Trionfa il comune senso del pudore (yawn)

L’ondata di pudicismo che ha colpito l’Italia nelle ultime settimane solleva più di uno sbadiglio: ci manca solo che Sircana pubblichi le recensioni sui trans che frequenta o che l’Autority per le Comunicazioni vieti la pubblicazione dei romanzi di Anaïs Nin. Siamo la stessa Italietta di quaranta anni fa, sebbene ci si spacci per Paese culturalmente moderno ed industrialmente competitivo. In realtà, siamo la solita provincia dell’impero che lotta contro i suoi fantasmi; il sesso, come nei più banali trattati di antropologia, è la pulsione e la paura primaria. Peccato che questa rinnovata voglia censoria abbia risvolti che vanno oltre il focolare, trascinando ambiti che dovrebbero rimanere impermeabili, come l’economia o la politica.

Basti prendere il divieto imposto dall’Autorità per le Comunicazioni di trasmettere immagini e filmati “morbosi” a tutte le ore, compresa la notte. Non si capisce quale sia il vantaggio immediato per la comunità, visto che di seni e sederi nudi sulla televisione analogica se ne vedono di continuo. Semmai, si vede bene quale sarà il danno economico per le televisioni locali: un drastico calo dei fatturati e la potenziale chiusura di diverse emittenti che grazie al sesso quasi parodistico che propinavano ogni notte ai pochi insonni eccitati, riuscivano a mantenere un regime economico sufficiente a (sotto)pagare i propri impiegati. Una hotline in più al giorno, un telegiornale locale in più al giorno.

A questo punto c’è da immaginare che prenderanno il sopravvento le trasmissioni che vendono numeri del lotto via 899, inframmezzate da qualche demenziale televendita statunitense maldoppiata in italiano. Con il moltiplicarsi delle estrazioni settimanali, effettivamente, le stragi come quella di Signa rischiano di moltiplicarsi. Eppure, contrariamente alle hotline, lo Stato guadagna notevoli cifre con il Lotto: sarà difficile perciò che qualcuno vieti queste vacue trasmissioni di starnazzatori numerici. Altrimenti chi paga il profumato stipendio a Sircana ed a tutti gli altri eletti da parte delle segreterie dei partiti (non di certo dagli elettori)?.

Chissà se come tanti altri italiani, anche il portavoce di Prodi ora vagherà sconsolato per i pulitissssimi canali della televisione analogica, oppure sceglierà i canali a pagamento di Sky che, grazie alle decisioni delle nostre amate Autority, è rimasta l’unica piattaforma satellitare in Italia e perciò può imporre i suoi prezzi allucinanti a chi vuole aprire un nuovo canale. Addio ad esperimenti come Mediasex del vulcanico Corrado Fumagalli, che sopravvive grazie alla pubblicità sexy e non fa male a nessuno. Vedremo quali saranno le prossime censure: basta che non siano ulteriori colpi di machete alla già sufficientemente frastornata libertà d’impresa nel mondo dei media italiani. Il resto degli europei, tedeschi in primis, sono alle porte e su questo terreno hanno poco da perdere e tutto da guadagnare…

I panni sporchi di Italia.it trasbordano off line

L'Italia lascia il segno?All’inizio se ne parlava solo in Rete: la nuova immagine turistica dell’Italia ed Italia.it nelle scorse settimane erano diventati il principale argomento di conversazione di blogger ed utenti della Rete. I pareri erano tendenzialmente negativi: la maggior parte delle persone riteneva fossero stati spesi troppi soldi per prodotti non all’altezza della nostra immagine internazionale. Questioni di punti di vista e gusti personali, che però nel corso delle settimane hanno contribuito a montare un caso prima mediatico, poi politico. Non solo in Italia: le prime tracce critiche sui media sono apparse sui blog dei media stranieri. Un buon esempio è l’articolo che Javier Salas di TeleCinco ha postato sul suo blog a proposito della scarsa originalità dei logo e payoff della campagna.

