London 2012, Olimpiadi antipatiche

Quando nel 2007 discutevamo della terribile scelta del logo-Lisa Simpson di Londra 2012, la crisi sconvolgente di questi ultimi anni era difficile da prevedere o anche solo immaginare. Avevamo dimenticato le modalità inquietanti con cui le Olimpiadi erano state assegnate e aspettavamo incuriositi quelle di Pechino. Poi l’edizione “algida” cinese è volata via lasciando un ricordo scialbo proprio nei mesi in cui iniziava il terribile can can macroeconomico internazionale.

Ora che le Olimpiadi di Londra sono in corso, i piccoli e grandi successi di ogni Paese vengono sommersi da polemiche, soprattutto incentrate sulle assurde policy di marketing e comunicazione imposte da Comitato Olimpico Internazionale e organizzatori, oltre che sui divieti di comunicazione sui social network che teoricamente avrebbero dovuto far tacere sportivi e staff. Silenzio imposto e rispettato solo parzialmente, insieme ad altre regole di comportamento.

Non è che a Pechino non ci fossero divieti, anzi: è che ai tempi sembravano limitazioni di tipo politico, mentre ora le stesse regole hanno mostrato la loro vera natura commerciale. Anche considerando la modesta immagine pubblica degli sponsor ufficiali, le aziende che non hanno contribuito al fuoco olimpico hanno avuto in queste settimane ampio seguito nelle azioni di ambush marketing. Ci sarà qualche ripercussione legale, anche in alcuni casi un po’ ridicoli.

Nel giro di qualche giorno Olimpiadi e Paralimpiadi di Londra finiranno, completando un lavorio infinito di migliaia di persone in tutto il mondo, di cui solo in minima parte sportivi. Nelle nostre memorie rimarranno le immagini di qualche medaglia, di qualche lacrima di atleti felici o disperati, ma soprattutto tante polemiche e un senso di diffusa antipatia per degli sponsor che hanno voluto mostrare troppo i muscoli, snaturando definitivamente la natura dell’evento.

I braccialetti di Cruciani e Caprai

È ormai un vero e proprio caso di scuola quello dei braccialetti in pizzo macramé che negli ultimi mesi sono apparsi ai polsi di tante ragazze e di qualche uomo attento alle tendenze di moda. L’idea è cavalcata da mesi da Cruciani, sebbene non sia difficile trovare in Rete tracce di “lavoretti” in macramé degli scorsi anni sui blog delle appassionate.

L’azienda che li produce, la Arnaldo Caprai Gruppo Tessile, è da decenni specializzata in biancheria da casa con merletti, un prodotto non esattamente contemporaneo. Luca Caprai, che gestisce il marchio Cruciani ed è figlio dell’Arnaldo di cui sopra, è riuscito a sfruttare le competenze dell’azienda utilizzando il tessuto dei costumi da bagno.

Questi piccoli prodotti made in Italy hanno iniziato a dilagare sulla riviera toscana e a Milano, tipici luoghi in cui è facile far partire fenomeni evolutivi. Il prezzo tutto sommato limitato, tra i 10 e i 15€, ha fatto decollare gli affari: si parla di un fatturato di molti milioni di Euro in una manciata di mesi, anche grazie a una politica di marketing aggressiva.

Recentemente ad esempio Caprai ha annunciato la sospensione della produzione della collezione con le farfalle, sulla quale per mesi aveva fatto leva con la storia della farfallina di Belen Rodriguez a Sanremo 2012; poi negli scorsi giorni ha adottato Nicole Minetti come testimonial della linea tricolore. Sul sito, tante foto di vip coi bracciali.

Il successo dell’iniziativa come sempre si vede anche dalle imitazioni. Le ragazzine ormai stanno comprando i più economici Shokky Bandz, lanciati tirando in mezzo anche Hello Kitty; gli ambulanti invaderanno le spiagge italiane con prodotti il più possibile simili. Poi la moda passerà e nessuno si ricorderà più dei braccialetti che oggi sono un must-have.

Ricerche di mercato un po’ strumentali

Non siamo verginelle: la maggior parte delle imprese per cui lavoriamo ha probabilmente commissionato e utilizzato ricerche di mercato con finalità commerciali. Magari noi stessi, come Marketing Manager, abbiamo ceduto alla tentazione di chiedere a un Istituto di Ricerca una survey per accompagnare la nostra strategia di comunicazione.

Il riferimento qui non è all’adesione a un qualche osservatorio di settore per dimensionare il mercato di riferimento, sebbene talvolta anche questo tipo di ricerche venga poi strumentalizzata; si parla proprio di indagini sui clienti finali in cui si affida a un Istituto di ricerca una tesi e si chiede in tutti i modi di dimostrarla tramite la voce di chi compra.

L’abitudine è ormai diffusa in tutti i mercati, ma è sempre più frequente in ambito Retail. La foto qui sopra ad esempio è dell’evento di presentazione della ricerca intitolata “Alla ricerca della felicità: gli italiani e il valore della Golden Hour” realizzata da Doxa Duepuntozero e “sponsorizzata” da Strongbow Gold, il marchio del sidro di casa Heineken.

L’evento è stato accompagnato da un comunicato stampa ospitato in un’area ad hoc di un sito divulgativo dedicato al sidro insieme ai sorprendenti risultati della ricerca: non solo i nostri connazionali conoscono a menadito il concetto della “Golden Hour”, ma lo associano a elementi positivi come il cielo azzurro, i delfini, la spiaggia, la bella vita a Barcellona.

Sembra che gli italiani tengano a sottolineare la differenza tra “Golden Hour” e “Happy Hour”, ritenendo quest’ultima troppo burina e sex-driven; la maggioranza degli intervistati viene ricondotta al segmento dei “profondi”, contraddistinto dall’entusiasmo di «coltivare le relazioni più vere e sincere e in particolare le amicizie più care ed autentiche».

Si fa fatica a restare seri leggendo i risultati di questa indagine, pur condotta con metodo scientifico tramite questionari somministrati via Internet a un campione di mille italiani rappresentativi della popolazione tra i 18 e 54 anni. Siamo in tempi difficili e se fossimo titolari di Istituti di ricerca accetteremmo ogni commessa. Ma la dignità professionale?