Rocco Casalino, gieffino grillino

Il personaggio-simbolo della nuova schiera di politici italiani è probabilmente Rocco Casalino, quarantenne pugliese che entrò nelle nostre vite nel 2000, quando partecipò alla prima edizione del Grande Fratello, l’unica di cui si ricordano ancora i partecipanti a memoria. “Rocco del Grande Fratello” è stato sugli schermi per anni, poi si è eclissato come molti dei suoi compari.

Dopo qualche attività come giornalista in TV locali, Casalino è tornato alla ribalta lo scorso autunno su Rai1, parlando della sua candidatura al Consiglio Regionale lombardo col Movimento 5 Stelle. Candidatura poi a quanto pare auto-abortita «per evitare discussioni» legate proprio al suo passato televisivo, poco compatibili con gli strali quotidiani di Beppe Grillo contro la TV.

Negli scorsi giorni questo sfaccettato personaggio è apparso a seguito dei capigruppo Vito Crimi e Roberta Lombardi nelle (infruttuose) consultazioni con Pierluigi Bersani, con un ruolo pare formale nello staff di comunicazione del partito (chiamiamolo così) outsider delle ultime Elezioni politiche. Con un profilo nuovo, distante dai canoni di comunicazione del Centrodestra.

Rocco Casalino è un caso limite di una nuova generazione di personaggi che cerca di fare i conti col proprio passato cercando al tempo stesso di dare contenuto e credibilità alle nuove forze politiche. È sbagliato dare corda a chi lo ritiene un cretino solo perché ha ceduto alla tentazione di fare TV, da ragazzo; ora ha la possibilità di mostrare davvero quello che vale, da adulto.

Di facce nuove se ne stanno vedendo tante e anche se Le Iene e i loro quiz a tradimento a volte svelano una certa ignoranza dietro molte di loro, faremmo bene a non essere preconcetti giudicandole in base al loro passato, pubblico o meno. Quantomeno fino a quando non si capirà se si tratta di esseri umani senzienti e capaci di discernimento, oppure di bambole radiocomandate.

Il massacro di MPS

Quando una sera la notizia ha fatto capolino su Corriere.it, molti dei consulenti che lavorano in ambito Finance hanno sentito un brivido lungo la schiena: difficile non aver lavorato almeno una volta con un grande gruppo come il Monte dei Paschi di Siena, magari proprio a servizio di David Rossi, responsabile della comunicazione suicida in ufficio.

Da settimane, mesi, MPS è sulla bocca di tutti; Centrodestra e Movimento 5 Stelle hanno insistito pesantemente in campagna elettorale e poi ancora dopo le elezioni sulla connivenza tra Centrosinistra e poteri forti nella città del Palio. Non deve essere stato facile per Rossi riuscire a mantenere la testa al di sopra del mare di melma che lo ha travolto.

Come molti dei colleghi Manager del terzo gruppo bancario italiano, Rossi è stato per anni criticato in Rete, infine si è trovato direttamente coinvolto nelle indagini su situazioni gravi e inimmaginabili dall’esterno. È terribile pensare a quanto debba essere stata forte la pressione per farlo arrivare alla decisione estrema di togliersi la vita.

Il massacro collettivo di Montepaschi non fa bene alla Banca, che è un organismo vivo formato da migliaia di collaboratori; non fa bene all’intera industry, che è già segnata da campagne intestine in un momento in cui tutti i player cercano di raccimolare l’attenzione e gli spiccioli di risparmiatori sempre più disillusi, critici, senza prospettive.

Forse la retorica pubblicitaria degli scorsi anni della banca nata nel 1472 oggi può risultare stucchevole, coi suoi spot firmati da grandi registi finalizzati a raccontare la storia di crescita del Paese; eppure solo gli ingrati non riconoscono gli investimenti MPS in ambito culturale, sportivo, artistico degli ultimi decenni a Siena, Mantova e non solo.

Illimitatamente Elio e le storie tese

Sorvoliamo sul fatto che quaggiù si fosse parlato di un collegamento tra politica e Sanremo già negli scorsi anni, in occasione della rivolta degli orchestrali o della stralunata edizione dello scorso anno; il risultato delle elezioni politiche di quest’anno ha non solo confermato la solita tendenza populistica degli italiani, ma anche il solito amore per il male minore.

Come è avvenuto praticamente sempre negli ultimi anni, anche quest’anno sul podio sono arrivati personaggi imbarazzanti (stavolta era il turno dei Modà) e ancora una volta abbiamo tirato un sospiro di sollievo per la vittoria di un meno peggio (Mengoni). La novità rispetto agli altri anni era la presenza tra i finalisti di Elio e le Storie tese, ancora condannati all’argento.

Non che le loro canzoni sanremesi fossero un capolavoro: alcuni tra noi fans siamo rimasti un po’ perplessi sebbene non sia mancato il prevedibile apprezzamento degli orchestrali e di parte del pubblico. Qualcuno ha ironizzato sul fatto che percentualmente il risultato di Elio sia sembrato quello del Centrosinistra alle elezioni politiche ed effettivamente il target è simile.

Il loro vero successo sul grande pubblico è stato il jingle dello spot Vodafone. Il pinguino Pino spopola tra ragazzini e adulti grazie alle sue strofe surreali e agli arrangiamenti efficaci. È un corto circuito mediatico/culturale lontano anni luce dalla vittoria di Vecchioni o da L’Italia dei cachi: è il genio musicale prestato alla pubblicità e dimenticato sul palco di Sanremo.