La carica dei 101 (milioni di tappi di plastica)

Immaginate di mettere da parte i tappi di plastica delle bottiglie di acqua minerale, bibite o latte che consumate quotidianamente. Fatelo per una settimana, un mese, un anno: metterete da parte un ingombrante bottino di qualche centinaio di tappi in polietilene. Scoprirete di non essere gli unici appassionati di questa particolare collezione in Italia: migliaia di famiglie, ormai, sono coinvolte nella “febbre del tappo di plastica” e lo fanno con nobili intenti.

Qualcuno sorriderà ricordando le buste strapiene di scontrini che invadevano le case degli Italiani negli anni Ottanta: le leggende metropolitane allora portavano a raccontare di misteriosi enti che avrebbero regalato carrozzine a disabili una volta raggiunta una cifra considerevole di controvalore degli scontrini stessi; altri, più pragmatici, convincevano gli amici a raccoglierli al fine di portarli in centri specializzati in riciclaggio della carta.

Le raccolte, irrimediabilmente, si stoppavano nel momento in cui, riempiti interi mobili di scontrini, si scopriva di non aver mai saputo davvero chi contattare per rilasciare gli ingombranti bottini: il riciclaggio in Italia era una pratica ancora poco comune e mancava uno strumento di comunicazione come il Web a mettere in contatto i raccoglitori di scontrini sparsi per l’Italia, per scoprire insieme i destinatari o comunque disilludersi collettivamente dell’improbabilità della propria raccolta.

Oggi è facile incappare in mini-comunità virtuali in cui appassionati raccoglitori di materiale da riciclare a fini benefici e organizzazioni no profit si confrontano con aziende specializzate nel trattamento del polietilene, ma anche testimonianze dall’estero su questo particolare fenomeno.

Non è difficile, grazie al Web, scoprire che stavolta la raccolta dei tappi potrebbe essere un’idea decisamente più “reale” della raccolta degli scontrini di un paio di decenni fa: è facile leggere informazioni su Bouchons d’amour e sui piccoli-grandi progetti benefici finanziati dall’organizzazione francese. Allo stesso modo, fioccano anche i dibattiti sulle iniziative italiane e sulle relative difficoltà logistiche.

Anche gli scettici, bisogna dire, possono pubblicamente comunicare le proprie perplessità: effettivamente organizzare la raccolta, il trasporto e la successiva conversione di 101 milioni di tappi non è banale. Si raccoglieranno 35.000 Euro, certo, ma come qualcuno scrive in Rete, con uno sbattimento decisamente maggiore di quello di dare una monetina da 10 centesimi alla ONG sotto casa.

La morte dell’URL

Scriveva qualche tempo fa Mauro Lupi in un commento su dot-coma

«In realtà i box di ricerca stanno diventando uno strumento di navigazione, per cui molti scrivono i nomi dei siti sapendo che il primo risultato sarà proprio quello del sito dove voglio andare. Se fai il conto, scrivere “google” sul box di ricerca, dare Invio e cliccare sul primo risultato, fa in totale 8 hits (6 lettere e due click). Andare sulla barra dell’indirizzo del brower, scrivere “www.google.com” e dare invio fa 15 hits (14 lettere e un click). Lo so, ci sono le toolbar o altre cose, ma la SMS-generation risparmia anche su questo ;-)»

Bisogna ammettere che (era il 2006) tutti i puristi del Web ascoltavano questo tipo di scenari con un forte senso di fastidio: si faceva notare la differenza tra il digitare correttamente un indirizzo nella barra dei browser e il vedersi supinamente apparire un motore di ricerca come home page ed utilizzarlo per avviare la navigazione magari digitando nella relativa casellina – orrore! – il nome di siti conosciuti (“ebay”, “amazon”, etc.) o addirittura l’intero indirizzo Web. Un comportamento giustificato dagli utenti in vari modi, ma sicuramente “contrario” alle tradizioni del Web.

