Ossessionati dal retargeting

Un giorno dovremo cospargerci il capo di cenere e riconoscere che con l’invasione del retargeting a 360° in giro per il Web il digital marketing ha fatto il salto dello squalo. Nel frattempo certo godiamoci i numeri che da più parti sembrano essere positivi: evidentemente i clienti sono pure contenti di essere ossessionati.

L’idea di fondo non è certo sbagliata: tutti noi disseminiamo carrelli mezzi pieni sulle piattaforme di e-commerce e avere un metodo per ricordarcene (e magari come spesso accade un piccolo incentivo per farlo) potrebbe essere quasi comodo, soprattutto se siamo già loggati e abbiamo dato consensi sensati.

Certo, avere la sfortuna di aprire un link su un social network su un item di Amazon e poi trovarsi quell’item in qualsiasi banner dell’universo non è esattamente piacevole. Eppure al gigante statunitense non dovrebbe mancare la tecnologia per capire che un articolo visto di sfuggita può essere davvero poco interessante.

Qualcuno l’ha interpretata in maniera ancora più aggressiva: basta cercare un volo su Alitalia.it da NON loggati e ricevere sull’e-mail associata al proprio profilo Alitalia un invito a riprendere la ricerca; per la cronaca, i link sono generici al sito, quindi in ogni caso la ricerca va reimpostata, senza garanzia di continuità sui prezzi.

Sono tentativi legittimi, ci mancherebbe, per incentivare un commercio elettronico in costante ascesa, ma che sembra sempre sotto il potenziale che non è difficile riconoscergli. Basta che poi gli editori non si lamentino del successo universale degli ad-blocker, quasi indispensabili per non impazzire con diagnosi ossessiva.

Tutti odiano i buoni pasto?

Basta accennare agli amici il tema dei buoni pasto per incontrare visi contrariati e ascoltare storie inverosimili di tentativi di spenderli, corse contro il tempo rispetto alla scadenza, viaggi di decine di chilometri per raggiungere supermercati che (raramente) li accettano. Il sospetto è che anche chiedendo agli esercenti non si riscontri un maggior entusiasmo: tempo perso, margini distrutti, rapporti coi clienti deteriorati. Non che le cose vadano meglio nelle aziende: è vero che grazie agli sconti sempre maggiori (la concorrenza non perdona) si risparmia qualche centesimo su ogni tagliandino, ma nelle grandi aziende non è da sottovalutare il costo di determinare ogni mese il numero di buoni, organizzarne la distribuzione e ascoltare le lamentele dei dipendenti sul valore solitamente limitato dal massimo di non tassazione, pari a poco più di 5 Euro.

Il processo, peraltro, non è virtualizzabile e questo crea ulteriori problemi nel momento in cui, in modo lungimirante, la maggior parte delle aziende sceglie di migrare al cedolino elettronico; i buoni pasto rimangono stoicamente cartacei sia per le aziende che per gli esercenti, a loro volta vittime della burocrazia e dei tempi di rimborso (volutamente?) lunghi da parte dei circuiti; spesso la soluzione è chiedere anticipi alle banche. A dire il vero negli anni qualche tentativo di innovazione si è visto sul mercato, ma come spesso avviene in ambito pagamenti, nessuno vuole assumersi i costi di cambiare il modello complessivo. Al contrario, la continua corsa al ribasso da parte delle amministrazioni pubbliche ha solo l’effetto di esacerbare gli animi degli esercenti e degli stessi circuiti di buoni pasto, che si sono riuniti in un’associazione di rappresentanza unitaria.

I dati di questa organizzazione, l’ANSEB, sono molto interessanti. Si scopre che circa due terzi (oltre 13 milioni) dei lavoratori pranzano regolarmente a casa, che il fenomeno dei buoni pasto riguarda poco più di due milioni di utenti. Numeri che fanno riflettere chi è in mezzo all’angoscia quotidiana del buono pasto: fa parte di una minoranza per la quale difficilmente le forze parlamentari avranno voglia di cambiare regole. È un’occasione persa: i buoni potrebbero rappresentare un mezzo alternativo di pagamento rispetto ai fastidiosi contanti, potrebbero essere utilizzati anche in contesti di commercio elettronico via Web o Mobile. Ma il mercato italiano è così ingessato che il meccanismo non decolla: persino la piattaforma del leader di mercato, Compliments Store, non rappresenta una case history significativa, nonostante sia tecnicamente affidabile.

