Siamo un po’ sotto schock

Siamo un po’ imbarazzanti quando facciamo la classifica dei peggiori eventi; quando di fronte all’orrore consumatosi nelle scorse ore a Parigi tutto sommato ridimensioniamo quanto successo a gennaio da Charlie Hebdo in poi e col bilancino posizioniamo i nuovi attentati dopo quelli del 2004 a Madrid, perché in fin dei conti il numero di morti è l’unico KPI cui guardiamo con sospetta attenzione.

Siamo un po’ terrorizzati quando sappiamo benissimo che prima o poi avverrà anche in Italia; non ci sono grandi razionali perché la furia cieca degli assassini continui a sfogarsi nel resto d’Europa e non da noi. C’è solo da sperare di non trovarci nel posto sbagliato al momento sbagliato: di sicuro chi abita a Milano, Roma, Venezia o Firenze probabilmente ha qualche preoccupazione in più.

Siamo un po’ manipolati quando non ci rendiamo conto che siamo i migliori alleati dei terroristi: ci teniamo ad aggiungere il peso da novanta a ogni avvenimento, aggiungiamo terrore a terrore sguazzando nei dettagli delle stragi, nella descrizione di profili e atti di chi ha speso la propria vita inseguendo un ideale di odio. Alcuni giornali in particolare sembra ci provino davvero gusto.

Siamo un po’ sognatori quando pensiamo che da un giorno all’altro tutto ciò finirà. Così, come è iniziato. Che a un certo punto non ci siano più attentati, massacri, stragi e decapitazioni. Che si possa tornare a uno stato di serenità che poi, nella realtà, non abbiamo mai vissuto davvero; in 60 anni siamo passati dalla grande guerra al terrorismo nero alla mafia al terrorismo islamico.

L’immagine internazionale dell’Italia

L'immagine dell'attuale home page di CNN

Questa foto dell’attuale pagina del sito CNN rimarrà nelle nostre memorie per lungo tempo. Testimonia con forza quella che è l’immagine che in questi giorni, in queste settimane, l’Italia presenta a livello internazionale. Da un lato ciò che è successo a Milano poche ore fa, al centro un richiamo alle ultime notizie da Perugia, a destra un indicatore del peso che queste notizie gridate in home page hanno rispetto al resto dei contenuti.

L’interesse per entrambe le vicende potrebbe essere morboso: un anziano maltrattato e sanguinolento, una ragazzina incarcerata dopo losche storie di sesso e morte. Vicende accomunate non solo dall’essersi svolte a poche centinaia di kilometri ed entrambe nel nostro Paese, ma anche dall’avere direttamente o indirettamente un rapporto con la Legge, con la Giustizia ed i suoi rapporti con la Politica e le attese delle persone.

Attese di giustizia che si scontrano con la voglia di linciaggio. Sete di serenità che si infrange contro vicende occulte, poco chiare e mal comunicate dai media. Non si saprà mai se Amanda Knox ed i suoi amici siano stati davvero i truci esecutori, non si saprà mai perché il deficiente abbia aggredito Silvio Berlusconi. Tutti ci faremo un’idea, contorta per cause di forza maggiore, delle vicende e dei protagonisti. E non solo in Italia.

Qualche giorno fa il Ministro Michela Brambilla ha dichiarato che, in sostanza, le manifestazioni contro il Governo delle scorse settimane abbiano danneggiato l’immagine dell’Italia a livello internazionale. Può essere vero, ma né più né meno di queste altre vicende squallide che contraddistinguono ormai ciò che sembriamo più ciò che siamo. Non è colpa di Opposizione, Governo o Magistratura: è un intero sistema che va a rotoli.

Spettacolarizzare fa male (ma a volte è utile)

Fa cadere definitivamente le braccia la notizia che le forze dell’ordine abbiano assaltato gli uffici di Google Italia per una perquisizione che è solo il primo passo di una più ampia offensiva verso il Gruppo di origine statunitense. Lo step successivo, cioè l’aver messo sotto accusa due responsabili statunitensi delle attività italiane, è una conseguenza nefasta quanto surreale: è come se un uomo salisse sul ponte di una nave e si vantasse di aver stuprato un’impiegata del porto ed i poliziotti rincorressero i padroni della compagnia di navigazione (straniera) perché hanno permesso all’uomo di vantarsi pubblicamente del turpe gesto.