Proprio questo punto è stato quello più attaccato dai professionisti della pubblicità: effettivamente “lascia il segno” non solo è del tutto identico agli analoghi slogan spagnolo e portoghese, ma è anche stato usato ed abusato dalla pubblicità italiana degli ultimi decenni. I webdesigner, invece, hanno puntato più su aspetto e tecnologia del portale: in questo senso è nata l’iniziativa rItaliaCamp, con la finalità di ricreare da zero un prodotto presentabile e commercialmente appetibile da parte degli stranieri. Qualcuno ha seguito strade più drastiche e si è lanciato in inopportune campagne di googlebombing, che vista la scarsa sensibilità del GoogleBot rispetto a queste iniziative, rischiano di lasciare segni indelebili per la nostra Nazione anche al di là del portale.

In generale, non è una grande idea denigrare pubblicamente Italia.it: come ha notato qualcuno nei commenti su Caymag, una volta messo on line il pur discutibile prodotto, si dovrebbe cercare di tutelarlo e farlo crescere rispetto al resto del mondo, che già normalmene non ha grande stima dell’Italia e del suo sviluppo tecnologico. A livello nazionale, ovviamente, ben vengano interrogazioni parlamentari e saette del Gabibbo: ma se anche le regioni si dissociano per motivi di convenienza politica, l’immagine complessiva è del tutto negativa: nulla potrebbe fare nemmeno un restyling totale della campagna e del sito. Il quale, tra l’altro, inizia a raccogliere anche qualche consenso positivo.

La posizione più matura, in tutta la faccenda, è stata quella di Anna Masera, che dopo il suo post iniziale sul suo blog, ha iniziato a raccogliere i feedback degli utenti per trasferirli sulla carta stampata. Prima ha intervistato Roberto Falavolti, amministratore delegato di Si Innovazione Italia, poi ha pubblicato un articolo riassuntivo su La Stampa, utile anche per far comprendere ai meno avvezzi alla tecnologia lo stato delle cose. Successivamente, ha pubblicato la posizione di IBM Italia, leader tecnologica del progetto, non esprimendo pareri gratuiti ma chiedendo nuovamente feedback agli utenti. Finalmente qualcuno che vive questa vicenda in maniera professionale, non emotiva e propositiva.

Siamo calabresi, non Toscani

Il logo della Regione CalabriaSono bastate un paio di settimane per lasciar sedimentare la vicenda della campagna di Oliviero Toscani per la Regione Calabria e già il tutto assume una luce diversa. Le discussioni da 1.000 commenti sono lentamente scivolate nell’off topic e gli animi sono meno esacerbati. I detrattori della campagna si sono resi conto che dopo le paginate sui quotidiani acquistate dalla Regione, i più si sono dimenticati della vicenda; i giovani calabresi si sono dedicati a produrre proposte alternative; i navigatori hanno scoperto nuove chicche on line come lo spot della campagna calabrese “Mare Vostrum”, che tra un peperoncino ed un Bronzo di Riace inserisce un ballerino di breakdance e dei suonatori di cornamusa.

Anche i commenti della prima ora, riletti ora, sembrano essere stati scritti più sull’onda emozionale che in base ad analisi attente ad origini ed impatti di questa bizzarra campagna. Ognuno, infatti, è rimasto sulle sue posizioni: i leghisti del Nord hanno ironizzato sulla realtà degli improbabili slogan, gli amici della giunta calabrese hanno difeso l’iniziativa, i politici della parte avversa l’hanno criticata, i blogger hanno confuso la Calabria con la Puglia. Come dire: se proprio la campagna doveva cambiare l’immagine dei calabresi nel mondo, forse l’obiettivo non è stato esattamente raggiunto. Certo, è solo il primo flight della campagna: chissà come sarannno i prossimi soggetti e se le nuove campagne verranno nuovamente affidate a La Sterpaia di Toscani.

Muore il Governo, nasce Italia.it

Ieri, mentre quel simpaticone di D’Alema cercava masochisticamente di dimostrare alla sua coalizione pacificista la necessità di spendere milioni di Euro per schierare migliaia di militari in giro per il mondo, il primo ministro ed il suo vice illustravano ai giornalisti come avevano speso i 100.000 Euro del bando di concorso per la nuova immagine dell’Italia a livello internazionale. La finalità dell’iniziativa, hanno spiegato, è fortemente orientata al turismo: è pur ora che l’Italia recuperi qualche posizione nella classifica mondiale dei paesi più visitati del mondo, visto che negli anni è stata ampiamenta superata dai cugini francesi e spagnoli.