All’estero la commissione sui buoni pasto è nell’ordine del 3%, in linea di massima paragonabile con le fee che i circuiti di credito riservano ai piccoli esercenti. In Italia si parla sempre di double digit e questo rende obiettivamente impossibile non solo l’estensione dei circuiti a un numero significativo di esercenti food-related, ma ancor di più l’avvio di circuiti alternativi in settori a bassa marginalità (leggi: elettronica e similari). Ci lamentiamo che l’economia “non gira”, che i consumi si riducono invece di esplodere cercando di intercettare i piccoli segni di ripresa che si vedono all’estero; è un peccato, perché il gioco senza vincitori dei buoni pasto è una proxy dei problemi che esercenti fisici e digitali incontrano quotidianamente con tutto ciò che non è contante. E senza moneta elettronica e circuiti di pagamento ben rodati, addio speranze di sviluppo.

Febbre alta in ambito home shopping

I primi numeri che circolano in merito al fatturato dell’e-commerce italiano nell’ultimo trimestre del 2010 sono del tutto lusinghieri. Il ciclone Amazon Italia ha ancora dispiegato parzialmente le sue ali e quello strano mix di crisi perdurante e ripresa che circola in questi mesi ha spinto molti di noi a ricorrere alle offertone tipiche del commercio elettronico. I valori totali, comunque, sono ancora sotto il potenziale mostrato nel resto d’Europa. L’osservazione vale in generale per il mercato delle vendite a distanza: già qualche anno fa Home Shopping Europe aveva debuttato sul mercato televisivo italiano osservando l’enorme delta rispetto in particolare a Gran Bretagna e Germania.

I risultati non erano tuttavia stati esplosivi: buona parte di quell’esperienza era confluita in Mediashopping, la piattaforma di vendita a distanza che negli anni si è contraddistinta per un approccio multicanale. Mediashopping vende in TV, ma anche negli ipermercati e via e-commerce, sia in proprio che tramite una partnership con “la solita” Terashop. Grazie alla spinta portentosa della comunicazione sui canali Mediaset, nel tempo Mediashopping è diventata una realtà da decine di milioni di Euro di fatturato annuo, con un catalogo differenziato e non concentrato sulle carabattole come avviene nelle televendite sulle TV locali, esplose negli ultimi anni.

Oggi Mediashopping è un soggetto in profondo cambiamento: gli esperti ipotizzano a breve una trasformazione in Mediaset Me, canale con contenuti di intrattenimento oltre le televendite. Un tentativo di scalare il maledetto LCN, il posizionamento automatico dei canali del digitale terrestre, per cercare di risolvere la confusione attuale: basti dire che sul sito istituzionale Mediashopping viene oggi segnalato al canale 32; peccato che 32 è in realtà la posizione di QVC, il canale leader negli Stati Uniti che ha debuttato in Italia lo scorso autunno ed è al momento il peggiore incubo per Mediashopping stessa.

Situazione piuttosto tesa, che sta per complicarsi ulteriormente. Home Shopping Europe infatti tornerà presto in Italia, stavolta con mezzi propri e puntando sul Digitale Terrestre. Sulla scia di QVC (e di Mediaset Me?), HSE24 sarà un canale che trametterà televendite spettacolari, puntando su centinaia di ore di diretta ogni mese. Quello che invece non è chiaro per tutti e 3 i canali sarà l’evoluzione multicanale; da un lato si ha paura che Mediashopping perda per strada gli investimenti in “formazione” degli spettatori sulle potenzialità dell’e-commerce, dall’altro c’è grande curiosità rispetto a possibili accordi coi retailer da parte dei due grandi player internazionali. In ogni caso, si prevedono molte scintille (e tanti posti di lavoro in più).

