Sugar Daddies e teenager su Tumblr

Una settimana sì e una no girano su giornali e blog i commenti a Sugar Daddies, la piattaforma che “mette in contatto” signori benestanti e studentesse del college alla ricerca di fondi per andare avanti negli studi. Le storie raccontate (valga come esempio l’articolo di Caroline Kitchener su The Atlantic) non sono particolarmente edificanti: al di là del tentativo dei gestori della piattaforma di dare un tocco glamour alla faccenda, si tratta di prostituzione.

L’intento sarebbe nobile: aiutare fanciulle in difficoltà a costruirsi una carriera, magari in un’università prestigiosa, senza costringerle a versare le tasse di iscrizione che, soprattutto negli Stati Uniti, hanno raggiunto cifre folli. Anche l’auto-descrizione dei finanziatori è elegante e molti si descrivono come manager in carriera, poi in realtà i veri ricchi son piuttosto pochi: non si rovinerebbero la reputazione adescando ragazzine su finti siti di dating.

Non è poi così sorprendente che una studentessa universitaria possa prendere in considerazione l’idea; magari la stessa ragazzina pochi anni fa pubblicava sul proprio tumblelog immagini erotiche così, senza particolare impegno. Non è per fare i moralisti: basta scorrere la dashboard di Tumblr avendo sottoscritto profili di ragazzini “normali” per arrossire di fronte a una clamorosa deriva “erotica”, anche se per la maggior parte dei casi “soft”.

Si tratta di qualcosa di più di un trend passeggero; è un vero e proprio cambiamento. Qualche tempo fa da queste parti ci si interrogava se fosse effetto di MTV; ora sembra quasi il contrario, nel senso che è ormai la realtà ad aver superato le rappresentazioni sui media e i media stessi corrono appresso a questi fenomeni cercando di dar loro la patina cool. Ed è così che una settimana sì e una no girano su giornali e blog i commenti a Sugar Daddies.

Le ferite dell’irresponsabilità aziendale non si rimarginano mai

Non esiste probabilmente manuale universitario o saggio specialistico che, parlando di Corporate Social Responsibility, non accenni al disastro di Bhopal, alle migliaia di vittime riconosciute e non, all’imbarazzante condotta di Union Carbide. Una tragedia ambientale, umana, ma anche aziendale: un esempio di come non gestire uno stabilimento e una società, di come non riuscire nemmeno a riparare dopo il torto.

La filiale indiana di Union Carbide venne venduta a un’azienda locale, mentre la capogruppo finì nel gruppo Dow Chemical. Ancora oggi, quasi 30 anni dopo la vicenda, gli attivisti di tutto il mondo considerano responsabile l’azienda chimica statunitense di non aver dato risposta alle popolazioni coinvolte nella tragedia di Bhopal. Dow smentisce ogni responsabilità diretta, non vuol rimborsare vittime e territorio.

L’infelice acquisizione di Union Carbide è una condanna continua per Dow: ad esempio, la sola possibilità di collaborare con le Olimpiadi di Londra 2012 ha alzato un polverone internazionale. Amnesty International ha chiesto chiarimenti al Comitato Olimpico, ma anche l’India ha sollevato proteste per questo affare: non c’è stato nulla da fare, la risposta ha escluso la possibilità di rompere il rapporto con Dow.

Già BP ha investito molto sulle Olimpiadi per cercare di rifarsi una verginità dopo il disastro ambientale nel Golfo del Messico e questo ha creato molti malumori tra i cittadini britannici; ora l’appoggio incondizionato del Comitato Olimpico Internazionale a Dow in qualche modo rovina ulteriormente la fiducia nei confronti delle Olimpiadi estive, il cui “spirito” era già stato messo a dura prova a Pechino 2008.

Si dirà che le Olimpiadi di Londra erano già iniziate male prima ancora dell’assegnazione, nel 2004; ora rischiano di diventare il contesto in cui cercare di riciclare l’immagine di aziende dai fatturati miliardari ma dall’immagine pessima, distrutta da comportamenti irresponsabili magari lontani nel tempo, ma ancora vividi nella memoria di tutti noi, di tutti coloro che nelle Olimpiadi “credevano” ancora.

L’insegnamento per chi si occupa di strategia aziendale e di comunicazione è che non basta investire budget importanti per provare a salvarsi l’anima; i disastri bisogna evitarli a priori e piuttosto, una volta che ci si trova a confrontarsi con le vittime, meglio assumere un profilo di alto livello. Altro che scappare di fronte alle responsabilità, sanare le ferite del passato è la migliore delle promozioni, la più seria.