Il logo è riuscito ad accomunare gli italiani molto più della politica estera adottata dal governo: tutti lo odiano. Non si trova in Rete alcun cenno di approvazione verdo l’idea grafica e la sua realizzazione: i professionisti si sbracciano nel segnalare la preoccupante somiglianza con quelli di Logitech ed Izquierda Unida, i più sensibili notano il bizzarro mix di caratteri tipografici, di almeno tre tipi, alcuni in maiuscolo altri in minuscolo. Un delirio che sa tanto di compromesso tra spinte politiche magari opposte, con i risultati mediocri che come sempre derivano dai compromessi. Il Governo appena caduto ne sa qualcosa.

Il secondo ingrediente di questo nuovo approccio al mercato internazionale del turismo è il tradizionale annuncio annuale di Italia.it, il portalone profumatamente finanziato dallo Stato per coordinare gli sforzi di Regioni, Enti ed aziende pubbliche. Stranamente, sembrerebbe che stavolta sembra essere stato veritiero: il sito è effettivamente on line da oggi, seppure con vistosi errori tecnici da un lato e contenuti molto poveri dall’altro. Tornano in mente le proposte di Paolo Valdemarin che qualche mese fa ipotizzò un modo molto più intelligente di spendere le diverse decine di milioni di Euro spesi direttamente dallo Stato o distribuiti alle Regioni per creare contenuti ad hoc per il sito.

L’idea del logo non è affatto nuova ed anzi vanta numerosi precedenti internazionali: a dire il vero, forse bastava quello già utilizzato dall’Enit da una ventina d’anni. L’idea del sito dovrebbe essere più innovativa, ma il risultato è preoccupante: sarebbe anche carino capire perché, ad esempio, venga di fatto regalato traffico all’Alitalia, nemmeno fosse l’unico operatore nazionale. Ora che la nuova strategia è stata avviata, dobbiamo sperare che venga perseguita sino in fondo: purtroppo, l’eterna instabilità politica di questi anni non ci fa ben sperare. Ce ne accorgeremo presto: i flussi turistici sono misurabili, sarà difficile fare i furbi riguardo al risultato di queste iniziative.

Anche il Cnipa investe in comunicazione

Chi l’avrebbe mai detto: il Centro nazionale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione, per gli amici Cnipa, ha annunciato investimenti in comunicazione per 4 milioni di Euro. I dettagli verranno resi noti negli incontri ufficiali dei prossimi giorni in un incontro a Roma, ma già ora è noto che il budget verrà destinato sia ad iniziative rivolte alle amministrazioni pubbliche che ai cittadini finali. Verranno soprattutto ufficializzate le linee guida nazionali destinate alle iniziative locali.

Strano destino, quello dell’AIPA prima e del CNIPA poi: in eterno bilico tra fulcro del sistema e marginalità più cupa, deve la sua instabilità allo stretto vincolo con gli organi politici che l’hanno creata. Un’Autorità nata con fini nobili che, contrariamente alle sorelle regolamentative, doveva soprattutto svolgere ruoli di promozione, formazione e condivisione delle politiche pubbliche su Rete e dintorni. Persino i redattori della voce su Wikipedia, ricostruendo la storia di questo Ente, concludono «Non è facile dare un giudizio complessivo sull’operato dell’AIPA e del CNIPA».

Rimangono in Rete le tracce dei Quaderni che, a cavallo del cambio del millennio, venivano diffusi ad Enti pubblici e privati desiderosi di informarsi: si trattava di pubblicazioni molto particolari per gli standard italiani, visto il loro spiccare per voglia di innovazione ed indipendenza. In fin dei conti, era un tentativo di partecipare all’entusiasmo collettivo per la Rete al fianco delle amministrazioni pubbliche. Cosa molto diversa da ciò che negli anni successivi è diventata la prerogativa del neonato CNIPA: l’ennesimo ufficio complicazione affari semplici.

