La forza del Leone

Prima o poi doveva succedere: l’affossamento del prezzo del petrolio ha tirato giù le quotazioni della regina di Piazza Affari dal suo ingresso, l’inossidabile Eni. Negli stessi mesi, le asfissianti politiche europee di rafforzamento delle banche sono riuscite a focalizzare la stabilità di alcuni degli Istituti maggiori: ecco svettare ora Intesa Sanpaolo come nuova azienda chiave.

Figlia di tradizioni “pesanti” come quelle della Banca Commerciale Italiana o di Sanpaolo, ma anche di centinaia di Istituti locali aggregati nel corso di un paio di decenni, Intesa Sanpaolo è senza dubbio la principale banca italiana: anche a livello di branding si sta consolidando, eliminando progressivamente alcuni dei vezzi loalistici dell’era della “banca dei territori”.

Ma a livello internazionale il suo nome è ancora piuttosto sconosciuto. Questo ne ha forse protetto l’azionariato al contrario di quanto successo per UniCredit, ormai marchio affermato in mezza Europa anche grazie a sponsorizzazioni molto evidenti (Champions League su tutte), che però copre dei soci un po’ dubbi e istituti comunque ancora estranei l’un l’altro.

Tra gli altri marchi storici della Borsa Italiana pochi si salvano. Fiat ormai non esiste più, relegata al ruolo di marchietto della galassia FCA. L’industria e il fashion sono praticamente rappresentati bene solo da Luxottica. L’alimentare non c’è proprio, se è vero che Ferrero o Barilla non sono nemmeno quotate. Di media e servizi si vede poco, sempre meno.

C’è solo una vera, solida eccezione: è Generali. Alla fine di fatto è l’unica vera azienda di origine italiana che, seppur con un azionariato sempre più internazionale, riesce ancora a portare in giro per il mondo un briciolo di sapore italiano. Il Leone è un marchio riconoscibilissimo nell’Europa dell’Est come in Asia, soprattutto in ambito assicurativo.

Che Dio salvi il felino di Trieste, dunque. Se non arriveranno nuove matricole significative (si parla di Ferrari e Versace, che sono però di fatto ormai aziende solo parzialmente italiane) oltre a Poste Italiane (che sarà un gigante, ma è l’essenza stessa del localismo), il nostro mercato azionario sarà sempre più un desolato listino di periferia, senza charme e rilevanza.

Notte prima degli esami

Difficile raccontare il sentimento che decine (centinaia?) di migliaia di persone hanno vissuto in questi giorni in tutta Europa; chi era conscio del peso che l’annuncio dei risultati di stress test/asset quality review delle banche europee a mezzogiorno di domenica nel weekend ha dormito poco nonostante l’ora in più del ritorno all’ora solare.

Il punto è che la “pagella” ai principali attori bancari europei non impatta solo i dipendenti degli Istituti, che pure negli scorsi anni hanno beccato schiaffi a ripetizione nell’ambito della scomparsa del ceto medio: in tutta Europa c’è grande rapporto tra Financial Institutions e territori di radicamento/nascita, non solo a livello di azionariato.

Apprendere che la Banca di fiducia verrà “caldamente invitata” a fondersi con un’altra spesso vuol dire modificare la percezione che se ne ha, sapendo che cambieranno radicalmente le politiche di credito, ma spesso anche l’identità e il contributo che potrà dare all’area in cui è nata e cresciuta, magari con una storia pluricentenaria.

In un Paese come l’Italia, ad esempio, il ruolo di cinghia di trasmissione tra Istituti e territori era stato demandato, sin dalla Legge Amato di venti anni fa, alle Fondazioni; poi le stesse non sono riuscite a stare dietro al mercato, peccando spesso di avidità e interpretando il proprio ruolo con un abbraccio letale alla politica locale.

L’ultima ondata di M&A ormai ha qualche anno; tutti gli analisti si aspettano un nuovo ciclo imminente, con effetti imprevedibili sui mercati finanziari prima e nell’economia “reale” dopo. Non aiuta il fatto che persino i pure player (Fineco, IWBank, Webank, Widiba etc.) siano tutti nelle mani dei principali gruppi bancari “tradizionali”.

