli sarà fatale ed a quel punto l’acquisizione da parte del big player arriverà davvero, rendendo nullo il lavoro dei pionieri che l’hanno creato e seguito in questi primi mesi di vita: rimpiangeranno tutta la vita il non aver venduto al massimo del ciclo di hype.

Nintendo – Resto del mondo: 1 a 0

Ad inizio 2007 si discuteva dell’andamento del mercato delle piattaforme ludiche digitali nel periodo successivo al lancio di Sony PlayStation 3 e Nintendo Wii: molti si meravigliavano del fatto che la Nintendo fosse riuscita a ripetere la lezione impartita con le proprie console portatili rispetto alla (presunta) portentosa PSP. La notizia, infatti, recitava che le vendite della Wii erano partite alla grande, fino al punto di doppiare le vendite della console Sony nel periodo più caldo dell’anno (Natale 2006) e soprattutto nel periodo del lancio nei paesi orientali (tanto bramato) della PS3. Oggi, con lo shopping relativo alle Feste 2007 in pieno svolgimento, ci si rende conto che non si trattava di un fuoco fatuo, ma di un crescente trend di mercato in tutto il mondo.

È notizia di queste settimane, ad esempio, che la Wii guida ormai stabilmente la classifica delle piattaforme di terza generazione: ha superato in scioltezza la Xbox 360 (ferma a 14 milioni di pezzi a livello globale) vendendo 16 milioni di console contro gli appena 7 della PlayStation 3; come se non bastasse, si stima che Nintendo perderà un miliardo di dollari in termini di mancate vendite, non riuscendo a stare dietro alla domanda. Numeri impressionanti per oggetti un tempo dichiarati infantili e che oggi vengono utilizzati da persone di tutte le età: se già gli strumenti delle ultime generazioni avevano spostato in alto l’età media, quest’ultima ondata ha definitivamente universalizzato l’interesse nell’utilizzarli come piattaforme di svago per tutta la famiglia. Fa sorridere ma è credibile l’anziana arzilla che negli spot Nintendo sfida Panariello con il proprio Wiimote: qualche anno fa sarebbe stata una caricatura fine a sé stessa.

D’altronde, basta curiosare tra il materiale esposto nell’esposizione sui trent’anni di videogiochi presentato nell’ambito di annisettanta per vedere come questi strumenti non siano cambiati solo in termini di resa grafica e giocabilità, quanto soprattutto di potenziale interesse verso i bacini più disparati: un tempo i bambini sognava il Sega MegaDrive per giocare col riccio Sonic, poi da ragazzini sono passati al PC per giocare con Doom, un attimo prima di vedere emergere le console, quelle che da sempre hanno puntato tutto sulla grafica tridimensionale ed oggi ragionano in termini più ampi. Ci si è in fondo resi conto non è più solo l’hardware a contare o solo il software ad attrarre: ciò che rende stimolante uno strumento rispetto all’altro sono proprio le infinite combinazioni che l’utente può scegliere per giocare (e non solo).

Oggi infatti si può scegliere la propria console in base alla propria nicchia di appartenenza in termini di utilizzo di materiale multimediale, ma soprattutto rispetto ai propri interessi: il naufragio della PS3 forse deriva proprio dall’aver puntato tutto sulla potenza dell’hardware, facendosi sfuggire il fatto che da un lato Xbox era un PC multimediale travestito da consolle per gli heavy users e dall’altro che Wii ha iniziato ad offrire giochi magari semplicissimi, ma divertenti da giocare da parte di grandi e piccini con strumenti innovativi come il Wiimode di cui sopra. Sia onore a Nintendo, che ancora una volta ha dimostrato di conoscere bene il suo mercato, più dei newcomers Sony e Microsoft che hanno abbaiato per qualche anno ed ora devo abbassare la cresta: vedremo ancora in giro Mario Bros e Zelda per parecchi anni.

Un widget a testa e il consumatore fa festa

Si era già discusso un paio di anni fa della voglia diffusa, tra le grandi aziende, di utilizzare le informazioni nutrizionali sui propri prodotti come clava pubblica per dimostrare a consumatori abituali e potenziali la salubrità dei propri prodotti. Quella volta ci aveva provato McDonald’s, intenta a dare una ripulita alla propria immagine di produci-veleni-alimentari in favore di un curioso riposizionamento come azienda fornitrice di prodotti di qualità grazie all’introduzione preventiva del “famoso” programma Hazard Analysis And Critical Control Point, per gli amici HACCP. Nel 2007, invece, la palma di azienda produci-bimbi-ciccioni-che-vuole-rifarsi-il-look è andata a Coca Cola Italia, che tra i clamori di mezzo Web ha iniziato a distribuire un widget finalizzato a comunicare le informazioni nutrizionali sui propri prodotti.