Bisogna dire che la casella di ricerca su Firefox prima e soprattutto quella su Internet Explorer 7 poi hanno cambiato lo scenario: non è infrequente avviare una navigazione proprio da lì e – mea culpa! – soprattutto sui dispositivi mobile, si scopre di comportarsi esattamente come gli “utonti” di cui ci si lamentava qualche mese prima. Si finisce a navigare come si faceva 20 anni fa nei walled gardens internazionali: si usano le keyword direttamente nello strumento di navigazione, siano esse i termini di cui sfogliare i risultati su un motore di ricerca o per le quali si ha già in testa un sito ben preciso.

Proprio stasera il blog di Google Italia ha pubblicato una guida sulla corretta formattazione degli indirizzi al fine di renderli più intellegibili al motore di ricerca e più amichevoli per gli utenti finali. I quali, però, ormai destinano pochissima attenzione all’indirizzo dei siti, proprio esercitando una fede immensa nei “poteri” di Google e dei suoi fratelli. I puristi di cui sopra, sui relativi blog, continueranno a formattare nel migliore dei modi i propri indirizzi; i relativi lettori ignoreranno del tutto questi sforzi, continuando a digitare il nome del blog in questione sul motore di ricerca. Stessa ricerca, stesso risultato, tutti i giorni.

Non sono trascurabili gli impatti che questa tendenza ha sulla pubblicità in Rete e su quella tradizionale. La scorsa settimana Josh Catone ha pubblicato un articolo su Kellogg’s in cui racconta il successo di una campagna pubblicitaria tradizionale in cui la call to action non è stata il tradizionale “digita www.qualcosa” ma “inserisci la keyword su Yahoo!”. Il motore di ricerca ha supportato la campagna sia in termini di posizionamento sui risultati tradizionali che con un box pubblicitario ad hoc direttamente sulle SERP. I risultati parlano di una risposta 10 volte superiore alle campagne precedenti: fosse anche il doppio, sarebbe già un’enormità.

Retequattro, ormai è tardi

Qualsiasi cittadino mediamente informato dovrebbe ormai conoscere a menadito l’evoluzione storica del Lodo Retequattro, vale a dire l’inquietante ammasso di leggi, decreti e sentenze che nel tempo si è stratificato e trasformato in un unico fenomeno: la garanzia eterna della sopravvivenza di Retequattro sulle onde analogiche della televisione tradizionale. Un obbrobrio normativo partito ormai 20 anni fa, ma che non ha mai creato grossi scossoni alla rete “povera” del Gruppo Mediaset, specializzata in film e telenovele.

L’unico vero momento di preoccupazione per le reti televisive controllate da Fininvest è stato in realtà ormai quasi 25 anni fa, proprio pochi mesi dopo l’entrata di Retequattro nel gruppo del Biscione: era la metà degli anni Ottanta e l’acquisizione della rete precedentemente controllata da Mondadori aveva fatto scattare l’attenzione di alcuni magistrati sulla liceità delle trasmissioni televisive private su scala nazionale. Risultato: trasmissioni Fininvest sospese in Piemonte, Abruzzo e Lazio e lo spettro del fallimento.

Un bell’articolo di Paolo Dimalio su PeaceLink racconta come andò a finire quella vicenda: l’insieme dei “Decreti Berlsuconi” risollevò le sorti dell’allora unico gruppo televisivo privato nazionale, grazie ad un intricato quadro di accordi non scritti decisamente poco eleganti tra il Presidente del Consiglio Craxi, l’allora responsabile per l’informazione del PCI, Walter Veltroni, e il plenipotenziario DC De Mita. Spartizioni di potere che oggi farebbero accapponare la pelle, ma che hanno segnato la storia della TV in Italia.