Da questa logica, è evidente, non se ne esce più: si confondono cause ed effetti, si mescolano protagonisti e responsabili. Se lo stupratore ha voluto pavoneggiarsi, il poliziotto furbo ne deve approfittare per fermarlo, verificare lo svolgimento dei fatti e permettere ai giudici di punirlo. Se il poliziotto preferisce far abbattere la nave, ha distrutto Sansone con tutti i filistei: nessuno potrà più utilizzarla per attraversare il mare e tutti dovranno soffrire per colpa di chi ha commesso un reato al porto. Quale sarà il vantaggio per la comunità nel bloccare la nave? Come avrebbero potuto i suoi proprietari bloccare a priori la salita a bordo del malvivente?

Sempre in termini di metafore, Beppe Caravita ha commentato l’accanimento contro Google sottolineando come l’attenzione deve essere posta alla “febbre” della società civile, piuttosto che agli strumenti di comunicazione che permettono di testarla. Se i ragazzini italiani sono in preda ad un delirio collettivo di onnipotenza, sarebbe meglio prestare loro attenzione piuttosto che indignarsi a posteriori del fatto che si vantino delle proprie malefatte. Internet è utile e lo sarà sempre più in futuro proprio perché sarà il luogo di elezione per “incontrare” persone di tutte le età, giovani in primis, ma ciò che serve è comprenderne il linguaggio, non lo strumento utilizzato.

Da notare infatti che lo spettacolarizzare gli eventi drammatici è una tendenza che va al di là della Rete: recentemente Le Iene su Italia Uno hanno denunciato il notevole spaccio di droga tra i ragazzi ospiti di Arezzo Wave e rapidamente la ventennale manifestazione ha cambiato sede, nome e dimensioni per le prossime edizioni. Gridare cose sgradevoli in maniera spettacolare insomma a volte serve alla società, anche se chi lo fa magari ha altri intenti. Si ottengono con questo metodo più risultati che attraverso il lavoro giornalistico tradizionale: nel bene e nel male, un servizio de Le Iene riceve più attenzione di un dossier di Report proprio per il suo linguaggio giovanilistico. In fin dei conti è meglio spettacolarizzare un po’ piuttosto che lasciare crimini impuniti.

La maledizione di Google Video (e YouTube)

Ci siamo riempiti la bocca, per superare gli anni post-esplosione della bolla speculativa, di riflessioni sulla riscoperta della parola scritta o sul successo di blog e wiki come sinonimo di una nuova circolazione di idee e notizie che rifuggisse dagli schemi canonici dell’informazione radiotelevisiva. Poi ci si è resi conto che le vere novità di questi anni non stanno tanto in questi nostri pensierini da scolaretti formato deluxe, quanto nell’ampia condivisione di foto e video resa possibile dalla cresita della banda larga in tutto il mondo.

Di multimediale, negli scorsi anni, circolavano solo i file audio sulle reti P2P: poi qualcuno ha saputo creare un mercato musicale digitale e le produzioni dei grandi artisti internazionali ora ricevono nuovamente l’attenzione che meritano, stavolta sui dispositivi portatili e non su quelli più classici in vinile. Oggi il focus della Rete non è più verso suoni e parole scritte: sono le immagini a trionfare. Google, con Google Video prima e poi soprattutto con l’acquisizione di YouTube, si è posta ancora una volta sulla breccia dell’onda ed ha saputo, proprio lei che delle parole scritte ha sempre fatto il suo core business, riciclarsi come leader del nuovo mercato.

Mercato che, si badi bene, è profondamente diverso da quello musicale: qui i video, così come avviene per le immagini di Flickr (non a caso acquisita dalla rivale Yahoo!), sono prioritariamente geenrati dagli utenti stessi che li condividono. Anche quando il contenuto non è di propria produzione, sicuramente lo è la scelta “editoriale” di decidere come tagliare e montare gli spezzoni provenienti dai media principali, ma soprattutto di cosa pubblicare. Non siamo più ai tempi del P2P musicale: non si mette più a disposizione tutto l’archivio musicale “perché così fan tutti”. Si scelgono contenuti e li si promuove su altri mezzi, blog in primis.