Il sitarello informativo, ampiamente pubblicizzato sui maggiori siti italiani e poi commentato dalla blogosfera, spiega che per poter visualizzare le informazioni è necessario scaricare e installare Google Desktop, per poi scaricare «l’interfaccia GDA dei prodotti Coca Cola» (eh?), al fine di scoprire l’apporto nutrizionale delle bevande Coca Cola e poi, probabilmente, smettere di berle. Uno sforzo cognitivo non indifferente, per i distratti navigatori del Web, che però non porta loro davvero nessun beneficio tangibile: se proprio non si può fare a meno di conoscere le informazioni nutrizionali della propria bevanda gassata preferita, basta girare la bottiglia e leggerle da lì, piuttosto che portarsi sul PC l’ingombrante Google Desktop. Apprezzabile il tentativo di rifarsi il look a botte di comunicati stampa sui widget, insomma, ma realisticamente tendenti allo zero le installazioni.

Molto più scoppiettante, invece, l’altro widget “nutrizionale” lanciato in queste settimane: si tratta di un’iniziativa dell’Agenzia Le Balene Colpiscono Ancora, che qualche anno fa curava le campagne nutrizionali McDonald’s di cui sopra. Viene regalato a chi si registra al sito Mivida, la dolce vida e compila un bizzarro questionario utile ad illustrare i vantaggi di Misura Mivida nell’uso quotidiano; si riceve via e-mail in doppia versione (per Windows e MacOS) e non necessita di installazione e connessione ad Internet. Anche in questo caso, l’etichetta di “widget” è un po’ forzata; contrariamente al softwarino Coca Cola, però, la bustina Mivida virtuale che viene visualizzata sul PC dell’utente ha un’utilità quotidiana. Si può infatti scegliere tra un ampio numero di alimenti e conoscere apporto calorico e principali valori nutrizionali.

L’ultimo widget visto balenare sui nostri schermi in queste ultime settimane è Todolive di Todomondo, che finalmente non parla di calorie e grassi, ma di opportunità di andare in vacanza a prezzi scontati. L’applicazioncina è disponibile solo per Windows e si connette periodicamente ai server di questa agenzia di viaggio virtuale per proiettare, in maniera animata, le migliori offerte disponibili. Uno strumento utile per gli utenti, un mezzo potente per chi lo fornisce: è un canale sempre aperto col cliente, che può essere utilizzato in maniera versatile per veicolare le più svariate informazioni, in maniera indipendente (rispetto alla soluzione di Coca Cola basata su Google Desktop) ed interattiva (rispetto all’applicazione offline di Misura). Quanto ci metteranno le altre aziende ad imitare Todomondo? Quali widget verranno riconosciuti come indispensabili (o quantomeno utili) dai clienti?

Il mito del consumatore alto, bello e propenso a spendere

Qual è il target più ambito dai markettari di tutto il mondo? Notoriamente, i gay: i media continuano ad alimentare il mito che li pittura come «statisticamente più ricchi, sofisticati e spendaccioni» e così si alimenta il circolo vizioso per cui confidando nelle loro raffinate esigenze si alzano i prezzi all’inverosimile ed alla fine si riesce ad intercettare il solo target di omosessuali veramente ricchi e gaudenti, alimentando ulteriormente la credenza popolare ed estromettendo dall’offerta il resto della popolazione gay. Ragionando a mente fredda, viene da domandarsi come si sia potuto creare una correlazione tra identità sessuale e propensione al consumo: tenendo questo passo, presto si sosterrà che è chic andare con i trans se si è sniffatori di cocaina.

La realtà è sempre più sfaccettata di ciò che le categorie di consumatori create ad hoc dagli istituti di ricerca cercano di fotografare: è già difficile immaginare cluster compatti di consumatori, ma è a dir poco impossibile riuscire a soddisfarne le esigenze con offerte di massa. Ci si prova quotidianamente, con tutti i “distinguo” che i bravi marketer tengono sempre a mente: è bene volgere le asimmetrie informative a proprio favore, è male cercare di imporre ex abrupto delle categorie che poi non trovano riscontro nella realtà quotidiana. Categorie che (ecco un altro mito) sembrerebbero essere superate dalla flessibilità offerta dal Web e che invece vengono solo frammentate in mille rivoli di interessi differenti, poco omogenei, in definitiva non trattabili come insiemi, ma poi riclusterizzati alla meno peggio per seguire le indicazioni della Nielsen.

Negli scorsi giorni, Massimo Moruzzi ha condotto un’interessante discussione sul suo blog a proposito del profilo “atteso” da chi investe in pubblicità in Rete: siamo tutti così abituati a dire che la Rete è popolata da coltissimi professionisti propensi a spendere (on line e non) che quando scopriamo che a cliccare sulle pubblicità sono le sciure alla ricerca di buoni sconto, ci rimaniamo male. Poi però facciamo un po’ di mente locale e ci rendiamo conto che effettivamente tutti noi abbiamo cliccato almeno una volta su un leaderboard e quell’unica volta era legata al concorso a premi dei Pan di Stelle del Mulino Bianco o del dolcificante. Prodotti che magari non compreremo mai, che non sono minimamente nel nostro target, ma che ci hanno attirato con la loro campagnetta “Clicca qui e vinci un iPod”.