L’ipocrisia del pixel

Aprile 2009: una giovane campana, Noemi Letizia, racconta con entusiasmo ai giornalisti di aver festeggiato il suo diciottesimo compleanno in compagnia del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Incredulità generalizzata, mentre un turbinio di foto sexy della giovane ragazza scattate prima del compleanno (quindi da minorenne) invadono tutti i mezzi di comunicazione. La vicenda ha un forte impatto sulla vita privata delle persone coinvolte, compreso Berlusconi che viene lasciato dalla moglie Veronica Lario, al grido di «La strada del mio matrimonio è segnata, non posso stare con un uomo che frequenta le minorenni».

Agosto 2010: nella campagna tarantina scompare la quindicenne Sarah Scazzi. Chi l’ha visto e altre trasmissioni televisive diffondono le immagini della ragazzina invitando chiunque sia a conoscenza di dettagli sulla vicenda di chiamare gli inquirenti. A inizio ottobre lo zio dichiara di averla assassinata, in collaborazione con la figlia: il frastuono sulla vicenda raggiunge livelli record, sopratutto in televisione. Le foto e i video di Sarah, anche quelli meno significativi presi dai profili sui social network della giovane tarantina, vengono riprodotti a ritmo continuo, con la giustificazione che si tratti di “ricordi” o di “tributi” alla vittima.

Ottobre 2010: Karima El Mahroug, diciassettenne marocchina, stupisce tutta l’Italia raccontando dell’amicizia intima con il Premier e il fatto che questi l’abbia salvata dalle grinfie della Questura quando ha avuto problemi con la Giustizia. La storia è sufficientemente torbida da far impazzire di gioia i siti Internet di informazione prima ancora della TV: corrono a prelevare le foto dal profilo Facebook “Ruby Rubacuori” e le pubblicano ovunque, pur con qualche pixel smosso a confondere gli occhi. Si apre un ampio dibattito sulla Rete e tutti aspettano con ansia la maggior età della ragazza (mancano poche ore) per poter parlarne liberamente.

La differenza tra quest’ultimo caso e i precedenti sta appunto in quei pochi pixel sul viso della diciassettenne. Solo Dagospia ha pubblicato sue foto molto discinte senza pixel sugli occhi, mentre tutte le altre testate hanno pubblicato foto simili e provocatorie, ma con quel velo di ipocrisia a coprire il voyeurismo congenito di chi ama consumare questi scandali. Abbiamo negli scorsi anni assistito a casi in cui i protagonisti minorenni delle vicende di cronaca sono apparsi senza pixel all’inizio e poi li hanno “guadagnati” quando inseriti nel registro degli indagati. Abbiamo visto togliere ogni privacy a Sarah Scazzi, solo perché morta.

In questi giorni alcuni quotidiani hanno pubblicato senza nessuna alterazione la foto del profilo di Karima, che ora dichiara di voler scrivere un libro sulle sue vicende; forse toglieranno definitivamente ogni pudore quando la signorina a breve sarà maggiorenne. D’altra parte cambierebbe poco: vedere lei (o la Letizia un anno fa) con seni e sedere di fuori solleticano le fantasie morbose al di là del volto. In fin dei conti, dice qualcuno, se una delle tante candidate minorenni a Miss Italia domani venisse coinvolta in una vicenda di cronaca, si ritroverebbe le foto del concorso sui giornali, col volto “pixelato”. Perché l’importante è l’ipocrisia.

Solitudine dei potenti e linciaggio morale

Non si parlava tanto di transessuali in Italia da circa quattro anni, quando molti ne scoprivano il fascino in seguito alla vicenda Lapo Elkann. Il tema aveva poi fatto capolino associato ad un’edizione del Grande Fratello e proprio questa trasmissione, in questi giorni, lo sta ritirando fuori per esibire una nuova attrazione del circo. Quasi a volerla presentare come una situazione più “originale” del solito, stavolta è il turno di una donna diventata uomo.

Il tema transessualità, più che per il programma televisivo, rimarrà attaccato a questo autunno 2009 per merito/colpa della vicenda di Piero Marrazzo, sorpreso in atteggiamenti casalinghi con una transessuale di origini brasiliane. Una storia difficile da comprendere sino in fondo, che forse solo in queste ore sta venendo fuori in maniera un po’ più chiara, grazie alle testimonianze dei vicini di casa di Natalì, in Via Gradoli.