È evidente che cotanta autonomia sia un bene per la libertà di diffusione delle infomazioni: non a caso, la maggior parte degli articoli di Corriere.it ormai include una citazione o un link a video diffusi sulle piattaforme di casa Google. Tutto ciò si trasforma in un’enorme maledizione per la Grande G, protagonista involontaria delle attenzioni spasmodiche dei media. La disinterpretazione delle parole del buon Stefano Hesse riguardo alla storiaccia del ragazzo down maltrattato è il sinonimo più evidente della nostra scarsa sensibilità nel comprendere la difficoltà di contenere e regolare un traffico così intenso ed importante. Dobbiamo tutti fare autocritica per la leggerezza con cui pubblichiamo contenuti, ma soprattutto avvisare i giornalisti che i tempi non sono affatto maturi, per sferrare attacchi così grevi a chi sta costruendo il futuro con più responsabilità di ciò che si voglia far credere.

E dopo la TV, invasero anche il Web

Vanna & Stefania all'arrembaggioBisogna ammettere che a Vanna Marchi e Stefania Nobile non manchi l’inventiva: la prima riesce a capitalizzare tuttora la notorietà accumulata negli anni Ottanta, la seconda dimostra una continua creatività nell’esaltare il “talento” della madre e contemporaneamente nel promuovere la sua stessa figura in maniera crescente. Non è un caso, probabilmente, che il dominio dei loro blog sia stefanianobile.it: qualche anno fa sarebbe sicuramente stata la presenza della madre il fulcro del sito. Per la cronaca, la Nobile ha dichiarato tutti i propri dati personali sul Registro del Nic, mentre ha taroccato la registrazione del .com della sua azienda fantasma.

Il palese tentativo di tramandare la notorietà di madre in figlia sembra segnare un passaggio generazionale che garantisca alla bizzarra famigliola tanta fama per molti decenni ancora: il videoblog di Stefania miete commenti, quello della madre sembra molto poco frequentato. Vanna Marchi, d’altronde, era la maestra della comunicazione commerciale televisiva una generazione fa: ora è evidente come sia stata la Nobile (col suo fidanzato) a voler comunicare agli italiani attraverso il Web. La madre è relegata a deliranti videopost del tipo “vado in discoteca gay e parlo male dei gay” oppure “oggi sono arrabbiata nera con mia figlia”.

L’approdo al Web non è solo un modo per sfuggire ai divieti giuridici che inibiscono alle due di vendere di tutto di più in televisione: si tratta di un evidente tentativo di replicare sé stesse a costo zero riuscendo anche a svuotare la cantina. L’idea di vendere sul Web ha fatto come al solito scalpore, al pari della bufala della Nobile in versione porno: chi sa muovere il passaparola da un lato ed i media dall’altro riesce a raggiungere pubblici inaspettati e sempre più ampi. Non sono solo gli amanti del trash a guardare gli interventi dei videoblog, ma anche insospettabili bloggari.

A modo loro, le due venditrici hanno seguito la stessa strada di Beppe Grillo. Sebbene forse sanno di non poter mai arrivare alla celebrità di quest’ultimo, gli ingredienti del loro mix sono gli stessi: populismo, voglia di protagonismo, commenti spicci sull’attualità. Sarà curioso vedere come si evolveranno le attività Web di madre & figlia: se continueranno a vendere creme dimagranti andranno poco lontane. Piuttosto, il successo della sezione del tutto vuota dello shop erotico fa immaginare una deviazione verso ciò che tira sempre su Internet: no, non è il lotto.

E continua a succedere…

La mappa degli attentati della BBCTutti tornano con la mente a Madrid, poi a New York. Che è tristemente normale, visto che dal 2001 in poi il nostro immaginario collettivo è popolato quotidianamente di immagini di bombe, attentati e schifezze varie. Peccato che, ipocritamente, quando i media ci mostrano le immagini del Medioriente tendiamo a dimenticarle (o a ignorarle completamente), ma quando “qualcosa di brutto” avviene nei Paesi dell’Occidente, ci sentiamo tirati così in ballo da divenire news addicted.