Per ora gli unici ad aver goduto della faccenda degli stress test sono gli speculatori, che ad esempio hanno pompato MPS sino al giorno prima dell’uscita dei risultati, per poi ovviamente godere al ribasso nel crollo seguente. Il pensiero invece va a chi soffrirà, nel breve medio e lungo termine, gli impatti degli esercizi di Francoforte.

Il massacro di MPS

Quando una sera la notizia ha fatto capolino su Corriere.it, molti dei consulenti che lavorano in ambito Finance hanno sentito un brivido lungo la schiena: difficile non aver lavorato almeno una volta con un grande gruppo come il Monte dei Paschi di Siena, magari proprio a servizio di David Rossi, responsabile della comunicazione suicida in ufficio.

Da settimane, mesi, MPS è sulla bocca di tutti; Centrodestra e Movimento 5 Stelle hanno insistito pesantemente in campagna elettorale e poi ancora dopo le elezioni sulla connivenza tra Centrosinistra e poteri forti nella città del Palio. Non deve essere stato facile per Rossi riuscire a mantenere la testa al di sopra del mare di melma che lo ha travolto.

Come molti dei colleghi Manager del terzo gruppo bancario italiano, Rossi è stato per anni criticato in Rete, infine si è trovato direttamente coinvolto nelle indagini su situazioni gravi e inimmaginabili dall’esterno. È terribile pensare a quanto debba essere stata forte la pressione per farlo arrivare alla decisione estrema di togliersi la vita.

Il massacro collettivo di Montepaschi non fa bene alla Banca, che è un organismo vivo formato da migliaia di collaboratori; non fa bene all’intera industry, che è già segnata da campagne intestine in un momento in cui tutti i player cercano di raccimolare l’attenzione e gli spiccioli di risparmiatori sempre più disillusi, critici, senza prospettive.

Forse la retorica pubblicitaria degli scorsi anni della banca nata nel 1472 oggi può risultare stucchevole, coi suoi spot firmati da grandi registi finalizzati a raccontare la storia di crescita del Paese; eppure solo gli ingrati non riconoscono gli investimenti MPS in ambito culturale, sportivo, artistico degli ultimi decenni a Siena, Mantova e non solo.

Risparmiamocelo

Inizia a prendere corpo l’iniziativa Risparmiamocelo di AcomeA, una piccola ma dinamica SGR che ha preso a cuore il destino dei risparmi degli Italiani. È evidente che nulla possa essere più virale di una petizione di richiesta di cancellare delle tasse, specie in un contesto come quello europeo in cui basterebbe il cuneo fiscale per gridare allo scandalo; ma stavolta c’è un elemento di attenzione in più.

Un'immagine tratta dal profilo Facebook di Risparmiamocelo

Le inique tasse italiane sui risparmi infatti colpiscono in maniera non progressiva i piccoli risparmiatori: non saranno infrequenti i casi in cui i pesanti bolli applicati nel 2012 (ancora più alti dal 2013 in poi) supereranno i ritorni sugli investimenti di piccolo taglio, ad esempio quelli posti in un conto deposito, in titoli di stato o in azioni dell’azienda in cui si lavora. Chi avrà più voglia di risparmiare qualcosa?

Inutile dire che non è vero che risparmiare di meno voglia dire consumare di più, anzi. Nell’ultimo lustro più volte ci è stato detto che la salvezza dell’Italia sia stata la propensione al risparmio dei suoi cittadini; ora non solo la crisi ha ucciso la possibilità di mettere qualcosa da parte, ma le tasse folli sconsigliano del tutto il farlo. La campagna di AcomeA sembra perciò destinata a ottenere molta visibilità.

Se si può fare un appunto ai creatori dell’iniziativa, è che sottolineano più volte che le nuove imposte scoraggiano gli investimenti in operatori specializzati a favore di banche e Poste Italiane. In verità soprattutto le prime vengono molto colpite, visto che aumentano i bolli sia sui conti correnti che sui vari investimenti; semmai è Bancoposta a essere un’eccezione vistosa sul mercato finance.

