Berlusconi continua a dominare la comunicazione politica

La mappa è un'elaborazione di YouTrend.it

Confrontando questa mappa dei risultati in ogni comune con quella delle elezioni politiche precedenti, c’è qualche macchia gialla in più (Movimento 5 Stelle), i comuni rossi rimangono quelli di sempre tra Emilia Romagna e Toscana, ma per il resto c’è ancora tanto blu. Un po’ meno di quando in quella primavera 2008 pre-crisi vinse Berlusconi a man bassa, ma non è che il sentiment popolare sia poi cambiato tanto. Quel sentiment che molti di noi faticano seriamente a capire.

Potrebbe semplicemente dipendere dal fatto che ignoriamo cosa in questi mesi è avvenuto per strada, nei negozi, nei mercati, in televisione. Mentre in Rete da un lato ci si confrontava da mesi sul destino del Partito Democratico definendo con le primarie chi avrebbe avuto dovuto godere del “sicuro” posto da Premier e dall’altro si scaldavano i motori del partito di Grillo, dieci milioni di persone maturavano (o confermavano) la decisione di votare per il Centrodestra.

Durante la campagna elettorale il risultato di anni di populismo televisivo in stile Paolo Del Debbio si traducevano in folle-ululanti-daje-al-comunista ai comizi di Berlusconi, in piazze piene per gli eventi di Grillo, in raccolte di firme per sostenere la presentazione di decine di liste. Poi la proposta di abolire l’IMU ha orientato molti voti come avvenne con l’ICI. Sarebbe bastato guardare una puntata di Pomeriggio 5 per capire come mai l’ex Premier non ha centrato per poco il colpaccio.

Prendiamo quella del giorno dopo le Elezioni: c’è il servizio odi et amo su Maradona, ci sono la storia del barbone aiutato dal programma e quella delle starlette dei reality oggi in crisi economica, c’è il momento-nostalgia con Mal e c’è soprattutto lo spazio politico, con il voyeurismo sulla casa di Grillo, la Santanché che spopola in studio, i candidati di secondo piano dei partiti del Centrosinistra che ricevono fischi e insulti. Comunicazione politica allo stato puro.

Bentornati salatini, addio miglia

Dopo meno di un anno e mezzo Alitalia è tornata a offrire il mini-snack sui voli nazionali. Non solo in questi mesi la compagnia ha preso schiaffi a iosa da parte di Trenitalia e NTV, ma ha ormai anche perso il monopolio sulla rotta Linate-Fiumicino, che era stata l’unica ancora di salvezza dei bilanci durante i primi anni di vita di CAI. C’è poi stato un altro evento che ha contribuito al suicidio: la fine del programma Millemiglia 2008-2012 e l’avvio di una nuova edizione.

Alitalia ha posto l’accento sulla necessità per legge di dare una scadenza anche al più lungo dei programmi, ma i frequent flyers sanno bene che nel passato si son trovati espedienti per esaurire formalmente un’edizione e lasciare agli utenti più fedeli la possibilità di ritrovare i punti sull’account del nuovo programma. Questa volta si è puntato tutto sul far consumare le miglia accumulate da lustri, di edizione in edizione, per ripartire con un credito zero rispetto ai Clienti.

Bel modo di recidere il cordone che legava i più fedeli alla compagnia di bandiera. Come scriveva Ana Andjelic, non solo è complicato seguire nel tempo i programmi delle compagnie, ma è anche triste ricominciare ogni anno ad accumulare miglia qualificanti. Una tendenza masochistica per cui da un anno all’altro il Cliente può passare tranquillamente dal paradiso della fascia top a essere trattato come un novellino, indipendentemente dalla sua storia nei confronti dell’azienda.

Il nuovo programma Millemiglia è simile al precedente, con fasce più alte per ritirare biglietti premio; i Clienti aspettano sospirando l’adesione al programma Flying Blue di Airfrance KLM, contrassegnato da soglie elevate per l’accesso ai club premium. Nel frattempo non è difficile pensare che, più che l’intrattenimento di bordo, per molti la nuova arma di fidelizzazione saranno i prezzi bassi. E su questo fattore Easyjet e Ryanair son lì a godere dell’harakiri di Alitalia.

Facebook si è afflosciato

Basta scorrere i titoli di questi articoli

per capire che aria tira in questi mesi nei confronti del più grande social network. I testi sono stati scritti da professionisti di settori diversi, si riferiscono a varie iniziative e partono da notizie differenti, eppure sono tendenzialmente accomunati da una certa sfiducia nei confronti di Facebook.

Nonostante l’enorme parco utenti, ormai abbondantemente oltre il miliardo, l’azienda blu viene tratteggiata come incapace di produrre innovazione significativa e creare buona marginalità. Il che, essendo una società quotata al Nasdaq, è fonte di angoscia trimestrale per gli azionisti.

Facebook continua a essere percepita come piattaforma su cui perdere tempo; prima il passatempo preferito degli utilizzatori sembravano i giochi di Zynga, ora pare attraggano di più le funzionalità di comunicazione testuale. Dopo anni e anni sembra che tutto si riduca ancora alla stickiness.

Onestamente è difficile in questo momento pianificare campagne su Facebook per prodotti e servizi “seri”: la maggior parte delle inserzioni è di modesta qualità e di dubbia provenienza. È un peccato, soprattutto per il proliferare di agenzie che affrontano lo strumento con poca professionalità.

Chissà in che direzione andrà il Web nei prossimi anni, chissà che fine farà Facebook. Qualcuno ipotizza che diventerà una sorta di servizio pubblico, ma è evidente che questo passaggio deriverebbe da una sua crisi profonda e da una revisione della governance, quasi una nazionalizzazione.