Sarà, prevedibilmente, un’altra estate di delirio collettivo. Ripartono le fobie solo attenuate negli ultimi mesi e non c’è da meravigliarsi che i titoli legati all’economia turistica crollino sull’onda del colpo emotivo: peccato che la velocità di diffusione delle informazioni trascini giù tutti i mercati finanziari fino a toccare le decisioni delle Banche Centrali. E questo, come è noto, ha impatti profondi sulla vita quotidiana.

D’altra parte, non potrebbe esserci strada alternativa. Sicuramente, è un bene per i familiari delle (potenziali) vittime che la Rete, le TV e le radio riescano a trasmettere più informazioni possibili, a getto continuo. Peccato, però, che soprattutto sui media principali le notizie riguardino “le masse” e quindi l’utilità individuale si riduce di molto. Deo gratias che esista il Web non solo per gli strumenti di comunicazione che offre (pensiamo all’instant messaging, che riesce a funzionare anche in una megalopoli in cui le reti cellulari muoiono sovraccariche o vengono spente volontariamente), ma anche perché il flusso di informazioni riesce a disperdersi in mille rivoli specializzati.

Chi cerca di aggregarli, poi, lo fa in modo originale e nuovo. Su Flickr si nota come Wikipedia venga aggiornata ogni 30 secondi, confermando la sua natura di prima enciclopedia aggiornata (ed aggiornabile) in tempo reale. Superfluo citare i soliti blog ed i relativi tag, ma utile notare come ormai anche i media “ufficiali” ormai si siano impossessati delle logiche del Web: Repubblica.it, ad esempio, da una parte ospita commenti ufficiali, dall’altra permette a chiunque di raccontare la propria storia. Nuovi rivoli che si aprono al momento giusto, per le persone giuste… Poi, ognuno deciderà come rielabolarle: anche stando in silenzio, ad esempio.

Caffé, strategia ed etica

Mette una certa depressione, a chiunque conosca abbastanza da vicino la fragile economia calabrese, vedere naufragare l’immagine pubblica della famiglia Mauro. Un naufragio senza dubbio meritato, per chi professa il trionfo del business etico e razzola male, anzi malissimo.

I Mauro perdono ogni credibilità come famiglia, ma inevitabilmente anche la loro azienda subirà contraccolpi nelle vendite: chi non guarderà con occhio (a seconda) triste o arrabbiato o ironico le confezioni sullo scaffale e deciderà di conseguenza? La legge della responsabilità sociale non permette eccezioni: una volta che il danno è fatto non lo si può ignorare.

I più avveduti (e cinici), rifletteranno in queste ore anche su un altro aspetto della questione: chi gliel’ha fatta fare? Evidenti i ritorni nel breve: tassi da usurai, soldi che arrivano molto più velocemente che dal business industriale. Forse meno evidenti i danni nel lungo: che senso ha, strategicamente, lacerare i portafogli ed i nervi dei clienti baristi?

Una volta fatti fallire i propri clienti, la forza vendita cosa vende, a chi? Il fattaccio, non a caso, è stato portato alla luce dalle vittime stesse. Per una volta che gli imprenditori non erano vicini alla ‘ndrangheta, avranno pensato, sono comunque dei malviventi. E pensare che ricoprivano ruoli prestigiosi nelle Associazioni industriali calabresi.

Chissà cosa avrà pensato, invece, il più giovane dei Mauro, tale Maurizio, una volta raggiunto dalle forze dell’ordine nel resort dove trascorreva le vacanze. Quanto era dentro alla vicenda? Pensare che aveva azzeccato che le Maldive quest’anno non erano la meta ideale: meglio l’Africa. 

Realtà batte Comunicazione 1 a 0

Enzo Baldoni in giro per il mondoQuando era apparso in video a raccontare di sé a tutto il mondo, tutti hanno avuto una reazione diversa: c’è chi (e non merita un link) ha demenzialmente pensato “un turista in cerca di brividi”, chi l’ha definito il rapito più simpatico della resistenza irakena, chi ha pensato “Che ci fa Enzo – Zonker in TV?”…

In ogni caso, bisognava riconoscergli una cosa: un grande comunicatore, persino in quel momento. In barba a chi in Italia si dilettava a fare le pulci al suo profilo professionale (“è un pubblicista, non un giornalista” e banalità simili), ha dimostrato per un momento che si poteva coniugare quel mo(n)do onirico di fare pubblicità ed impegno civile profondo, sincero.

