I videogiochi stracciano i film

Sebbene siano ormai passati diversi lustri da Titanic e dalle sue notti stellate fatte col Paintbrush di Windows 3.1, ancora oggi non è così infrequente trovare film realizzati anche con budget importanti, ma con effetti speciali terribili: i film in 3D in questo senso non brillano per naturalezza e fluidità dei panorami. La bellezza e il successo di Inception forse derivano anche dall’uso contenuto di effetti speciali.

Negli scorsi anni, una tipica battuta all’uscita del cinema era «Sembra di aver visto un videogioco», con riferimento ai giochi che ci avevano abituato a texture tridimensionali e scenari un po’ finti, ma in qualche modo derivanti dalla potenza limitata dei nostri calcolatori. In realtà, negli ultimi anni la qualità grafica dei videogiochi ha raggiunto vette eccezionali. Ora si sente dire: «Questo videogioco sembra un film!»

Escono i film e contestualmente vengono rilasciati videogiochi che riprendono atmosfere e sceneggiature complesse, ispirate ai film stessi; allo stesso tempo, sempre più frequentemente film di successo vengono tratti dai videogiochi, un po’ come un tempo avveniva con i fumetti. In qualche modo anche lo sviluppo qualitativo dei film in animazione (Pixar insegna) ha contribuito a questa progressiva convergenza.

In un simile contesto, fa sussultare ma non sorprende che Call of Duty Black Ops, un nuovo videogame tridimensionale di Activision Blizzard, abbia battuto i record di incassi sui primi cinque giorni, arrivando a 650 milioni di dollari. Si badi: i record sono quelli per l’intero settore dell’entertainment, quindi il gioco in questione ha superato in scioltezza anche qualsiasi film o album musicale uscito nella storia.

Per avere un metro di paragone, si può osservare il successo di Avatar: negli scorsi mesi ha superato il Titanic come film con maggiori incassi della storia e dopo circa un anno dall’uscita ha incassato 2,7 miliardi. È probabile che Call of Duty Black Ops non arrivi a un incasso totale di simili dimensioni, ma c’è un fattore che il film non potrà mai superare rispetto al film: il tempo speso per usufruirne.

Pur assumendo che qualche fanatico dallo stomaco forte abbia visto Avatar più di una volta, non potrà mai aver speso nemmeno una frazione del tempo che un utente medio del videogioco passerà, giocando in locale o in multiplayer, con la puntata in questione (la settima) della saga Activision Blizzard, con le precedenti o con quelle che sicuramente usciranno nei prossimi anni, con tempi di logorio lunghi del marchio.

Non è difficile immaginare che le console di gioco saranno un must delle prossime vacanze natalizie. Nonostante i tre modelli principali (Wii, PS3 e XBox 360) abbiano ormai diversi anni sulle spalle, tecnologie come Kinect stanno riuscendo a far breccia anche nel pubblico un tempo poco sensibile al videogaming. Magari quello che un tempo spendeva il tempo (e i soldi) al cinema o ascoltando musica.

Oltre i cinque milioni

La buona notizia televisiva di queste settimane probabilmente non è il successo in sé di Vieni via con me, quanto che il boom di spettatori del programma non sia legato alla presenza di questo o quel personaggio noto, Benigni in primis. Di questo boom ogni analista sta dando una lettura diversa, ma in qualche modo la sensazione condivisa è che una volta tanto RaiTre sia riuscita ad andare oltre il pubblico radical-chic di riferimento.

Come ha notato Luca Sofri, negli scorsi giorni Beppe Severgnini è tornato sulla quantificazione di un gruppo di circa 5 milioni di Italiani, accomunati da consumi culturali elevati, come unico nucleo “informato” in mezzo alla massa del gregge degli elettori. Merito del programma di Fazio e Saviano sarebbe aver sfondato questo muro, riuscendo a “informare” un pubblico più ampio, magari fuori dal circolo degli antiberlusconiani militanti.

Essere “altoconsumanti” in termini di cultura e informazione vuol dire avere una base scolastica/universitaria adeguata e un reddito sufficiente per poter acquistare libri, sottoscrivere la pay TV satellitare, andare al cinema. Nel linguaggio Auditel è il target chiamato “AA” e ovviamente il “club” indicato da Severgnini coincide in larga parte con questo segmento, che gli analisti politici etichettano spesso come affine al Centrosinistra.

Ai nostri nonni suonerebbe un po’ strano, pensare che essere di Centrosinistra significhi essere parte del (o quantomeno venir analizzati nel) gruppo di persone benestanti amanti dell’arte e della cultura, della buona gastronomia e delle tecnologie dell’informazione, che si indigna a piè sospinto per il cattivo governo dei cattivoni di centrodestra ma poi è geneticamente incapace di eleggere rappresentanti migliori al Governo.

Il club degli acculturati-eternamente-all’opposizione non si nutre solo di Annozero e canali satellitari, anzi sempre più si vanta di non possedere nemmeno la TV. Funziona sempre più come riserva di caccia per editori e ristoratori, ma continua ad avere un rapporto infantile con la politica. Forse quando Saviano si butterà in politica lo seguirà. Forse al contrario lo ignorerà del tutto, aspettando un altro idolo da esaltare. In TV, in libreria.