Emerge infatti una storia simile a quella di molti altri amanti, di qualsiasi genere, razza e religione: un marito infedele che tradisce la moglie invaghendosi di una più giovane. Storia squallida quotidiana, ma non sufficiente a giustificare il vero e proprio linciaggio mediatico cui l’ex presentatore televisivo è stato sottoposto nell’ultima settimana. Una pioggia continua di insulti, attacchi e richieste di dimissioni, mal gestita da Marrazzo.

La linea comune dei media è stata “Marrazzo si deve dimettere perché è risultato ricattabile da Carabinieri corrotti”. La linea reale professata (con ampie dosi di ignavia) da molti connazionali è stata “Marrazzo si deve dimettere perché va a trans”. Molti hanno pensato la seconda ed hanno adottato in pubblico la prima, magari non riuscendo poi a sostenerla nel dibattito e lasciando trapelare le vere motivazioni della sfiducia al politico.

Fa male, tutta la vicenda, perché come al solito viene fuori l’Italia razzista ed omofobica, che perdona i mariti fedifraghi ma non quelli che fanno emergere pulsioni sessuali “diverse” da quelle più comuni. Piero Marrazzo è finito nel frullatore come un Sircana qualsiasi, senza le giustificazioni del tipo “colpo di testa” o “debolezza temporanea” che solitamente si leggono in casi analoghi, quando dall’altra parte c’è una donna.

La storia di un potente che si sente solo e cerca compagnia in luoghi diversi da quelli della quotidianità è una vicenda che si ripeterà ancora negli anni. Ciò che si può auspicare è che si smetta di guardare male chi ha preferenze diverse dalle proprie, nascondendo il proprio linciaggio morale sotto la scusa dei pericoli della ricattabilità del politico di turno: siamo dei tremendi bigotti e pretendiamo anche di fare bella figura in pubblico.

Eluana Englaro, Enrico Mentana, il Grande Fratello

La morte di Eluana Englaro addolora o rasserena: a seconda della propria posizione etica su eutanasia e stato vegetativo, è dificile non “schierarsi” su tempi e modi della vicenda. Lo abbiamo fatto tutti noi, al di là della professione esercitata e dell’esperienza nel campo: lo hanno fatto anche i giornalisti, che di questa storia ci hanno parlato in abbondanza.

Più di una voce obietta che questa copertura sia stata eccessiva. Alcuni pongono l’accento sui vari media confrontandone comportamenti e livelli di approfondimento, altri evidenziano l’imbarazzante livello di spettacolarizzazione che una vicenda tutto sommato privata ha assunto. Qualche giornalista forse è andato oltre, soprattutto in televisione.

Quando Enrico Mentana ha presentato le proprie dimissioni ai manager Mediaset, ormai le polemiche avevano cambiato natura: dal ruolo dei giornalisti nella vicenda alla reazione dei media al decesso. Mentana è diventato il paladino del silenzio rispettoso vs. chi ha voluto mettere in onda i vari Grande Fratello e X-Factor poche ore dopo la notizia.

I risultati del Grande Fratello, in qualche modo, sembrano avergli dato torto. La massa non ha il suo stesso senso etico e forse, memore della super-copertura giornalistica dei giorni precedenti, ha abbandonato il cadavere dell’Englaro al suo destino e si è concentrata sui “drammi” di Cinecittà. Più che l’etica, poté l’assuefazione. Più della morte, lo spettacolo.

La vendetta del succo di frutta

Quel genio di Paul The Wine Guy si sveglia il 30 dicembre ed invece di organizzare il Capodanno come tutti gli altri blogger, tende ad alcuni tra i più noti di loro una deliziosa trappola: si finge addetto marketing di un’azienda alimentare austriaca interessata a comprare dei loro interventi promozionali da pubblicare sui blog personali, con un budget pubblicitario totale di qualche decina di migliaia di Euro.

L’unica vecchia volpe che non cade nel tranello è Gianluca Diegoli, che non solo declina l’offerta, ma soprattutto rilancia su Twitter/Friendfeed la notizia, diventando l’hub delle blogstar che, sorprese dalla proposta, hanno reazioni diverse e soprattutto ambigue: tendenzialmente si tende a voler spostare gli interventi su spazi diversi dal proprio blog principale, eventualmente proponendo collaborazioni commerciali.