È l’ora dei Mobile Payments? (Sì, ma svegliamoci)

Si è tenuto oggi a Milano il Convegno conclusivo dell’edizione 2011/2012 dell’Osservatorio NFC & Mobile Payment del Politecnico di Milano. Un evento interessante e ben organizzato, come è nella tradizione della School of Management MIP; ma di questo ci sarà sicuramente modo di parlare in altra occasione. L’attenzione di oggi è invece tutta per il contenuto presentato dagli innumerevoli relatori che si sono alternati durante il corso della giornata sui palchi. Basta dare un’occhiata al’imperscrutabile tag #onmp11 per intuire quanto fossero eterogenei i partecipanti e quindi i temi toccati, ufficialmente e non.

Quello dei Mobile Payments è al momento un tema che in questo momento interessa molti attori/industry (banche, compagnie telefoniche, società di consulenza, service provider, consorzi di varia natura) e tante funzioni aziendali (IT, Marketing, Sales, Organizzazione, Operations). Ma il Cliente finale è pronto? Il titolo del Convegno, “Mobile Payment: se non ora quando?” voleva essere emblematico in tal senso, riassumendo l’aspettativa (quasi angosciante) oggi palpabile nelle sale. Di fatto tutti dicono di essere interessati e pronti a considerare opportunità, eppure per l’ennesimo anno il mercato è semi fermo.

Fa piacere sentire che Intesa Sanpaolo stia conducendo un pilota “serio” o che società come Ubiquity, Reply o Movincom abbiano ormai piattaforme funzionanti sul mercato e disponibili per chi vuole far sul serio; è da biasimare chi risponde che il pagamento hardware tramite NFC sia l’unica via. A furia di aspettare che un numero significativo di utenti e soprattutto di esercenti si dotino di hardware, si sta rischiando di buttare il bambino con l’acqua sporca. Passi per i ricercatori del Politecnico e il loro approccio accademico; ma dai tanti uomini di marketing presenti al convegno di poteva sperare in più lungimiranza.

Un altro anno è passato e non è difficile immaginare che tra un anno saremo tutti di nuovo seduti al Convegno a sentire qualcuno dire che è imminente, questo sarà l’anno giusto e come per miracolo tutti avranno cellulari NFC e POS adeguati. Si può solo sperare che, come hanno fatto Banca Sella, Privalia, McDonald’s e pochi altri player, si finisca col chiacchiericcio e si punti seriamente su sistemi che offrano vantaggi reali per il Cliente e sostengano una visione commerciale di medio-lungo periodo. Perché mai come in questo caso la tecnologia è abilitante, ma il marketing è l’unica leva che la trasforma in valore per tutti.

Il risvolto terribile delle asimmetrie informative sui mercati

Quando venerdì 24 giugno titoli importanti come UniCredit sono stati colpiti da tre sospensioni e in generale molti titoli del mondo Finance sono crollati sotto la scure degli speculatori, migliaia di piccoli risparmiatori italiani hanno perso parti significative dei propri investimenti. Il rialzo successivo aveva fatto ben sperare in un’inversione di tendenza rispetto al lento calo dei mercati italiani dalla primavera a oggi, ma a posteriori si è scoperta una trappola feroce: nuovi risparmiatori “incastrati” e poi spazzati via in questi ultimi giorni, sempre più feroci.

La Consob, che come unica missione dovrebbe avere proprio la tutela dei risparmiatori, nella prima occasione aveva alzato il ciglio e fatto una leggera ramanzina a Moody’s e alle altre agenzie per i giudizi pesanti nei confronti dei titoli italiani, pubblici o delle grandi aziende. Negli ultimi giorni, compresa finalmente la drammaticità del momento, ha convocato incontri interni d’urgenza per decidere il da farsi, per poi (come al solito) partorire il topolino: da oggi chi aprirà posizioni short significative dovrà informare la Commissione ex post.

