Ciò che rimarrà impresso del 2010

Puntuale come il Capodanno, anche quest’anno .commEurope ammorba i lettori con le considerazioni di fine anno. Auguri ai lettori per un sereno 2011, sperando che si consolidino i barlumi di ottimismo visti nel 2010.

Trend principale dell’anno: Mobile Internet

Non è per scrivere “si era detto qui“, ma in effetti il 2010 è stato davvero l’anno del Mobile Internet per le masse. Unico punto degno di nota: rispetto alla classica navigazione via browser tipica dei PC, Internet sugli smartphone ha assunto soprattutto il volto delle apps. Non solo iPhone: Android sta facendo passi da gigante da tanti punti di vista, mentre languono sempre più RIM, Microsoft e persino Nokia.

Oggetto dell’anno: Apple iPad

Fortemente collegato al punto precedente, il tablet di Apple ha costituito il ponte storicamente mancante tra PC e cellulari: ciò che non erano riusciti a fare i pesantissimi notebook negli scorsi decenni, ha potuto un oggetto costoso, ma semplicissimo da utilizzare. Sul mass market hanno tenuto duro i netbook: magari non ne sono stati venduti più tanti come gli anni scorsi, ma ormai è chiaro che notebook = PC fisso.

Delusione dell’anno: gli e-book reader

Pare che nell’ultimo Natale siano stati regalati soprattutto lettori Blu-Ray ed e-book reader. Tuttavia, se la prima tecnologia ha ormai superato l’estenuante guerra dei formati, la seconda è preda di un delirio mai visto: non è questione di hardware (l’iPad di cui sopra e l’Amazon Kindle potranno far bene in futuro), ma proprio di software e formati. Una situazione imbarazzante, che non aiuta l’editoria in forte crisi.

Piattaforma dell’anno: 2Spaghi

Se ne parlava qualche mese fa quando ancora la piattaforma era un divertissement per geek in trasferta. Negli ultimi mesi 2Spaghi ha avuto una bella crescita e ha iniziato a investire correttamente sul mobile. Come notava Alberto D’Ottavi negli scorsi giorni, finalmente anche in Italia c’è una case history Internattara interessante da narrare agli scettici. Partita nel 2006 e con grandi aspettative per il 2011 e non solo.

Azienda dell’anno: BP

L’azienda di cui si è parlato (male) di più nel corso del 2010 è stata, ovviamente, BP. Il disastro ambientale che ha provocato sulle coste del continente americano rimarrà nei libri universitari di diverse facoltà: non solo ingegneria ambientale o biologia o chimica, ma anche comunicazione, marketing, giornalismo. Una storia che ci ha insegnato molto, ma da cui sembra molti non vogliano imparare abbastanza.

Personaggio dell’anno: Julian Assange

Sebbene molti di noi potrebbero ricevere un maggiore impatto sulla propria vita da parte della vicenda di Paola Caruso più che dal vociferare planetario su Mark Zuckerberg o dalle rivelazioni di Julian Assange, è probabilmente quest’ultimo che rimarrà nelle nostre memorie come outsider dell’anno. Gli impatti della sua attività sul mondo reale sono ancora agli inizi: speriamo siano positivi, non destabilizzanti.

La strada di Diaspora? Lunga lunga

La paura che la fine di FriendFeed sia vicina è ormai stabile quanto l’etichetta “Beta” sui siti che ancora si fanno chiamare Web2.0 nonostante l’odio generalizzato verso questa espressione. Un qualcosa di irrazionale, che però continua a mietere proseliti. Anche quelli che fino a qualche settimana fa si mostravano “razionali” nei confronti della crisi della piattaforma, dopo l’ultimo week-end nefasto hanno iniziato a guardarsi in giro.

Così, nelle stesse ore in cui per la prima volta Facebook citava FriendFeed sulle sue pagine come “laboratorio” in cui sperimentare il nuovo sign-on tramite il social network blu, molti di noi sono caduti nella “trappola” di Diaspora. Che la label Beta ancora se la sogna, visto che fa chiamare Alpha una versione che un tempo per decenza non si sarebbe fatta vedere a nessuno. Tantomeno al grande pubblico, per quanto “su invito”.

Vista la viralità degli inviti (ne vengono assegnati 5 a ogni nuovo sottoscrittore), peraltro, è bastato un week-end perché centinaia (migliaia?) di utenti stanchi di FriendFeed andassero a cercar (per poche ore) pace altrove. Il risultato è che oggi i nostri profili stanno lì, tendenzialmente vuoti, incapaci di accogliere input da social network esterni (come avviene per le altre piattaforme) e timidamente linkati ai profili su Facebook e Twitter.

Diaspora ha tanta strada da fare, ma come si ricorderà aveva ottenuto discreta visibilità sui media già ai tempi dell’annuncio, grazie al mini-investimento di Mark Zuckerberg che, più che essere masochista e contribuire al vero nemico di Facebook, ha saggiamente investito su un laboratorio che, necessariamente, dovrà portare innovazione per distinguersi sul mercato. Innovazione che, onestamente, al momento manca.