Quando Paul The Wine Guy espone pubblicamente i risultati della sua indagine, le rezioni sono ulteriormente confuse: i non-contattati si sono divertiti a crocifiggere pubblicamente coloro che hanno tentennato, accusandoli di scarsa trasparenza e scarsa etica; le blogstar più sfacciate hanno esposto in pubblico i propri prezzi (qualche centinaio di Euro), quelle più “professionali” hanno scritto articoli di approfondimento e di riflessione collettiva.

Nessuno è riuscito davvero a trarre una riflessione univoca sull’etica sottesa e necessaria a gestire questo tipo di operazioni, sia in veste di marketer che di autore di post. Si fa tanto parlare di buzz marketing, ma in fin dei conti alla fine sembra di essere tornati ai pubbliredazionali che, notoriamente, le concessionarie tradizionali danno quasi gratis a chi acquista campagne… Perché i veri soldi, con la pubblicità, girano altrove.

L’assalto a Best Western e l’etica del giornalismo

Anche i più distratti avranno letto con apprensione, magari mentre passavano le proprie ferie in un hotel della catena Best Western, dell’assalto informatico che la catena avrebbe recentemente subito da parte di un cracker infiltratosi nei sistemi informativi passando attraverso un client di un albergo di Berlino.

Lo avranno letto perché, soprattutto se si è stati in passato clienti della catena (e chi non lo è stato?), non avranno potuto ignorare i titoloni che sui giornali parlavano di una cifra impressionante di 8,2 miliardi di dollari di danni e di un bacino di 8 milioni di possibili clienti truffati in tutto il mondo.

Basti leggere l’articolo che su Punto Informatico annunciava l’ecatombe informatica, etichettandola come «una delle più clamorose di sempre» e non lesinando particolari sul destino infelice dei titolari di carta di credito che avevano malauguratamente alloggiato presso un qualsivoglia albergo dell’enorme catena alberghiera.

Cotanto clamore, d’altra parte, era stato promosso dal Sunday Herald, giornale su cui era apparso il primo lancio sul tema. Il giornalista, ovviamente, era convinto di aver fatto il colpo della vita: centrare uno scoop simile a volte può cambiare un’intera carriera e tanto vale girare il coltello nella piaga finché è calda.

Per fortuna, tuttavia, Best Western ha risposto con chiarezza alle accuse: il comunicato stampa italiano, ad esempio, limita i danni ad un accesso improprio ai sistemi dell’hotel berlinese, spiegando con trasparenza il sistema di collegamento tra questi e quelli centrali della catena che, notoriamente, è composta da alberghi molto indipendenti e “federati” sotto il marchio Best Western.

Altro che 8 milioni di clienti danneggiati in tutto il mondo: le vittime del furto di dati sarebbero solo 10 clienti (di cui 8 tedeschi), già contattati dalla catena e tranquillizzati sulla loro situazione. Tanta disponibilità per tutti: chiunque sia stato turbato dalla vicenda può telefonare al numero verde Best Western per chiedere informazioni e supporto.

Bravi quelli di Best Western, meno bravi i singoli alberghi che in effetti non brillano per coerenza con le iniziative della catena, riservatezza delle informazioni e gestione dei pagamenti. Pessimi invece i giornalisti, che si sono buttati a pesce sulla notizia ingigantendola in maniera inopportuna e dannosa per l’immagine di Best Western e degli albergatori aderenti al circuito.

Solo pochi giornali hanno pubblicato rettifiche adeguate ed ovviamente nulla può garantire che chi ha letto il primo articolo possa anche incappare in quello di smentita. Tra i giornali italiani che avevano esagerato nel lanciare la notizia, proprio il succitato Punto Informatico è riuscito a riequilibrare i toni, pur dando conto del fatto che Iain Bruce, il giornalista che aveva buttato il masso nello stagno, continui a voler difendere il suo scoop a dispetto di ogni evidenza, senza alcuna etica e senso di responsabilità per aver causato danni così gravi a Best Western.

Questo è uno di quei casi in cui un’azienda farebbe bene a portare in giudizio un giornalista: altro che danno di immagine, questa è stata proprio una coltellata, ingiustificata e ingiustificabile, sul business di un’azienda seria ed affidabile.