Oggi, le notizie principali riguardano gli accordi sottoscritti con i maggiori player informatici del settore: quello con Adobe, ad esempio, per l’istituzionalizzazione del formato Pdf come formato di scambio dei documenti autenticati con firma digitale, oppure quelli con Microsoft, IBM, HP e SAP. Dopo la vita dell’AIPA sotto il centrosinistra e del CNIPA sotto il centrodestra, chissà quale sarà la prossima vita di questa entità mutante. Soprattutto, chissà che fine faranno i 4 milioni di Euro di investimenti in comunicazione.

Iniziano le Olimpiadi!

Attese, sognate, temute, sperate, oggi iniziano le Olimpiadi invernali. Proprio quelle per le quali Evelina Christillin una decina di anni fa sbandierava la sicura ottima organizzazione piemontese, l’efficienza torinese, il fascino italiano. Ora ci siamo in mezzo e solo a posteriori ci rendiamo conto di quanto, in realtà, di torinese, piemontese ed italiano poco ci sia. A partire dagli sponsor “veri”, quelli che investono milioni di Euro e ricevono sostanziosi onori e particolari oneri dalle Olimpiadi.

Si tratta di un evento indimenticabile per la sua mole e per la Mole: un notevole esercizio di stile declinato su un lasso di tempo breve, ma che in realtà sostiene l’economia locale da ormai molti anni a questa parte. Nulla può rimanere anche solo leggermente imperfetto: si è trattato di metter su un’organizzazione “da guerra”, anche dal punto di vista dello sforzo produttivo. Basti pensare al Tobo, che garantirà un’adeguata copertura mediale all’evento: sarebbe veramente un peccato che così tanto knowledge specifico si disperdesse.

Un rischio solo parzialmente risolto dal fatto che parte degli “organizzatori” di Olimpiadi vagano di continuo per il Mondo, passando da un evento all’altro: quelli che rischiano di rimanere fuori dal giro sono proprio quelli che, soprattutto nel campo della comunicazione, hanno maturato esperienza sul territorio e lì vogliono spenderla. Chissà cosa faranno, dopo. Chissà cosa faranno soprattutto in un’economia come quella torinese, già abbastanza disastrata di suo.

Lasciando da parte il pessimismo a medio termine, è facile immaginare che i torinesi vivranno giornate intense ed emozionanti, circondati dalle migliaia di persone inviate dai media internazionali, statunitensi in primis: continueranno ad osservare incuriosite le strane scelte che si pareranno davanti ai loro occhi, magari sostenute da interessi economici o semplice disorganizzazione. Vedremo cosa ci racconteranno, con gli occhi disincantati di chi vive una delle città più belle in Europa e la vede ogni giorno più preoccupata del suo futuro. Speriamo si inventino ancora qualcosa di grandioso: ci rivediamo tra dieci anni!

Aziende (auto)certificate ed etichette furbette

Marcatura CEEsiste dal 1993 e la incontriamo spesso: la marcatura CE di solito fa bella mostra di sé sui prodotti tecnologici, sui giocattoli, sugli occhiali da sole. Ad ognuno comunica qualcosa in maniera diversa, ma tutti sono sicuri che è un simbolo di sicurezza che le istituzioni europee affidano solo ai prodotti che rispondono agli standard. Sbagliato: la marcatura è frutto di autocertificazione da parte dei produttori: una volta apposta, la marcatura non ha scadenza e diventa un vero e proprio lasciapassare per tutto il mercato europeo, visto che nessuno Stato può rifiutare l’entrata sul proprio territorio di un prodotto che reca le due letterine magiche.

Ricicla (qualcosa)Quest’altro simbolo invece deriva addirittura dall’ISO, notoriamente fonte di rigide regolamentazioni. Anche in questo caso si tratta di autocertificazione, ma qui il dubbio è ancora maggiore del precedente: sebbene in tutti noi ormai susciti l’idea del riciclo, è ufficialmente permesso che la sua presenza su una conferzione possa significare sia che il prodotto ivi contenuto è riciclabile, sia che solo il contenitore stesso è riciclabile, sia che il prodotto è fatto di materiale riciclato, sia che è solo il contenitore ad essere di materiale riciclato. Chiaro esempio di comunicazione, no?