Superato il più grosso degli scogli, quello della possibile chiusura, il gruppo televisivo guidato da Berlusconi non ha mai temuto davvero gli urletti di Francescantonio Di Stefano e della sua Europa7. Da un lato le spalle coperte dalla politica, dall’altro l’ormai consolidata abitudine dei telespettatori a trovare Fede sul quarto tasto del telecomando, hanno sempre garantito a Mediaset di continuare a trasmettere in analogico in barba a qualsiasi tentativo europeo di far cessare questa abitudine alquanto fuorilegge.

Non è bastata nemmeno la batosta da 350.000 Euro al giorno che le istituzioni Europee hanno comminato all’Italia appena pochi mesi fa. La rete “gialla” continua a trasmettere perle come Vieni avanti cretino e la sua scomparsa farebbe arrabbiare milioni di casalinghe e appassionare appena qualche migliaio di strenui difensori della legge. In queste ore si sente parlare degli ennesimi intrallazzi per salvare la rete dallo spostamento sul digitale: ormai è tardi, chi se ne importa. Tra pochi mesi, il passaggio, dovranno farlo tutte le reti…

Eventi di primavera

Un anno fa, di questi tempi, la blogo-pallina italiana (soprattutto quella più marketing-oriented) si divertiva a confrontarsi nei Marketing blog Playoffs 2007: tante allegre discussioni, un gran patema d’animo da parte dei partecipanti ed un sommo divertimento da parte dei giudici. La simpatica scampagnata finale del Marketing Barbecue, poi, ha chiuso in bellezza un mese di maggio 2007 soleggiato e decisamente segnato da un sacco di eventi a tutti i livelli.

Anche questo piovoso maggio 2008, a dire il vero, non è da meno. È mancato un Barcamp non tecnologico com’era stato il Litcamp l’anno scorso, ma a sbirciare resoconti e foto dei partecipanti al Materacamp, verrebbe da dire che l’amicizia trasversale tra blogger tecnofili e blogger tuttofili ha comunque avuto un’occasione di rafforzamento. Anche il prossimo Microcamp, vista l’ampia partecipazione, sembrerebbe altrettanto foriero di nuovi rapporti umani.

Il mese di maggio ci ha regalato anche eventi meno informali, ma dall’alto spessore scientifico e culturale: primo tra tutti il Forum della ricerca e dell’innovazione, che è in corso in questi giorni a Padova. Molti blogger si sono concentrati sugli interessanti incontri a proposito del futuro di Rete e social networking; tuttavia, il programma è ampio ed articolato e fa veramente rimpiangere l’impossibilità di partecipare alla maggior parte dei dibattiti.

L’altro grande evento impossibile da non vivere, quantomeno indirettamente, è stata la tradizionale Fiera del Libro di Torino, che mai come quest’anno è riuscita a far parlare di sé con l’idea di invitare Israele come paese “guida” dell’evento. Il lato positivo della faccenda è stato attirare attenzione sulla Fiera, quello negativo il prevedibile calo di visitatori dovuto al terrore di attentati terroristici. La Fiera del Libro forse meritava una promozione di livello più alto.

L’ultimo pensierino va invece al prossimo evento clou per i markettari residenti in Lombardia e regioni limitrofe: l’incontro di metà giugno a Milano con Philip Kotler. Chi sia Kotler e perché la sua presenza in Italia abbia sollevato una così ampia attesa è difficile da dire a chi non si è mai occupato di marketing: basterà dire che metà di chi l’ha fatto, ha imparato a farlo sui suoi testi sacri. E l’altra metà, lavora abitualmente alle dipendenze di chi l’ha imparato ormai decenni fa.

Un popolo di poeti, saggisti ed editori

Non è vero che tutti gli Italiani abbiano un libro nel cassetto: alcuni, infatti, lo hanno anche pubblicato. Lo hanno fatto, nella stragrande maggioranza dei casi, a proprie spese: volumi di prosa e poesia di vario genere, ma anche saggi sulle più svariate discipline, da regalare (o vendere, nei casi più disperati) a familiari, amici, colleghi, conoscenti. Una mania dilagante che ha radici antiche: molte minuscole case editrici di provincia hanno basato esclusivamente i propri bilanci su questo narcisismo creativo. Nemmeno le case di media dimensione sono state immuni: in questo caso, i libri pubblicati sono stati quelli “sponsorizzati” dalle aziende, che poi li regalano a clienti e fornitori.