I consumatori perfetti non esistono. Non esistono perché non siamo in un mercato perfetto, ma nella realtà quotidiana: nessuno si alza la mattina per impiegare le proprie risorse economiche nella maniera più efficiente; tutti si alzano la mattina per cercare di sfruttare le opportunità offerte dal mercato, sperando di essere un pelo più furbi degli altri consumatori ad intravederle (vedi corsa all’acquisto sottocosto negli ipermercati) e più scaltri dei rivenditori (vedi corsa alla vendita sottocosto negli ipermercati). La verità è che tutti gli altri consumatori avranno una sensibilità mediamente pari alla nostra e difficilmente un rivenditore perderà il pallino della propria operazione promozionale: persino MediaWorld è riuscita a recuperare alla grande dalla bizzarra situazione in cui si era posta dopo il Mondiale di Calcio 2006.

Ci sono professionisti come Luca Lani che di pubblicità in Rete vivono e sicuramente le loro analisi possono suonare positive per chi voglia investire: probabilmente tali professionisti sono abbastanza professionali (!) da illustrare agli investitori pregi e difetti del mercato pubblicitario in Rete. Ci sono poi aziende cresciute troppo velocemente che vogliono fare le furbe, spacciando piattaforme come Facebook e similari come il media pubblicitario del futuro e finendo per vendere a CPM a consumatori teoricamente perfetti. Ovviamente colti, ricchissimi e molto smart. Che però poi passano il tempo a pubblicare foto delle vacanze, mordere virtualmente le proprie connessioni ed ignorare del tutto le campagne in questione. A meno che, ovviamente, non riguardino i Pan di Stelle, i dolcificanti e gli iPod in premio.

La mostra complessa sul decennio lungo del secolo breve

Merita una visita annisettanta – Il decennio lungo del secolo breve, la mostra inaugurata a fine ottobre alla Triennale di Milano. Fino a fine marzo, infatti, si ha la possibilità di immergersi nel clima, nei tempi e negli stili di quel decennio così rilevante per la nostra storia recente: presentando questa mostra, il Presidente del Consiglio di Amministrazione della Triennale, Davide Rampello, ha definito gli «Anni Settanta il decennio più importante del secondo dopoguerra» e in effetti tutto l’allestimento restituisce ai visitatori il senso del “peso” che quella decade ha avuto sul nostro immaginario, sui nostri costumi, sulla nostra visione del mondo contemporaneo. Un “decennio” che la mostra fa iniziare nel 1969 e terminare nel 1980, un ponte che va dalle ferite del Vietnam ai primordi dell’edonismo reaganiano.

La peculiarità di questa mostra è soprattutto nella tipologia di opere esposte: non si tratta di un evento-reliquiario come molti possono immaginare sulla carta, visto che gli oggetti d’epoca sono veramente pochi, tendenti al nulla; non si tratta nemmeno di una mostra d’arte contemporanea in senso stretto, sebbene intere aree siano dedicate ad opere d’arte prodotte negli stili più variegati e negli anni più svariati (si parte dagli anni Settanta, ma si arriva anche ad opere prodotte nel XXI secolo, non senza qualche forzatura). Sicuramente la mostra si può definire “evento multimediale”, vista l’ampia disponibilità di materiali audiovisivi; molto meno attendibile l’etichetta di “evento memorabile”, visto che, tutto sommato, la stessa Triennale ha nel tempo prodotto mostre che lasceranno tracce più forti nella nostra mente.

Ciò che i visitatori della mostra non potranno dimenticare, tra l’altro, è il senso di acuto pessimismo che l’intera mostra proietta sul visitatore: dimenticatevi figli dei fiori e zampe d’elefante, visto che il tema dominante della mostra sembra essere il terrorismo ed in particolare il sequestro Moro. Statisticamente, almeno la metà delle installazioni hanno un qualche riferimento alla faccenda: alcune (vedi “3,24 mq”, che è la riproduzione 1:1 della “cella” di Aldo Moro) ne parlano in maniera esclusiva, in altre frammenti di questo dramma collettivo esplodono e deflagrano come incubo dominante di quel decennio e (correttamente?) dell’intera mostra. Molto meno presenti, invece, gli sprizzi di positività dell’epoca: l’immaginario glamour tanto tornato di moda negli ultimi anni emerge praticamente solo nell’installazione dedicata a Fiorucci.

Nel complesso, dunque, annisettanta è una mostra che deve essere vissuta, spremuta e interiorizzata con attenzione: è facile rimanere turbati dalle copertine di Cannibale, ma si può anche sorridere scorrendo quelle dei tanti periodici nati in quel periodo; si può rimanere rattristiti dal velo di pesantezza calato sui Carosello selezionati da Gianni Canova per dimostrare la scoperta del “cibo industriale” degli italiani nei Settanta, ma poi ci si potrà divertire a scorrere gli albi delle figurine Panini. Si tratta di un decennio complicato e la mostra, ampliandone i confini, lo rende ancora più complesso: sia onore ai creatori di annisettanta per il coraggio dimostrato nel metterci di fronte alle assurdità del nostro passato recente. In attesa che, non è difficile intuirlo, dopo gli anni Sessanta e gli anni Settanta, la Triennale possa dedicare un evento ai tanto bistrattati anni Ottanta.