Amazon, La Feltrinelli e il gigantismo

Una strana coincidenza ha voluto che a fine novembre, nelle stesse ore, il mondo italiano della distribuzione editoriale venisse toccato da due novità solo all’apparenza diametralmente opposte: il debutto di Amazon in Italia e l’apertura del più grande punto vendita La Feltrinelli, nella Stazione Centrale di Milano. “All’apparenza” perché è vero che il primo evento segna un bell’assist per l’e-commerce e il secondo un buon investimento per la catena più forte d’Italia, ma entrambe le iniziative sono accomunate dalla voglia di gigantismo che contraddistingue i relativi debutti. E non solo in termini di assortimento editoriale.

A fronte di una modesta marginalità e di un mercato tutto sommato stagnante, librerie tradizionali e siti di e-commerce sono stati negli anni travolti dalla voglia di vendere di tutto di più: Amazon vende i tosaerba e i servizi di cloud computing migliori degli Stati Uniti, La Feltrinelli vende muffin e DVD nelle stazioni. E oggi proprio La Feltrinelli, che dopo il bagno di sangue di Zivago negli anni si è costruita una solida esperienza in ambito e-commerce, potrebbe essere tra gli attori più colpiti dal debutto in grande stile di Amazon. Con i prezzi folli del retailer statunitense, di fatto, è impossibile competere in maniera diretta.

I modi di reagire, per i concorrenti diretti di Amazon nel settore editoriale, sono due: concentrare gli sforzi sul proprio core business, puntando sulle nicchie più che sui best seller, oppure portare il gigantismo delle librerie tradizionali (o di quello che sono diventate) anche su Internet. In entrambi i casi, però, Amazon ha le spalle più larghe in Europa e i piedi più deboli in Italia, almeno fino a quando non manderà a regime la macchina distributiva. Per ora, gli altri player dell’e-commerce italiano dovranno aspettare che sfoghi le sue aggressivissime campagne promozionali di lancio prima di poter riprendere fiato.

La speranza è piuttosto che l’ingresso in grande stile di Amazon crei il volano necessario per far crescere i volumi totali dell’e-commerce italiano, più che provocare la redistribuzione dei già asfittici fatturati attuali. Per i Clienti finali, d’altronde, l’ingresso di nuovi player sul mercato del commercio elettronico porterà doppi benefici: alcuni attori si spaventeranno, ma proprio per questo torneranno a presidiare il canale fisico con maggiore attenzione; altri accetteranno la sfida e cercheranno di giocarla ad armi pari. Forse era quello che aspettavamo, dopo anni di commercio sonnolento, elettronico o meno.

La coda lunga in pizzeria

Una pizza a Bergamo? Sicuramente dai fratelli Nasti: due pizzerie, entrambe nel centro di Bergamo bassa, ben conosciute dagli abitanti del luogo per la qualità delle pizze (i gestori hanno origini partenopee) e soprattutto per l’ampia scelta. Entrambi i locali offrono più di 250 variazioni sul tema: si va dalle più classiche a quelle ricche di gorgonzola, da quelle di mare a quelle più americaneggianti, dalle bergamasche a quelle per vegetariani. Il tutto, declinato in diverse opzioni: ogni pizza può essere prodotta in formato gigante, oppure con farina di soia o farina integrale. Le combinazioni possibili, perciò, ammontano a ben oltre il migliaio.

Come avvengono le ordinazioni? I clienti sfogliano nervosamente le 12 (!) pagine di pizze sul menu, individuando il numerino sulla sinistra che identifica il “modello” di pizza. Si confrontano con i commensali, ironizzano sulla quantità eccessiva di pizze e poi aspettano il cameriere. Poi questi arriva e si sente chiedere, nella stragrande maggioranza dei casi, una Margherita. Così: basic, formato e farina standard. Qualcuno azzarda qualche ingrediente da aggiungervi e il cameriere segna pazientemente sul terminale l’ordinazione di una Margherita “arricchita” che, probabilmente, nella maggior parte dei casi in realtà è già compresa nelle 12 pagine.