Mondo cane, il mondo non cambia

Un’attività divertente per i curiosi del mondo televisivo nostrano consiste nello spulciare i palinsesti notturni: a parte Gabriele La Porta che pontifica sulla “sua” RaiNotte, sugli altri canali si sviluppa un florilegio di contenuti “alternativi”, frutto di attenta attività di raschiamento dei fondi di magazzino da parte dei programmatori. I dati infinitesimali sugli ascolti, d’altronde, non giustificano molto l’investimento in produzioni di eccellenza: al massimo, si propongono a nastro repliche di ciò che è andato in onda durante il giorno. Nel frattempo, sarebbe bello capire a che punto è l’applicazione delle disposizioni dell’Authority sulle reti minori.

La palma di stanotte, ad esempio, va a Mondo Cane, uno dei film più strani della storia del cinema. “Film”, di per sé, è riduttivo: si tratta da un lato di un documentario, dall’altro di un inquietante collage di scene artefatte vogliose di documentare realtà esasperate; il tutto, comunque, condito da una bella colonna sonora di Riz Ortolani. Mondo Cane fu il capostipite del filone “mondo movie“, che dal primo presero soprattutto lo spirito prosaico e perverso, fino al filone (a dir poco) erotico di Joe D’Amato e Russ Meyer.

Più dei suoi epigoni (si andò avanti per 25 anni, a partire da inizio anni Sessanta e fino alla fine degli Ottanta), Mondo Cane lasciava intendere qual era e qual è lo spirito europeo dei nostri tempi nei confronti dei contenuti multimediali. Non si tratta della spettacolarizzazione ludica hollywoodiana: dalle nostre parti lo spirito critico si è trasformato in ludibrio investigativo, la voglia di conoscenza in desiderio di emozioni forti. A volte si ha la sensazione che alcuni rimpiangano la mancanza di uno snuff movie rispetto agli eventi di Cogne o Erba.

Che questo approccio sia spavaldo durante l’adolescenza e voyeuristico negli anni successivi, sta nella natura delle cose; tuttavia, la crescita esponenziale dell’attenzione che i media prestano a bullismo ed altri fenomeni gravi nella scuola secondaria sicuramente sollazza gli appassionati del genere, ma ha ormai innestato un fenomeno di emulazione inarrestabile. Finire sull’home page di Repubblica.it, che sistematicamente ogni giorno pubblica una notizia a tema, è una medaglia che vale probabilmente più di un buon voto. E se Repubblica.it continua a dar credito a queste notizie, è perché si tratta di irresistibili attira-traffico.

Trionfa il comune senso del pudore (yawn)

L’ondata di pudicismo che ha colpito l’Italia nelle ultime settimane solleva più di uno sbadiglio: ci manca solo che Sircana pubblichi le recensioni sui trans che frequenta o che l’Autority per le Comunicazioni vieti la pubblicazione dei romanzi di Anaïs Nin. Siamo la stessa Italietta di quaranta anni fa, sebbene ci si spacci per Paese culturalmente moderno ed industrialmente competitivo. In realtà, siamo la solita provincia dell’impero che lotta contro i suoi fantasmi; il sesso, come nei più banali trattati di antropologia, è la pulsione e la paura primaria. Peccato che questa rinnovata voglia censoria abbia risvolti che vanno oltre il focolare, trascinando ambiti che dovrebbero rimanere impermeabili, come l’economia o la politica.

Basti prendere il divieto imposto dall’Autorità per le Comunicazioni di trasmettere immagini e filmati “morbosi” a tutte le ore, compresa la notte. Non si capisce quale sia il vantaggio immediato per la comunità, visto che di seni e sederi nudi sulla televisione analogica se ne vedono di continuo. Semmai, si vede bene quale sarà il danno economico per le televisioni locali: un drastico calo dei fatturati e la potenziale chiusura di diverse emittenti che grazie al sesso quasi parodistico che propinavano ogni notte ai pochi insonni eccitati, riuscivano a mantenere un regime economico sufficiente a (sotto)pagare i propri impiegati. Una hotline in più al giorno, un telegiornale locale in più al giorno.

A questo punto c’è da immaginare che prenderanno il sopravvento le trasmissioni che vendono numeri del lotto via 899, inframmezzate da qualche demenziale televendita statunitense maldoppiata in italiano. Con il moltiplicarsi delle estrazioni settimanali, effettivamente, le stragi come quella di Signa rischiano di moltiplicarsi. Eppure, contrariamente alle hotline, lo Stato guadagna notevoli cifre con il Lotto: sarà difficile perciò che qualcuno vieti queste vacue trasmissioni di starnazzatori numerici. Altrimenti chi paga il profumato stipendio a Sircana ed a tutti gli altri eletti da parte delle segreterie dei partiti (non di certo dagli elettori)?.

