Un’affermazione empirica, suffragata più dalla frequentazione dei social network in lingua italiana e dalla lingua italiana sentita in ogni strada, è che quest’anno Berlino sia stata una meta “calda” per il turismo italiano. Turismo molto eterogeneo, formato indistintamente da famiglie a caccia di musei, ragazzini in cerca di locali, hipster che l’hanno scelta come capitale europea del cool. Strano destino per una città che alterna edifici terribilmente retrò e gioielli architettonici contemporanei, in un mix affatto scontato: l’ex Berlino Est è oggi decisamente più appealing dell’ex zona occidentale, visto che la ricostruzione negli ultimi venti anni ha riguardato soprattutto i quartieri da questo lato della Porta di Brandeburgo.
Lo sviluppo commerciale è stato il driver principale di questa evoluzione; c’è però una nuvola malinconica che aleggia su tutta la città. Non c’è solo il classico cruccio tedesco legato al (comprensibile) dolore di aver dato origine al nazismo; a Berlino si vive ancora l’altra cesura storica, quella del crollo del muro, che ha sicuramente appeal turistico, ma che incredibilmente condiziona ancora la vita dei berlinesi. Non è un caso che Berlino risulti più interessante nelle aree e nei momenti in cui si presenta sciolta dalla sua storia, più focalizzata sul futuro che sul passato. La club culture ad esempio è un fenomeno solido nella città che tiene solidamente in mano lo scettro di capitale mondiale della techno.
Rispetto a Praga, Berlino presenta un rapporto più maturo con i brand internazionali. Per la gioia degli italiani non mancano gli Starbucks, ma per il resto sembra più amato il pesce di Nordsee che l’hamburger di McDonald’s; in generale anche in considerazione dell’ampia immigrazione, spadroneggiano le culture alimentari turca e italiana. Anche a livello culturale l’apertura internazionale è significativa e fa intuire una grande disponibilità al confronto, soprattutto col resto d’Europa. Non che manchino le classiche fissazioni tedesche: le automobili sono il tipico esempio di prodotto in cui i tedeschi si sentono i primi della classe. Peraltro, nel bene e nel male, in Europa lo sono anche da molti altri punti di vista.