Capita così di ordinare una pizza poche decine di minuti dopo aver letto il bel post su [mini]marketing a proposito della coda lunga e di sorridere al pensiero di Chris Anderson ospite di Nasti. Lo si immagina ordinare una pizza con tanto di ananas sopra, mentre paragona l’esperienza ad un acquisto su Amazon, esaltando l’ampia scelta delle pacchettizzazioni disponibili. Si concorda con lui che, senza l’ampia scelta, la pizzeria (o il bookstore virtuale, che è lo stesso), non riuscirebbe nemmeno ad attrarre un flusso di visitatori paragonabili: in un mondo così omogeneo, è bello poter scegliere in un catalogo sterminato di pizze (o di libri, o di DVD).

Poi, però, è il caso di far notare a Mr. Anderson che le critiche dell’Harvard Business Review non sono così campate in aria. Mentre la pizza inizia ad andargli giù di traverso, forse è anche opportuno infierire facendogli notare che sono i blockbuster alla fine a fare la voce grossa persino in pizzeria e che i clienti non sono poi così interessati a vagliare tutte le opzioni di scelta a catalogo: sono esseri a razionalità limitata che, semmai, vogliono avere una pizza (o un saggio, o un romanzo) tailor made, che solo per puro caso si avvicini a quella del menu prestabilito. Non ci si meravigli del successo di Philip M. Parker su Amazon: lui sì che fa un servizio di nicchia.

Nel resto della vita reale, invece, i cataloghi di nicchia continuano a contare quanto il due picche. Persino i concessionari d’auto ormai hanno imparato la tecnica: non esistono modelli “preconfezionati” veramente interessanti per i clienti esigenti, tanto vale proporre loro il modello base con una serie ampia di optional. Ha senso avere migliaia di suonerie disponibili se si è un gestore di mobile VAS, ma è masochistico sopportare i costi di magazzino e di marketing di migliaia di oggetti fisici. L’Ikea insegna: meglio una struttura portante e 100 accessori per personalizzare il proprio armadio. Sarà poi compito del marketing accompagnare nella scelta il cliente.

Un popolo di poeti, saggisti ed editori

Non è vero che tutti gli Italiani abbiano un libro nel cassetto: alcuni, infatti, lo hanno anche pubblicato. Lo hanno fatto, nella stragrande maggioranza dei casi, a proprie spese: volumi di prosa e poesia di vario genere, ma anche saggi sulle più svariate discipline, da regalare (o vendere, nei casi più disperati) a familiari, amici, colleghi, conoscenti. Una mania dilagante che ha radici antiche: molte minuscole case editrici di provincia hanno basato esclusivamente i propri bilanci su questo narcisismo creativo. Nemmeno le case di media dimensione sono state immuni: in questo caso, i libri pubblicati sono stati quelli “sponsorizzati” dalle aziende, che poi li regalano a clienti e fornitori.

Ma poeti di provincia e manager da regalo natalizio hanno sempre avuto uno scoglio insormontabile davanti: le loro opere non sono mai state acquistate volontariamente dai lettori e perciò difficilmente lette davvero. La loro diffusione è sempre stata limitata e soprattutto ha risentito dell’aassenza dell’arma di marketing più importante in ambito editoriale: il passaparola entusiasta dei lettori, vale a dire (nemmeno a farlo apposta) il sale stesso di Internet. Era prevedibile, perciò, che questi due mondi prima o poi si sarebbero incontrati: Produttori di contenuti da una parte, potenziali lettori dall’altra e soggetti economici predisposti a intermediarli riducendo all’osso i costi industriali di produzione.

Si spiega così il successo internazionale di Lulu.com, la piattaforma che negli anni si è saputa distinguere per essere diventata un buon sistema di e-commerce prima ancora che di self publishing. Si spiega ancora di più lo spazio di mercato di Ilmiolibro.it, iniziativa patrocinata dal Gruppo L’Espresso che riassume tutti gli elementi vincenti di questo business model: costi limitatissimi per gli autori, prezzi decenti per gli acquirenti e una comunità che li coinvolge e serve a mettere in primo piano i testi più meritevoli. Un buon sistema che fa della flessibilità e non della produzione industriale il suo cardine: una copia di un libro ha lo stesso prezzo di un centesimo di un lotto di cento copie.

