Le ricette del marketing universale sono un miraggio

Gianluca riprende un’interessante serie di articoli sui vincoli sciocchi che piccole imprese e negozianti al dettaglio impongono ai propri (potenziali) clienti: qualcuno limita l’accesso al distributore di bevande calde, qualche altro (ancora una volta) vieta severamente ai passanti di provare le sedie in vendita. Come sempre, la discussione nei commenti coinvolge clienti, esperti e (a quanto sembra di intuire) esercenti. Emerge che più di un lettore capisce le limitazioni imposte dai dettaglianti: il lasciar provare una sedia ad un numero indefinito di persone rende la sedia in oggetto un item da buttare in tempi brevi, a causa dell’usura e dell’incuranza. Ikea può permetterselo (male che vada poi la rivende super-scontata nell’apposito spazio), il piccolo dettagliante ha una perdita secca che potrebbe mangiare la somma dei margini di tutte le altre sedie sorelle.

Paolo (pseudonimo di fantasia) è un avvocato. Anzi, è uno dei Partner di uno studio legale particolare: è la ramificazione italiana di uno dei più importanti studi internazionali. Di mezza età, non ha una particolare affinità con quelle che chiama “nuove tecnologie”: usa tanto il cellulare, praticamente per niente il resto (tanto le e-mail gliele stampa la segretaria ed i report li scrivono/leggono i suoi adepti). Un suo uomo di fiducia un giorno a pranzo gli ha parlato di Studio Illegale, un blog (eh?) in cui si ironizza sulla vita da studio legale (orrore!) e da quel giorno Internet ha iniziato a perseguitarlo: un suo cliente, titolare di una nota agenzia di Webdesign milanese, gli ha proposto di aprire un (banale) sito, in chiave promozionale. Paolo, come era prevedibile, ha provato un brivido di terrore: il suo studio non ha bisogno di marketing, né tantomeno di qualcuno che commenti gli eventi dello studio o dei suoi segretissimi clienti.

Francesco (altro nome inventato sul momento) è l’ultimo discendente di un varesino che, a fine Ottocento, ha fondato un’azienda che attualmente esporta il 90% della sua produzione, composta da macchinari che le aziende clienti utilizzano per produrre pneumatici, carte di credito, pannolini. L’imprenditore contribuisce attivamente all’attività lombarda (120 aziende iscritte) e nazionale di Assocomaplast, l’Associazione Nazionale Costruttori di Macchine e Stampi per Materie plastiche e Gomma. Sul sito di questa consociata di Confindustria sono disponibili comunicati stampa, liste di soci in 6 lingue, descrizioni delle iniziative internazionali di promozione del settore: periodicamente viene aggiornato anche un video che spiega la leadership mondiale dell’Italia in un settore così di nicchia. Il sito e l’Associazione, insomma, fanno il loro sporco lavoro promozionale: si potrebbe fare meglio grazie al Web, perché no. O forse no.

Federica (fine della fantasia) è responsabile “New media” (sigh) di uno dei principali gruppi bancari nazionali. Sembrerebbe essere un’aficionada della Rete sociale: il suo profilo è rintracciabile in Linkedin, i suoi commenti più o meno mascherati vengono seminati qui e lì sui blog internazionali più noti (poco sugli italiani, a quanto dice). Pare che qualche settimana fa sia andata dal suo responsabile, cioè il capo del Retail del Gruppo in questione, per proporre l’idea di un corporate blog: il manager in questione ha iniziato ad avere le convulsioni ed in confronto ha fatto sembrare Paolo (vedi sopra) un profeta dell’informatica. Ha fatto pesantemente notare a Federica di non voler sovraesporre la sua Azienda sul Web e soprattutto di non voler essere in nessun caso il first mover: osservazione falsa, visto che IWBank ha lanciato IWPlanet ormai da qualche mese, qualcosa che va ben oltre un semplice blog aziendale.

Ciò che lega tutte le storie è che ogni business, ogni realtà aziendale (e sovra-aziendale), ha delle peculiarità tali per cui è difficile estenderle a priori i principi coi quali siamo usi confrontarci quotidianamente. Alcune modalità di interazione cliente-azienda che riteniamo in generale opportune per tutte le realtà, sono viste come fumo negli occhi da alcune o addirittura come pericolose da altre. Il marketing, che dovrebbe essere sempre (sempre) l’arma per migliorare la presenza sul mercato, viene visto con sospetto, né riesce a convincere della bontà delle proprie soluzioni universali. Sicuramente, il problema è nell’incapacità di chi tra noi non riesce a far capire la validità delle proprie strategie; probabilmente, però è anche colpa del nostro voler sempre mischiare professione (da markettari), vita quotidiana (da consumatori) e passioni (da blogger). I risultati, purtroppo, non sono sempre quelli più utili per le aziende ed i loro prodotti.

3 pensieri su “Le ricette del marketing universale sono un miraggio

  1. Caro Giuseppe,
    Con tutti i distinguo e le eccezioni del caso [a proposito di generalizzazioni] credo che la conversazione si trasformi sempre più in un chiacchiericcio di bassa leva e scarso valore. Esibizionismo e narcisismo del frustrato accompagnano costantemente la maggioranza delle proposte reperibili in questo multivariegato universo che con azzardo viene definito blogosfera italiana.
    Un abbraccio.
    Pier Luca Santoro

    PS: Ti sei guadagnato il “best of” del B-LINK-ing della prossima settimana. Buon week end.

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