L’unico punto distintivo, infatti, è la (remota?) possibilità di installare Diaspora su propri server; per il resto, a parte qualche bizzarra uscita di marketing, siamo al solito scrivi-il-tuo-nome, metti-in-lista-i-tuoi-amici, carica-la-fotina-del-profilo. Aspettiamo di vedere i risultati dell’evoluzione, anche se si sperava in qualcosa di più sconvolgente. O almeno in un clone di FriendFeed, che nella sua semplicità ci piace ancora tanto.

Wikileaks e Assange vs. mondo reale

È di poche ore fa la notizia che Julian Assange ha ottenuto gli arresti domiciliari, sotto la condizione di indossare un braccialetto elettronico e fare un salto quotidiano al commissariato di polizia. Molti attivisti tirano un sospiro di sollievo, altri sghignazzano: da bravo hacker, Assange può commettere tutti i crimini (se così si possono chiamare) che vuole, basta un PC.

Di tutta la storia della fuga internazionale dell’australiano e della guerriglia telematica che l’ha accompagnata, colpiscono soprattutto la continua (volontaria?) incomprensione reciproca tra (presunti) tutori dell’ordine e (presunti) martiri della libertà informativa: a ogni passo in avanti nel disvelamento delle (presunte) verità è stato contrapposto un esercito di stecchini.

Per quanto pungenti, gli stecchini volano via con un soffio. Invece di calare gli assi pesanti delle attività connesse alle delicata attività di spionaggio internazionale, i magistrati hanno continuato ad accusare Assange di crimini marginali, suscitando perplessità e prese di posizione negative anche da chi, in fin dei conti, dalle pubblicazioni di Wikileaks aveva ottenuto solo danni.

Da un lato è bene che il sito continui la sua attività di approfondimento, magari senza gli eccessi di protagonismo del suo fondatore; dall’altro, non è difficile immaginare colpi di coda di quest’ultimo che vadano oltre il gossip internazionale “svelato” negli ultimi rilasci e magari investano grandi organizzazioni, di carattere industriale, finanziario, o assicurativo.

Questo potrebbe creare nuovi baratri nella crisi che continua a perdurare e questo no, non è un bene. Quando la pubblicazione delle informazioni di Wikileaks inizierà a produrre effetti sul mondo reale quali licenziamenti o chiusure di aziende, Assange perderà l’appoggio dell’opinione pubblica, che fino ad ora si è dimostrata piuttosto positiva nei suoi confronti.

Tutti sembrano incrociare le dita per il destino di Wikileaks, che ha portato trasparenza tra i politici. Saltino le poltrone di coloro che hanno fatto una professione della menzogna; rimangano al loro posto, però, i decision maker, pubblici o privati, che magari sono ricorsi a più banali segreti industriali o commerciali: c’è già abbastanza tensione nell’economia mondiale.

Amazon, La Feltrinelli e il gigantismo

Una strana coincidenza ha voluto che a fine novembre, nelle stesse ore, il mondo italiano della distribuzione editoriale venisse toccato da due novità solo all’apparenza diametralmente opposte: il debutto di Amazon in Italia e l’apertura del più grande punto vendita La Feltrinelli, nella Stazione Centrale di Milano. “All’apparenza” perché è vero che il primo evento segna un bell’assist per l’e-commerce e il secondo un buon investimento per la catena più forte d’Italia, ma entrambe le iniziative sono accomunate dalla voglia di gigantismo che contraddistingue i relativi debutti. E non solo in termini di assortimento editoriale.

A fronte di una modesta marginalità e di un mercato tutto sommato stagnante, librerie tradizionali e siti di e-commerce sono stati negli anni travolti dalla voglia di vendere di tutto di più: Amazon vende i tosaerba e i servizi di cloud computing migliori degli Stati Uniti, La Feltrinelli vende muffin e DVD nelle stazioni. E oggi proprio La Feltrinelli, che dopo il bagno di sangue di Zivago negli anni si è costruita una solida esperienza in ambito e-commerce, potrebbe essere tra gli attori più colpiti dal debutto in grande stile di Amazon. Con i prezzi folli del retailer statunitense, di fatto, è impossibile competere in maniera diretta.

I modi di reagire, per i concorrenti diretti di Amazon nel settore editoriale, sono due: concentrare gli sforzi sul proprio core business, puntando sulle nicchie più che sui best seller, oppure portare il gigantismo delle librerie tradizionali (o di quello che sono diventate) anche su Internet. In entrambi i casi, però, Amazon ha le spalle più larghe in Europa e i piedi più deboli in Italia, almeno fino a quando non manderà a regime la macchina distributiva. Per ora, gli altri player dell’e-commerce italiano dovranno aspettare che sfoghi le sue aggressivissime campagne promozionali di lancio prima di poter riprendere fiato.

La speranza è piuttosto che l’ingresso in grande stile di Amazon crei il volano necessario per far crescere i volumi totali dell’e-commerce italiano, più che provocare la redistribuzione dei già asfittici fatturati attuali. Per i Clienti finali, d’altronde, l’ingresso di nuovi player sul mercato del commercio elettronico porterà doppi benefici: alcuni attori si spaventeranno, ma proprio per questo torneranno a presidiare il canale fisico con maggiore attenzione; altri accetteranno la sfida e cercheranno di giocarla ad armi pari. Forse era quello che aspettavamo, dopo anni di commercio sonnolento, elettronico o meno.