Siamo abbastanza lontani dagli eccessi di Amazon ma siamo sopratutto distanti dal livello “professionale” di TuttiAutori di LampiDiStampa, il primo operatore specializzato in Italia, che però ha sempre presentato costi minimi all’apparenza insormontabili per gli scrittori alle prime armi. Ilmiolibro.it sembra essere un sistema più amatoriale, ma proprio per questo dalle prospettive rosee. Chissà che presto, tra un panino e l’altro, il Gruppo L’Espresso non decida di portare in edicola i libri che avranno avuto maggior successo sulla sua piattaforma: sarebbe il trionfo di un nuovo modo di intendere l’editoria, la voglia di scrivere e soprattutto l’opportunità di leggere.

Vodafone scrive ai suoi clienti

——— Messaggio Originale ——–
Da: Vodafone.it@mls.vodafone.it
Per: Cliente
Oggetto: Vodafone fa chiarezza su SMS Vocale
Data: 26/03/07 18:48

Vodafone
 
Vodafone fa chiarezza sul servizio SMS Vocale:
un comunicato ufficiale per fornire tutte le informazioni.
Gentile Cliente,

in seguito al lancio avvenuto nel mese di marzo del servizio SMS Vocale, nei principali forum dedicati alla telefonia mobile, in alcuni siti web, tra i consumatori ed i Clienti, hanno iniziato a diffondersi informazioni non corrette sulle modalità, l’uso e i costi del servizio, che hanno generato incertezza e confusione.

Vodafone ha il piacere di fornire direttamente ai propri Clienti una corretta informazione in merito al servizio.

SMS Vocale permette di inviare un messaggio vocale quando la persona chiamata ha il cellulare spento o non raggiungibile.

Il Cliente che chiama ascolta il messaggio gratuito di avviso:
“SMS Vocale Vodafone, messaggio gratuito. La persona chiamata non è al momento disponibile. Per inviare un SMS Vocale parli dopo il segnale acustico e poi riagganci.
Info e costi al numero gratuito 42055.”
Il Cliente può scegliere se riagganciare o registrare un messaggio con la propria voce, dopo il segnale acustico.

  • Il messaggio gratuito dura 15 secondi.
  • Dopo il messaggio ci sono un paio di secondi di silenzio
  • Dopo il silenzio c’e’ il segnale acustico, dopo il quale il Cliente puo’ registrare il messaggio.
  • Se il Cliente non parla, o parla meno di 2 secondi, il messaggio non viene inviato e il Cliente non riceve nessun addebito.
  • L’SMS Vocale ha un costo di 29 centesimi per chi lo invia.
  • E’ gratuito per chi lo riceve.
  • Il servizio può essere disattivato chiamando il numero gratuito 42070 oppure dall’Area personale “190 Fai da te”.

Si precisa che, contrariamente a quanto diffuso:

  • il Cliente non ha 1,5 secondi ma ha 15 secondi per riagganciare prima di vedersi addebitare il costo della registrazione dell’SMS Vocale.
  • non paga 10 cent quando ascolta il messaggio dell’SMS Vocale, in quanto è gratuito.
  • non sono cambiati i criteri di tariffazione della segreteria telefonica.

Mentre continua la campagna disinformativa sul servizio, lo stesso è stato temporaneamente sospeso da Vodafone al fine di dissipare ogni dubbio e contestare ogni critica infondata.

Vodafone resta a disposizione dei propri Clienti attraverso i tradizionali strumenti di comunicazione.