Il tentativo di raccogliere informazioni sugli speculatori per cercare di capire se eventualmente si basano su asimmetrie informative già al primo giorno si è dimostrato inutile e forse addirittura dannoso: se il piccolo risparmiatore viene a scoprire che una grandissima banca di investimento è solidamente short, non si metterà forse a sua volta a rincorrere il ribasso, generando ulteriori circoli viziosi? Ecco un esempio da manuale di come i tentativi di raddrizzare i flussi informativi creino distorsioni che difficilmente rendono i mercati perfetti.

A voler peggiorare le cose, i crolli sostenuti dei mercati italiani di questi giorni hanno risvegliato l’attenzione della stampa, che nel suo svolgere il lavoro di informazione esacerba gli animi sottolineando il clima di panico crescente e implicitamente creando un volano al pessimismo. Difficilmente si uscirà da questo brutto momento in tempi brevi: l’ultima volta che avevamo visto montare qualcosa di simile era tra fine 2008 e inizio 2009, con gli esiti ben noti. Ora eccoci al secondo affondo della recessione “double dip”, stavolta purtroppo molto europeo.

Bancoposta, il gigante con le ali legate

C’è un’azienda che negli ultimi anni ha visto crescere in maniera significativa la propria base di clientela nei servizi finanziari e non è una Banca: si tratta di Poste Italiane. Proprio quella che è partita dai Buoni Fruttiferi e dai Libretti di risparmio ed oggi mantiene 5 milioni di carte prepagate PostePay e 6 milioni di conti correnti. Bancoposta è uno degli Istituti che torna alla mente per primo nelle indagini di mercato ma non può fregiarsi del titolo di Banca. Il che, visti i numeri in gioco ed i prodotti/servizi distribuiti, è sicuramente una distorsione del mercato.

Le Banche considerano Bancoposta un concorrente a tutti gli effetti, ma c’è qualcosa che non va: la divisione di Poste Italiane soffre per l’impossibilità di aprire filiali, gli altri Istituti lamentano che la crescente offerta del Gruppo Poste Italiane ormai copra anche settori un tempo lontani da lettere e cartoline, come le assicurazioni danni, il risparmio gestito, la distribuzione di finanziamenti a breve e lungo termine. Nel frattempo, i feedback positivi da parte dei clienti Bancoposta vengono ricoperti dai classici insulti al servizio postale, con tutti i suoi vincoli.

I due servizi, d’altra parte, vengono gestiti dallo stesso staff degli uffici postali che, con tutta la simpatia possibile, non riesce a brillare per preparazione in ambito finance ed anzi soffre vistosamente per il dover “vendere” servizi che evidentemente non sente nelle proprie corde. Si tratta di un’occasione persa per tutto il sistema, proprio alle porte della liberalizzazione dei servizi postali prevista dall’Unione Europea nel 2011. Un momento molto importante, che sarebbe bello Poste Italiane potesse prendere come occasione di profondo rinnovamento.

Quella del Gruppo Poste Italiane è una situazione bizzarra: un’azienda da 150.000 dipendenti che vede entrare la concorrenza internazionale nel proprio core business, ma non può allargarsi liberamente in settori in cui dimostra “talento”: le vengono preclusi dal fatto di essere un’azienda ancora controllata al 100% dallo Stato che ne tarpa le ali per non turbare la concorrenza. La quale però è già andata a farsi benedire, messa in discussione da scelte che hanno tanto sapore politico e che mettono in difficoltà dei manager capaci, ma con le mani legate.

Grande distribuzione, grande evoluzione

I primi segni i consumatori li avevano colti ormai molti mesi fa: l’occasione era stata l’estensione dello storico programma Spesamica di GS a Dìperdì e Carrefour, cioè le altre insegne del gruppo francese in Italia. Nel 2010, la svolta più significativa: sparisce dalle nostre strade il marchio Dìperdì, che diventa Carrefour Express, ma soprattutto Supermercati GS, che si trasforma in Carrefour Market.

