Nepotismi giornalistici

De Sica, Gassman, Tognazzi, Amendola: cognomi di grandi interpreti del passato, ma anche di attori celebri di oggi. Un’intera generazione di attori cresciuta all’ombra dei padri, mostri sacri del cinema italiano; ad ogni intervista, la sensazione comune di essere cresciuti sgambettando per i set cinematografici, di aver trovato lo sbocco “naturale” della propria carriera (e della propria vita) sullo schermo.

È un po’ la logica del circo: cresci nel tendone, pensi che quella sia l’unica strada per il tuo futuro e l’ambiente circostante ti appoggia in quanto “figlio di”. La trasmissione da genitore a figlio della stessa professione (e si immagina della stessa passione) è d’altra parte cosa comune in Italia e sicuramente ha un suo senso industriale nel caso degli imprenditori che cercano di affidare l’azienda familiare ai figli.

La perversione del meccanismo appare quando si esce da spettacolo e imprenditoria: è luogo comune che i figli di notai diventino notai, che i figli dei docenti universitari seguano le tracce dei genitori in Facoltà. Negli ultimi anni lo si è visto con i giornalisti: i cognomi sono sempre gli stessi e in questo caso ci sono poche giustificazioni, a meno che non si scopra esista un gene ereditario del talento giornalistico.

In alcune testate, specie televisive, appare poi un fenomeno ancora più inquietante, quello dei “figli di”, ma non di giornalisti. Sono cognomi di politici, imprenditori importanti, altri personaggi “pesanti” attuali o del passato, che si difendono dietro il classico meccanismo retorico del «volete mettere in discussione la nostra professionalità perché “figli di” genitori ingombranti?» (la risposta sarebbe sì, ma vabbè).

La vera questione da porre loro sarebbe relativa al perché siano arrivati lì. Perché, pur capacissimi come pochi altri, i pochi altri comunque ci sono e probabilmente si disperano nelle redazioni di periferia con contratti imbarazzanti o semplicemente hanno cambiato mestiere. Il giornalismo dovrebbe essere sempre libero, indipendente, mai servizievole. Implicitamente o esplicitamente, poco importa.

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