Distinti Saluti

Servizio Clienti Vodafone

Questa e-mail è stata inoltrata stasera a tutti i clienti registrati su 190.it, il portale di Vodafone che come è noto è stato quasi del tutto offline per una settimana. Qualcuno dirà che il contenuto ha qualcosa di familiare: effettivamente, è una copia quasi integrale del comunicato stampa dello scorso 21 marzo. Ciò fa emergere un serio dubbio: che senso ha l’inoltro individuale a tutti i clienti, dopo una settimana dalla pubblicazione del comunicato, quando ormai la bufera sembra essersi placata?

L’effetto immediato è che i media si accorgeranno di questo invio e ricominceranno a parlare della storia, ma soprattutto anche i clienti che non sapevano nulla della vicenda, entreranno in stato confusionale: se Vodafone Italia scrive un’e-mail per la prima volta nella sua storia, vuol dire che è successo qualcosa di grosso ed ora cerca di metterci una pezza. Come esempio di crisis management, non è esattamente un caso da manuale così come non era stata una grande idea di marketing lanciare di soppiatto il servizio, che potrebbe anche essere di per sé interessante. Cosa sta succedendo in casa Vodafone?

Io voglio il DVD, tu vuoi il film

Giacciono indisturbati sui loro espositori i DVD “usa e getta” che 01 Distribution ha annunciato qualche settimana fa: il filo di polvere che li ricopre nel punto vendita di MediaWorld dentro l’OrioCenter (per la cronaca, il centro commerciale più grande di Italia) è probabilmente colpa del cartello bianco scritto col PC che evidenzia la durata massima di 48 ore. Sorge il dubbio che sia stato messo lì dopo le proteste di chi, attratto dal prezzo inferiore a 10 Euro, avesse pensato di fare un affarone nel comprare La febbre o The Aviator, seppure in un’orripilante confezione cartacea (anch’essa) usa e getta.

In apparenza, si tratta di un’idea realizzata con troppa rapidità rispetto alle esigenze del mercato: è come se una volta scoperta la disponibilità dei DVD degradabili francesi, si fosse voluto a tutti i costi riempirli con contenuti ritenuti interessanti per il pubblico europeo. A leggere le dichiarazioni del manager che ha lanciato l’iniziativa, i problemi sembrano derivare da una cattiva analisi del target: sicuramente non i grandi cinefili, che probabilmente saranno poco sensibili al tema prezzo pur di avere un prodotto di qualità e comunque saranno già abbonati a Sky Cinema, ma nemmeno coloro che non hanno voglia di riportare il DVD al punto vendita in cui l’hanno preso. Per costoro, interessati solamente a passare una serata senza TV, persino il cestone pieno di film a 2,90 Euro posto di fronte ai DVD monouso presenta idee carine.

Non è l’unica idea distributiva di questo 2006 e non sarà l’ultima: viene dopo i squilli di trombe relativi allo streaming messo a disposizione dalle major di oltreoceano a prezzi non proprio popolari (ed errati) e si confronta sul mercato italiano con l’iniziativa di Alex Infascelli, che ha distribuito il suo nuovo H2Odio solamente in edicola ed in download dai siti del Gruppo L’Espresso. Tanti piccoli tentativi di ribaltare la logica attuale di distribuzione cinematografica, soprattutto per quanto riguarda le modalità di godimento delle prime visioni.

Che il P2P faccia paura non è una novità e può essere ritenuto più o meno giusto, più o meno saggio combatterlo e non affrontarlo a viso aperto: al momento, però, produttori e distributori brancolano nel buio. Si continuano a cercare i colpacci da prima visione e si dimentica il valore della coda, si cerca di spremere pochi limoni costosi e si ragiona sempre sullo strumento di trasmissione, raramente sul contenuto. I collezionisti di DVD si accaparreranno qualsiasi cosa appaia nei cesti, ma chi è convinto che un ben determinato film gli abbia cambiato la vita, sarà disposto ad acquisire qualsiasi briciola multimediale che lo ricordi, al di là del supporto. Fin quando continueremo a confondere i due target, continueremo a produrre mostri. Degradabili.