Isolamento elettrico di Classe IIIl doppio quadrato a sinistra è misterioso ma presente selettivamente su alcuni prodotti elettrici ed elettronici: come per tanti altri il consumatore spesso lo ignorerà totalmente. In realtà, dovrebbe servire a comunicare ai Clienti, quali sono i prodotti con isolamento elettrico di Classe II. Diffusa a livello europeo, sarebbe un’indicazione interessante poiché indicante una serie di prodotti le cui caratteristiche permettono di supporre una maggiore sicurezza anche in impianti elettrici senza collegamento a terra, situazione purtroppo non così rara in molte abitazioni del Vecchio Continente.

Decente entro 24 mesiIl barattolino a destra è invece presente sui prodotti igienici e cosmetici: basta guardare i propri e sicuramente lo si troverà, sebbene microscopico, visto che è obbligatorio. Sta ad indicare il Period after Opening, cioè il valore di mesi in cui il prodotto conserva uno stato di affidabilità e sicurezza. Forse in pochi pensano al fatto che prodotti delicati come le creme o i dentifrici stessi, quotidianamente a contatto con il nostro corpo, possano perdere poteri o addirittura diventare dannosi, dopo un certo periodo di contatto con l’aria. La tipica comunicazione pubblicitaria legata all’efficienza di questi prodotti effettivamente lascia supporre poteri magici insiti per natura stessa dei prodotti.

Magari, un giorno, ogni volta che si acquisterà un dentifricio per la casa al mare si penserà a guardare i mesi di validità, oppure si sceglierà un oggetto elettronico anche in base alle certificazioni di sicurezza segnalate. Per ora, guardiamo distrattamente ai simbolini che campeggiano sui prodotti che utilizziamo quotidianamente o li ignoriamo del tutto, visto lo scarso potere comunicativo con cui sono stati realizzati. A volte sono graziosi, in altri contesti magari rovinano il look di un oggetto a causa della loro stessa esistenza.

Non abbiamo grossa sensibilità su questi temi e probabilmente pensiamo che siano stati messi lì da qualche ente supremo per stupidi motivi burocratici, quali dazi assolti ed astruse verifiche di sicurezza in laboratorio. Per fortuna, la Banca Dati Marchi di Altroconsumo riesce a spiegare ai consumatori tutta la strana simbologia di matrice europea ed internazionale, distinguendo quelli veramente importanti da quelli che addirittura sono stati creati da alcuni produttori: sono avvertite le aziende furbastre.

Allarghiamo la banda larga

Son sempre scritti bene, i comunicati stampa del Ministero dell’Innovazione. Riescono a trasmettere entusiasmo, ottimismo, vivacità. Quello sullo sviluppo della banda larga in Italia non fa eccezione: squillino le trombe, il 37% delle aziende ed il 19% delle famiglie usa la banda larga, così come il 73% delle scuole ed addirittura l’85% delle strutture sanitarie (qualsiasi cosa esse siano).

Al di là dei dati sulla pubblica amministrazione, cui va un plauso per l’effettivo investimento in nuove tecnologie (i soldi pubblici non sono un problema, si direbbe), è importante notare che, letti da un’altra luce, i dati vogliano anche dire che il 63% delle aziende italiane e l’81% delle famiglie non ha ancora, nel 2005, nessuna connessione broadband. Non ce l’hanno magari non perché non la vogliono, ma perché magari nessuno riesce loro ad offrirla.

Il problema non è strettamente commerciale: di pubblicità di Alice e delle sue sorelle son piene le fosse. Il problema è biecamente infrastrutturale: la mappa dell’Italia pubblicata nella seconda slide degli allegati al comunicato stampa fa paura. L’Italia appare da un lato afflitta da un rossastro morbillo, dall’altra preoccupantemente ingiallita: la sintesi visuale dice più dei numeri quanto territorio italiano sia ancora largamente scoperto, non raggiunto dall’Adsl.

Si badi bene: dall’Adsl, non dalla vera banda larga. In Italia ormai in pochi investono nella fibra ottica e ciò non lascia prevedere nulla di buono sul lungo termine. Per quanto l’invenzione dell’Asdl sia stato un assegno in bianco per il futuro tecnologico italiano, la mancanza di investimenti infrastrutturali rischia di diventare un problema eccessivo nel lungo termine. Non è un caso che, una volta confrontati i nostri dati con i benchmark europei, la verità di un’Italia fanalino di coda venga prepotentemente alla luce.