La crescita vertiginosa del costo di acquisizione Cliente

C’è una cosa che accomuna in maniera evidente Compagnie telefoniche, Banche, Pay TV e progressivamente anche le Utilities che stanno iniziando a operare sul libero mercato dell’Energia: la corsa suicida verso l’aumento del costo di acquisizione Cliente. Una voce che per ogni azienda, anche di medie dimensioni, cuba milioni di Euro, ma che difficilmente si rileva a occhio nudo leggendo i bilanci. Col cappellino del Prospect, siamo felici quando una di queste aziende ci regala uno smartphone, un biglietto aereo, un buono sconto di un centinaio di Euro, o ci abbuona un semestre dei propri servizi. Col cappellino del Cliente, siamo arrabbiati perché alle stesse promozioni noi non abbiamo diritto. Col cappellino del Markettaro, incrociamo le dita che la promozione abbia successo e il Prospect “si converta” a Cliente.

Gianluca Diegoli racconta una vera e propria follia che costituisce l’altra faccia della medaglia, quella degli aggressivi agenti di vendita. Quei personaggi che, vivendo di percentuali sul venduto, non si fanno troppi problemi a gonfiare i propri numeri forzando a proprio piacimento le regole ferree stilate dagli uffici Marketing per trasformare tanti Prospect in Clienti; proprio quelli che poi finiscono su Striscia la Notizia o programma analoghi per le truffe che finiscono per incidere sulla reputazione delle aziende mandanti. Non tutti possono essere incumbent sul mercato della telefonia fissa o godere di altri vantaggi simili, che garantiscono di poter campare sulle cash cow per decenni. La maggior parte delle aziende deve prima costruirsi una base di Clientela massiccia, sperando poi che più che la retention potrà la fatica di cambiare fornitore.

Il “problema” (diciamo così, provando a pensare a chi un tempo dormiva sonni tranquilli mentre i canoni mensili scorrevano tranquilli) è che le Normative antitrust in tutti i settori cercano di smontare le rendite di posizione e oggi cambiare operatore telefonico mobile o fornitore del mutuo è abbastanza facile. E quindi sì, scateniamoci tutti a cercare di rubare Clienti alla concorrenza. Facciamo lievitare i costi di acquisizione nell’ordine delle centinaia di Euro, tanto l’Arpu (o il Minter, per chi si occupa di Banche) prima o poi andrà a regime, magari nel giro di un lustro o di un decennio o (è il caso di alcuni prodotti destinati ai giovani) di un ventennio. Periodi sufficientemente lunghi perché un altro concorrente, magari arrivato sul mercato dopo di noi o ancora più aggressivo, si lanci a sua volta in un’iniziativa acchiappa-Clienti.

Il mea culpa lo dobbiamo fare tutti, Manager e Consulenti, perché non abbiamo saputo costruire relazioni commerciali sufficientemente solide con i Clienti già acquisiti, puntando più sulla loro ignavia che su un reale interesse verso le aziende e la loro offerta. Quando si sono svegliati dal letargo, non abbiamo fatto altro che costruirci trappole a vicenda, tanto per raggiungere i budget del semestre che, tipicamente, includono proprio il numero di Clienti acquisiti tra i KPI. Alcuni di noi dicono che è colpa della Rete che ha amplificato le dinamiche della concorrenza feroce, altri la ringraziano proprio per l’aumento delle opportunità di entrare in contatto coi Prospect. In un certo senso, hanno vinto i Clienti, ma non nel senso di aver ottenuto migliori servizi da parte nostra: hanno vinto qualche cellulare e qualche buono sconto.

Umberto Eco e l’addio alla contemporaneità

Molti di noi sarebbero disposti a raccogliere firme per assegnare un Nobel a Umberto Eco. Certo, magari non per la Letteratura, ché altri autori forse negli anni hanno puntato un po’ meno sul blockbuster-a-tutti-i-costi; se esistesse un Nobel per la Cultura a tutto tondo, però, quello al Professore non lo leverebbe nessuno. Perché sicuramente la sua figura ha segnato in maniera profonda il dibattito culturale europeo degli ultimi decenni.

Non è un caso che, come tanti topolini dietro al pifferaio magico, migliaia di noi abbiano seguito Eco nei suoi progetti universitari: il DAMS, la Scuola Superiore di Studi Umanistici o, forse ancora più emblematicamente, il Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione, che dai suoi studi semiologici ha preso vita, per poi seguire la parabola discendente di un fondatore che sempre più oggi appare alieno dalle cose del mondo.

Amaro a dirsi, quell’Eco che era riuscito a scardinare e ridefinire i connotati della televisione nel nostro Paese, che col Gruppo 63 ha guidato in prima persona l’avanguardia culturale italiana, negli anni ha iniziato a involvere in una caricatura del docente universitario lontano dalla quotidianità, dell’intellettuale chiuso nella torre eburnea, dello scrittore che cadenza le sue uscite in libreria per massimizzare il ciclo di vita dei propri testi.

Quanto ci manca, l’Umberto Eco sempre un passo avanti, sempre illuminato e intellettualmente illuminato. Ci manca perché oggi è irriconoscibile, con le sue teorie a volte addirittura retrograde sulle potenzialità della Rete. Aldo Grasso ha ironizzato sull’Eco-prezzemolo degli scorsi giorni, intento a promuovere Il cimitero di Praga nei programmi televisivi radical-chic come un anziano autore qualsiasi. Quanto ci manca.