Scatta la promozione, scatta la rissa

La promozione iPod sul sito di MediaWorldSi mormorava della promozione Sottocosto di MediaWorld da qualche giorno, in particolare di quella relativa agli iPod Mini, svenduto a 99 Euro nella sessantina di punti vendita sparsi sul territorio italiano ed attraverso il Remote Shopping, alias i canali telefonico e Web. Un prezzo interessante, per un prodotto fuori produzione ma comunque notevolmente meno costoso di quello di pari capacità in vendita attualmente.

Ciò che è avvenuto, tuttavia, rasenta l’incredibile da un lato ed il dejà vu dall’altro: scene di panico collettivo in tutta Italia e vendite sui canali virtuali terminate in pochi secondi. L’effetto più evidente? Uno sciame infinito di commenti negativi sulla perdurante indisponibilità dei prodotto sottocosto e dell’intero sito per maggior parte della giornata.

In realtà, bastava essere in un MediaWorld qualsiasi ieri pomeriggio per capire che, una volta passato il momento critico dell’articolo – civetta per eccellenza, i successivi scivolavano via, con maggiore sobrietà, nelle mani delle orde di persone corse a comprare i regali di Natale con qualche Euro di sconto. MediaWorld, effettivamente, ha da sempre scelto un posizionamento molto forte in termini di prezzo e dimostra di conoscere bene i punti deboli dei suoi clienti.

Per quante critiche on line possa aver ricevuto la catena tedesca, non si può che osservare il successo dell’operazione nel creare traffico sul punto vendita, aumentare il chiacchiericcio sulle proprie iniziative e confermarsi come luogo d’elezione per i tecnofili sensibili al prezzo. Ancora più brillante, in ogni caso, l’idea di regalare buoni regalo da 5, 10, 20 Euro in base all’entità degli acquisti: un ritorno sicuro, in quel punto vendita, nei giorni prefissati di gennaio. Ed è evidente che la redditività di un solo cliente fidelizzato, in questo caso, è un valore da merita (quasi) qualsiasi prezzo.

Todo Mondo, il first minute va in linea

Forse non c’era bisogno di un altro portale – vendi – vacanze, ma di una ventata di freschezza nel settore sì. La fortuna di Todo Mondo sta nel nascere in un momento in cui finalmente l’Internet italiana è matura: lo si vede nell’usabilità del sito, nella selezione commerciale, nella coerenza dell’offerta. Carina anche la campagna stampa, che è riuscita a colpire, a quanto si sente in giro, soprattutto un target femminile.

On line come off line, d’altra parte, i feedback positivi sulle vacanze effettuate con Todo Mondo prendono il sopravvento e c’è da immaginare che lo facciano allo stesso modo i profitti. L’idea del “prima prenoti, meno spendi” non è nuova: TeoremaTour ne declama la paternità già nel 1988. Todo Mondo aggiunge al concetto anche il criterio del numero di richiedenti: man mano che ci si avvicina al sold out, i prezzi crescono.

Tra i tanti aspetti positivi di questa bella esperienza di e-commerce, tuttavia, c’è anche qualche lato oscuro: nella contrattualistica, ad esempio, i dati societari (e non solo) sono incompleti e sostituiti da xxxx temporanei mai riempiti. L’assenza completa di Avitour Srl da InfoImprese non aiuta a dare credibilità. Altra pecca, la scelta di un call center a pagamento: nessuno chiede un numero verde, ma un 899 è veramente troppo, anche perché ormai classicamente filtrato sia dai centralini aziendali, sia dai privati.

In ogni caso, è bene andare avanti su questa strada: ogni esperienza felice aggiunge un granello di credibilità all’e-commerce italiano e questo è molto, molto importante. Che si aggiunga una briciola in più di trasparenza alle belle interfacce e si avranno migliaia di consumatori soddisfatti e milioni di profitti in più…

Update: è doveroso segnalare che, successivamente a questo post, Todo Mondo (anzi, TodoMondo come è scritto nel loro sito) ha compilato i dati mancanti nelle condizioni generali di contratto. Non ci si può che augurare un altro piccolo sforzo con l’abolizione dell’899 e poi si potrà etichettare il sito come una delle migliori piattaforme europee di brokering turistico.