Nelle stesse settimane, il gruppo Rewe agisce in maniera simile sostituendo le insegne dei punti vendita Standa col marchio internazionale Billa. Oltre a GS, sparisce così un altro marchio storico della GDO italiana, quella Standa che già negli scorsi anni aveva perso per strada la parte tessile, trasformata in punti Oviesse da parte di Coin. La stessa Coin che negli scorsi giorni ha acquistato anche Upim.

L’altro grande gruppo francese non sta a guardare: Auchan sostiene l’avvio di Nectar in Italia e chiunque si occupi di loyalty management sa quanto questo annuncio possa essere sconvolgente: per la prima volta, nel nostro Paese, viene lanciata una coalition che, per vocazione e stile, mira a diventare ubiqua. I primi aderenti (Unieuro, API-IP e appunto SMA/Auchan) garantiscono già una buona copertura.

Mentre Conad chiude il proprio operatore telefonico virtuale, Coop annuncia l’estensione dei servizi di pagamento bollette alla cassa, primo antipasto del grande pranzo che trasformerà la GDO in protagonista importante del mondo finance: con qualche mese di ritardo, il Governo ha recepito la tanto temuta (dalle Banche) PSD, la direttiva europea che apre le porte a nuovi operatori finanziari.

Un mercato davvero effervescente, quello della grande distribuzione organizzata. Da un lato, ampie iniziative di taglio dei costi (cfr. l’omogeneizzazione delle insegne di cui sopra), dall’altro grandi investimenti su nuovi settori (TLC, finance) e nuovi strumenti (loyalty in primis). Il tempo delle aperture a tappeto è passato; ora la concorrenza si gioca sulla redditività dei tanti (troppi?) punti vendita.

2008, l’anno della caduta dei miti

Assodato il clima di crisi (andiamo avanti, o non parliamo d’altro), è possibile tirare una linea e provare ad annotare alcuni dei fenomeni visti nel corso del 2008, ovviamente dal punto di vista del loro impatto su marketing e comunicazione in Europa e dintorni. Uno in particolare, che potremmo definire “la caduta dei miti”, sembra riassumerne la maggior parte.

Pensate al mondo dello sport: doveva essere un anno mirabolante, fatto di Olimpiadi ed Europei di calcio, di record ed emozioni. Si è trattato in realtà dell’anno in cui il re si è rivelato in tutta la sua nudità. Le Olimpiadi di Pechino, in particolare, sono stati un evento freddo e poco riconducibile allo spirito olimpico: sono rimasti delusi gli investitori pubblicitari e soprattutto gli sportivi.

L’altro grande mito crollato, ovviamente, è quello degli investimenti finanziari ad alto rendimento. Il sogno, oggetto di decine di campagne pubblicitarie negli ultimi anni, di ricorrere a promotori finanziari-maghi al fine di far lievitare i propri risparmi, è andato molto al di là degli hedge fund: le piccole scritte sul rapporto rischio/rendimento non le ha lette nessuno e si son visti i risultati.

Ci sono poi altri due trend che, seppure abbiano mostrato traccia in tutta Europa, in Italia hanno assunto toni molto più decisi: da un lato, il crollo dei movimenti politici di sinistra; dall’altro, la progressiva discesa nelle vendite dei quotidiani. Due “cadute” che, al di là delle apparenze, sembrerebbero avere radici comuni nella disaffezione di un certo tipo di elettorato verso il proprio “mito” politico.

Infatti, il risultato dei partiti di sinistra (e di centro-sinistra) alle Elezioni Politiche in Italia era prevedibile, seppure non in termini così disastrosi, grazie alla ripida discesa delle vendite di quotidiani di quell’area politica: La Repubblica negli ultimi mesi, ma soprattutto la triade L’UnitàIl ManifestoLiberazione, scesa sotto la soglia cumulativa di 100mila copie già nella prima parte dell’anno.

Ripensate a voi stessi ad inizio 2008: probabilmente le vostre visioni di sport, finanza, politica ed editoria erano abbastanza (o magari profondamente) diverse. Il 2008 ha cambiato molte carte in tavola e il marketing 2009 dovrà adeguarsi. Prima, però, bisognerà che ci si adegui tutti noi: abbiamo qualche difficoltà ad orientarci, prima ancora di iniziare a pensare a comprare qualcosa.