Enzo Baldoni, sì, proprio quello che scriveva su Linus e traduceva Doonesbury per la gioia dei fan italiani, non era solo un pubblicitario in cerca di sensazioni forti. Era una persona che aveva deciso di comunicare con le persone che soffrono dal vivo, non oltre la comoda cortina di un firewall aziendale.

L’unico problema di tutto ciò è che, semplicemente, il mondo non era pronto, ed il sistema è crashato. Come nei peggio sistemi operativi, Restart the World. Così i potenti di turno potranno giocarci un altro po’.

Furti di carte di credito e furti di identità

Il rapporto Istat citato ieri ci ha raccontato che per il 66,1% delle aziende il principale ostacolo alla vendite on line è la sicurezza dei pagamenti. Il tema, d’altronde, è un classico della Rete europea e non. Probabilmente la modesta diffusione delle carte di credito ed i costi non troppo trasparenti che le banche europee addebitano agli utenti (pensiamo alle spese mensili di estratto conto o al bollo previsto in Italia per importi superiori all’ottantina di Euro) e le “favole” negative che circolano da anni sono ancora una spada di Damocle sullo sviluppo reale del commercio elettronico.

Non che non ci siano problemi veri: oggi Punto informatico ha pubblicato un interessante articolo intitolato Furto d’identità, la Ue segue gli Usa, a proposito delle prospettive di miglioramento della pessima legislazione attuale in tema di identity theft. Un tema che qualche settimana fa aveva fatto scalpore con il caso giapponese Softbank Corp ed i successivi dati diffusi dagli organi di stampa: i dati che vengono sottratti sono quelli anagrafici, ma anche le coordinate bancarie…

Poi c’è il grande mondo delle carte di credito: proprio oggi viene da Reggio Emilia la notizia di una grossa truffa avviata utilizzando numeri di carta di credito non ancora utilizzati. La cosa interessante è che, seguendo i link dell’articolo del Corriere della Sera sull’argomento, si scopre che non è certo la prima volta che avviene. Se nel giugno 2001 una mega-operazione aveva arrestato i 32 responsabili di una truffa lombarda da 5 miliardi di lire, ad inizio marzo 2004 a Verona era stata scoperta l’ideona di un rumeno e dei suoi complici ristoratori.

Attenzione a quest’ultimo particolare: le operazioni citate, sono relative a truffe organizzate e realizzate del tutto off line. L’arguto Raimondo Boggia l’ha detto e scritto più volte: siamo così sicuri quando utilizziamo la carta di credito in giro per il mondo o, addirittura, in un ristorante di Verona o nelle boutique milanesi? Più che durante le transazioni su server sicuri, in cui non c’è traccia di intervento umano? Perché? Riusciremo ad ammettere che le paure sono leggittime, ma devono essere equilibrate?

Ilaria Alpi e Miran Hrovatin: 10 anni inutili?

Negli ultimi giorni tutti i media Europei, con gli italiani in pole position, hanno abbondantemente speculato sul decimo anniversario della morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Mentre hanno eco anche in Francia le imbarazzanti testimonianze false, le indagini sulla morte dei due sono avvolte nel mistero più cupo.

I due eroi sono stati un esempio, non c’è dubbio. Quello che brucia, è che nonostante gli ospedali, i libri ed i premi “istituzionali”, questo esempio venga spesso dimenticato. Ci vuole il Casini del momento per dire “Grazie” ai giornalisti. La Commissione parlamentare brancola nel buio, nonostante i proclami.

Verrebbe da scrivere che comunicare non è celebrare dei morti coraggiosi, ma dire – gridare, se necessario – la verità, quella verità che i morti in questione cercavano di svelare. Forse anche in questo post si sta facendo lo stesso errore: ma la rabbia è difficile da comunicare.