The New York Times ha pubblicato un bell’articolo a proposito dell’evoluzione di uno dei più noti acronimi nell’ambito della definizione di identità di genere: dall’ormai classico LGBT (usato da una ventina di anni) si sta evolvendo verso un più ampio LGBTQIA, in modo da includere più preferenze e profili.
Con tutta evidenza, spiega l’articolo, non è un problema di sigle: si tratta di una maggiore attenzione che le organizzazioni statunitensi, università in primis, stanno dedicando a chi ha già definito un’identità diversa da quelle più frequenti o sta riflettendo sulla strada da intraprendere nella propria vita privata.
Sarebbe bello che anche in Europa ci fosse altrettanta sensibilità e rispetto; sicuramente nei Paesi del nord c’è maggiore spazio, ma in Italia assistiamo a un vero e proprio muro. Mentre in Francia, pur con qualche polemica, si avanza verso il riconoscimento dei diritti alle coppie omosessuali, da noi è tutto tabù.
Le amministrazioni pubbliche dovrebbero avviare campagne di comunicazione decisamente più “aggressive” nei confronti delle intolleranze fin troppo diffuse. Poi rimane a carico di chi è più sensibile cercare di adottare comportamenti che trasformino quelle campagne in gesti civili e censurino quelli incivili altrui.