Continuiamo a tenere d’occhio i lavori dell’Osservatorio Banda Larga, ma cerchiamo di farlo con senso critico: proprio perché gli attori coinvolti sono così importanti per il mercato italiano, è importante che orientino le loro strategie verso uno sviluppo che tenga conto delle necessità dell’economia reale. La banda larga non è un gingillo per scaricatori indefessi: è uno strumento di comunicazione e di lavoro che può far fare un salto di qualità notevole a tutti noi.

Se vai a Roma x omaggio Papa…

All'assalto dei mezzi pubblici (ma è solo l'inizio)Non l’ha scritto un adolescente, l’SMS che la protezione civile sta mandando (random?) agli Italiani: l’ha scritto un organo ufficiale dello Stato, sdoganando l’uso ufficiale dell’X per “per” e confermando ancora una volta che, di fronte ai grandi eventi, l’invio degli SMS è diventata una regola. Era successo per il blackout, per le elezioni, per lo tsunami.

«PROT. CIVILE — SE VAI A ROMA X OMAGGIO PAPA USA MEZZI TRASPORTO COLLETTIVO. PREPARATI A CODE ORGANIZZATE MA MOLTO LUNGHE. CALDO DI GIORNO FRESCO DI NOTTE. X INFO ISORADIO 103.3»,

recita l’SMS, che al tempo stesso riesce ad invitare all’utilizzo di mezzi pubblici e consigliare la radio per gli automobilisti. La situazione, d’altronde, sta precipitando, come si era già intuito domenica, quando a fine Messa le folle si accalcavano per uscire dalla Piazza ed era facile spostarsi senza muovere i piedi: ora il tutto è moltiplicato per 10 e le persone non si misurano più in decine ma in centinaia di migliaia. Pare che si siano moltiplicate anche le forze dell’ordine, praticamente inesistenti durante quel primo evento.

Si tratta, stavolta, dell’Evento, quello con la E maiuscola. Sebbene non si capisca quale sia esattamente (la coda o il funerale?), nel suo complesso il post mortem del buon Wojtyla sta smobilitando mezza Italia e mezza Polonia, oltre a colonie sparse di fedeli e politici proveniente da altri Paesi. Dopo che ha raggiunto il Centro Storico di Roma ed ha fermato la città, Bertolaso si è finalmente deciso a chiudere la fila ma in un impeto di ottimismo ha fissato la fine a stasera alle 22, immaginando “solo” 24 ore per esaurire la gente in coda.

Non è difficile immaginare che, domani sera alle 22, a fine esposizione, decine (o centinaia?) di migliaia di persone saranno ancora sul sagrato di San Pietro e sulle vie limitrofe. Arrabbiati per essere rimasti fuori ad un passo dalla visione mistica ma furbescamente già pronti ad aspettare ulteriori 12 ore (cosa vuoi che siano…) per assistere in pole position ai funerali. Ovviamente, nel frattempo, qualche altro centinaio di migliaia di persone sarà lì lì pronto ad accodarsi giù giù verso il centro di Roma.

I media, ovviamente, stanno impazzendo. Di gioia, sì. Sabato sera chiunque camminava per Castel Sant’Angelo poteva capire come stessero mugugnando “speriamochemuoiasperiamochemuoia”, dopo 48 ore ad aspettare. Dopo che è avvenuto, si son resi conto che questo voleva dire aspettare almeno un’altra settimana, fermi lì, nonostante si fossero finite la fantasia e la forza.

E giù ad aspettare, aspettare, aspettare. A vedere la fila di pellegrini crescere fino a davanti le telecamere, poi vederla andare ben oltre, ormai strabordante verso il Tevere ed oltre, giù per il Centro. Ormai avranno capito che è l’Evento e saranno felici di poterlo testimoniare e raccontare ai propri figli. A meno che non avvenga qualcosa di terribile venerdì: allora, diventerà l’Ecatombe. E non ci sarà SMS che tenga.