Ma poeti di provincia e manager da regalo natalizio hanno sempre avuto uno scoglio insormontabile davanti: le loro opere non sono mai state acquistate volontariamente dai lettori e perciò difficilmente lette davvero. La loro diffusione è sempre stata limitata e soprattutto ha risentito dell’aassenza dell’arma di marketing più importante in ambito editoriale: il passaparola entusiasta dei lettori, vale a dire (nemmeno a farlo apposta) il sale stesso di Internet. Era prevedibile, perciò, che questi due mondi prima o poi si sarebbero incontrati: Produttori di contenuti da una parte, potenziali lettori dall’altra e soggetti economici predisposti a intermediarli riducendo all’osso i costi industriali di produzione.

Si spiega così il successo internazionale di Lulu.com, la piattaforma che negli anni si è saputa distinguere per essere diventata un buon sistema di e-commerce prima ancora che di self publishing. Si spiega ancora di più lo spazio di mercato di Ilmiolibro.it, iniziativa patrocinata dal Gruppo L’Espresso che riassume tutti gli elementi vincenti di questo business model: costi limitatissimi per gli autori, prezzi decenti per gli acquirenti e una comunità che li coinvolge e serve a mettere in primo piano i testi più meritevoli. Un buon sistema che fa della flessibilità e non della produzione industriale il suo cardine: una copia di un libro ha lo stesso prezzo di un centesimo di un lotto di cento copie.

Siamo abbastanza lontani dagli eccessi di Amazon ma siamo sopratutto distanti dal livello “professionale” di TuttiAutori di LampiDiStampa, il primo operatore specializzato in Italia, che però ha sempre presentato costi minimi all’apparenza insormontabili per gli scrittori alle prime armi. Ilmiolibro.it sembra essere un sistema più amatoriale, ma proprio per questo dalle prospettive rosee. Chissà che presto, tra un panino e l’altro, il Gruppo L’Espresso non decida di portare in edicola i libri che avranno avuto maggior successo sulla sua piattaforma: sarebbe il trionfo di un nuovo modo di intendere l’editoria, la voglia di scrivere e soprattutto l’opportunità di leggere.

Il traffico impazzisce? Questione di fortuna

Effetto StumbleUpon sulle statistiche di Pollicinor

L’immagine qui sopra, che molti riconosceranno come tratta da Google Analytics, rappresenta una curiosa storia di ordinaria follia Web-analitica. La linea blu rappresenta i visitatori di circa un mese di Pollicinor, il tumblelog che è nato a fine giugno 2007 come spazio per raccogliere annotazioni, foto, video e link interessanti che non trovano spazio su blog più “formali” come .commEurope. Un sito-bonsai che, negli ultimi mesi, ha avuto un traffico di un centinaio di visitatori unici quotidiani, cui vanno aggiunti i lettori via Feedburner (circa una cinquantina) e quelli via dashboard di Tumblr (un’ulteriore cinquantina).

Numeri onesti per uno spazio senza alcuna pretesa. Numeri “gonfiati”, la prima volta, ad inizio aprile (vedi bubble sul grafico), per la ri-pubblicazione dell’ormai celebre video di Luca Luciani, citata su Wikio. Numeri “impazziti”, a metà aprile, per la ri-pubblicazione di un divertente (ma dagli esiti seri) diagramma di flusso per decidere se e quando forwardare e-mail a catena, ripreso da un utente italiano su StumbleUpon. Una segnalazione che ha generato una girandola infinita di citazioni sulla piattaforma stessa, che ha raccolto anche le centinaia di commenti che comunque non sarebbero potuti essere inseriti sul tumblelog.