MasterCard e le candeline della discordia

Si era già parlato di MasterCard su .commEurope poco meno di un anno e mezzo fa: si parlava della promozione Capitalia Cambia Tutto, molto interessante sulla carta ma gestita in maniera povera dallo staff delle fililali del Gruppo Capitalia: la carta MasterCard gratuita veniva concessa dopo innumerevoli tentativi, aveva una scadenza più breve rispetto ai 3 anni promessi e soprattutto la visita in filiale diventava un’occasione, da parte dei gestori, di piazzare tradizionalissimi conti correnti Banca di Roma. Ora col merge con UniCredit il marchio Capitalia è sparito, ma l’iniziativa Cambia Tutto è ancora viva: chissà che non ci regali qualche nuova emozionante (…) promozione in collaborazione con MasterCard.

Un banner promozionale dell'iniziativa MasterCard TuttigiorniAl momento, nessun Istituto bancario appare tra i partner della nuova iniziativa MasterCard Tuttigiorni, che stavolta non è mirata a promuove l’emissione di nuove carte, quanto ad incentivare l’uso delle tante già presenti nei portafogli degli italiani. L’obiettivo è passare dall’uso “istituzionale” (tipico del mercato italiano) a quello relativo agli acquisti quotidiani: dal noleggio di DVD da Blockbuster al pagamento dell’Autostrada, dalle spese negli shop Tre all’acquisto di biglietti cinematografici. Tra gli altri partner, spicca l’iniziativa in collaborazione con Auchan: basta presentare la propria carta di credito del circuito MasterCard alla cassa per ricevere in omaggio una confezione di candeline (valore commerciale scritto nel regolamento: 1,20 Euro), contenente una cartolina utile per partecipare ad un’estrazione che mette in palio carrelli spesa da 250 Euro e buoni viaggio per l’acquisto di vacanze da 1.500 Euro.

Oltre alle candeline, chi compie gli anni proprio nel giorno della spesa all’Auchan, riceve una bottiglia di spumante dallo stupefacente valore commerciale di 2 Euro (da bere a rischio e pericolo del soggetto in questione). La promozione, insomma, è un po’ contorta, ma l’ampia comunicazione effettuata sull’iniziativa (in store e non) dovrebbe renderla trasparente ai più. Il problema è che Auchan sta festeggiando il suo compleanno per tutto il mese di ottobre e quindi nel frattempo sta proponendo ai suoi clienti altre iniziative (e altri regali sciocchi): già all’entrata nel punto vendita, se non ci si è documentati a priori, è difficile capire quali siano i benefit riservati ai titolari MasterCard, cosa possono ottenere i titolari di carte MasterCard-Accord (buoni sconto) o chi le vuole richiedere ex-novo (2 anni gratis, per la cronaca), ma anche solo di cosa è riservato ai “banali” acquirenti Auchan senza carta di credito MasterCard.

Un'immagine tratta dal sito MasterCard Italia che illustra la promozione congiunta con Auchan

Non aiuta molto nemmeno il fatto che ogni collaboratrice di Auchan interpreti il regolamento a modo suo: si va dalla cassiera iper-efficiente che regala le candeline senza colpo ferire, a quella che ignora completamente la promozione, alla signora dell’ufficio informazioni che non vuole dare le candeline se non in casi estremi. Quest’ultima è un po’ il simbolo della confusione generale creata da questo tipo di promozioni: la signora chiede la MasterCard (magari Oro) del titolare, poi scuote la testa ed esclude categoricamente che le sia possibile elargire le brutte candeline rosso-gialle. Sostiene che bisogna possedere a forza la MasterCard blu presentata nel materiale promozionale dell’iniziativa (vedi sopra) ed a chi obietta che non esiste una simile carta in Italia (chi sarebbe l’issuer?) risponde con astio che non è affar suo. E tutto ciò per un pacco di candeline da 1,20 Euro.