L’effetto è stato un incremento dei visitatori sino a 14.000 al giorno ed una stabilizzazione tra i 3.000 e i 5.000 utenti unici giornalieri. Qualcosa di simile, sebbene in miniatura, a ciò che è successo ad Alberto Falossi il giorno in cui, come racconta Luca Conti, ha avuto la prontezza di riflessi di rilanciare sul suo blog la notizia, letta da un quotidiano gratuito, dell’ormai nota pubblicazione in Rete delle dichiarazioni dei redditi 2005. Un botto, stavolta, fatto esclusivamente di utenti italiani e soprattutto compiuto nel più classico dei modi: grazie alla presenza temporanea al primo posto dei risultati di una ricerca su Google.

Prima il mini-picco di Luca Luciani via Wikio, poi il picco via StumbleUpon, poi il super-picco sulle dichiarazioni dei redditi via Google. Strumenti diversi ed utilizzati in maniera ancora maggiore di quanto previsto: tutti ottimizzano il traffico per il principale motore di ricerca, ma forse è arrivato il tempo di conoscere meglio anche strumenti che non abbiano i limiti intrinseci di un Technorati qualsiasi, ma che supportano bene gli utenti in ciò che amano di più: trovare informazioni interessanti nel momento giusto. Come fare ad intercettarli? Questione di fortuna, visto che nessun SEO potrà mai scrivere ciò che è di competenza dell’autore.

Lo Stato che ama/odia Internet (e noi?)

Non si riesce, francamente, ad avere una posizione precisa sul tema della pubblicazione integrale dei dati fiscali degli Italiani che il viceministro Vincenzo Visco ha predisposto negli scorsi giorni. Si inizia una riflessione a mente fredda e si arriva a pensare “Ottima idea, visto che così si sa chi paga veramente le tasse in Italia!”. Poi subentrano sentimenti come paura e invidia e si arriva a domandare “Ma se poi i ladri leggono i redditi dei benestanti e vanno a scassinare le loro villette?” oppure “Perché X dichiara un reddito così basso quando è un noto professionista locale?”.

Non è una coincidenza, tuttavia, che questo stato di incertezza accompagni un po’ tutte le (ormai numerose) iniziative dello Stato che vanno verso un maggior utilizzo della Rete nell’interazione tra uffici della Pubblica Amministrazione e soprattutto cercano di migliorare l’interazione tra cittadini e Stato stesso: tutti gli heavy user di Internet in Italia ricorderanno, ad esempio, l’improbabile obbligo di mandare copia dei siti alla Biblioteca Nazionale di Firenze e le infinite polemiche che ne scaturirono, le nette prese di posizione a favore e soprattutto contro l’iniziativa.

Siamo in uno Stato in cui il Presidente della Repubblica parla di un «mondo aggressivamente multimediale» per motivare i giornalisti della carta stampata a detrimento dell’informazione via Web, ma in cui lo Stato stesso, ormai da tempo orientato sulla strada dell’e-mail certificata, ha nel tempo scoperto i potenziali risparmi che un uso accorto di questi strumenti possono presentare nella perigliosa lotta alla burocrazia e ai suoi costi mostruosi. Noi, però, continuiamo a guardare in maniera preconcetta a qualsiasi decisione statale, senza essere mai convinti davvero della “buona fede” di queste iniziative.

Capita così che nelle stesse ore in cui è stata resa nota una nuova piccola-grande rivoluzione in ambito Giustizia, con un rinvigorito approccio all’uso dell’e-mail certificata tra i Tribunali, la nostra attenzione è andata agli strali di Beppe Grillo contro Visco e la sua idea (teoricamente) anti-evasione. In fin dei conti, il problema non è l’improvvisa impennata della presenza dello Stato sul Web: è l’enorme sfiducia che abbiamo l’uno per l’altro. In un Paese perfetto, non si arriverebbe a parlare di aggressività multimediale e ad esercitarla per accusare lo Stato di essere governato dai mafiosi come ha fatto Grillo.