Chissà se come tanti altri italiani, anche il portavoce di Prodi ora vagherà sconsolato per i pulitissssimi canali della televisione analogica, oppure sceglierà i canali a pagamento di Sky che, grazie alle decisioni delle nostre amate Autority, è rimasta l’unica piattaforma satellitare in Italia e perciò può imporre i suoi prezzi allucinanti a chi vuole aprire un nuovo canale. Addio ad esperimenti come Mediasex del vulcanico Corrado Fumagalli, che sopravvive grazie alla pubblicità sexy e non fa male a nessuno. Vedremo quali saranno le prossime censure: basta che non siano ulteriori colpi di machete alla già sufficientemente frastornata libertà d’impresa nel mondo dei media italiani. Il resto degli europei, tedeschi in primis, sono alle porte e su questo terreno hanno poco da perdere e tutto da guadagnare…

Vodafone scrive ai suoi clienti

——— Messaggio Originale ——–
Da: Vodafone.it@mls.vodafone.it
Per: Cliente
Oggetto: Vodafone fa chiarezza su SMS Vocale
Data: 26/03/07 18:48

Vodafone
 
Vodafone fa chiarezza sul servizio SMS Vocale:
un comunicato ufficiale per fornire tutte le informazioni.
Gentile Cliente,

in seguito al lancio avvenuto nel mese di marzo del servizio SMS Vocale, nei principali forum dedicati alla telefonia mobile, in alcuni siti web, tra i consumatori ed i Clienti, hanno iniziato a diffondersi informazioni non corrette sulle modalità, l’uso e i costi del servizio, che hanno generato incertezza e confusione.

Vodafone ha il piacere di fornire direttamente ai propri Clienti una corretta informazione in merito al servizio.

SMS Vocale permette di inviare un messaggio vocale quando la persona chiamata ha il cellulare spento o non raggiungibile.

Il Cliente che chiama ascolta il messaggio gratuito di avviso:
“SMS Vocale Vodafone, messaggio gratuito. La persona chiamata non è al momento disponibile. Per inviare un SMS Vocale parli dopo il segnale acustico e poi riagganci.
Info e costi al numero gratuito 42055.”
Il Cliente può scegliere se riagganciare o registrare un messaggio con la propria voce, dopo il segnale acustico.

  • Il messaggio gratuito dura 15 secondi.
  • Dopo il messaggio ci sono un paio di secondi di silenzio
  • Dopo il silenzio c’e’ il segnale acustico, dopo il quale il Cliente puo’ registrare il messaggio.
  • Se il Cliente non parla, o parla meno di 2 secondi, il messaggio non viene inviato e il Cliente non riceve nessun addebito.
  • L’SMS Vocale ha un costo di 29 centesimi per chi lo invia.
  • E’ gratuito per chi lo riceve.
  • Il servizio può essere disattivato chiamando il numero gratuito 42070 oppure dall’Area personale “190 Fai da te”.

Si precisa che, contrariamente a quanto diffuso:

  • il Cliente non ha 1,5 secondi ma ha 15 secondi per riagganciare prima di vedersi addebitare il costo della registrazione dell’SMS Vocale.
  • non paga 10 cent quando ascolta il messaggio dell’SMS Vocale, in quanto è gratuito.
  • non sono cambiati i criteri di tariffazione della segreteria telefonica.

Mentre continua la campagna disinformativa sul servizio, lo stesso è stato temporaneamente sospeso da Vodafone al fine di dissipare ogni dubbio e contestare ogni critica infondata.

Vodafone resta a disposizione dei propri Clienti attraverso i tradizionali strumenti di comunicazione.

Distinti Saluti

Servizio Clienti Vodafone

Questa e-mail è stata inoltrata stasera a tutti i clienti registrati su 190.it, il portale di Vodafone che come è noto è stato quasi del tutto offline per una settimana. Qualcuno dirà che il contenuto ha qualcosa di familiare: effettivamente, è una copia quasi integrale del comunicato stampa dello scorso 21 marzo. Ciò fa emergere un serio dubbio: che senso ha l’inoltro individuale a tutti i clienti, dopo una settimana dalla pubblicazione del comunicato, quando ormai la bufera sembra essersi placata?

L’effetto immediato è che i media si accorgeranno di questo invio e ricominceranno a parlare della storia, ma soprattutto anche i clienti che non sapevano nulla della vicenda, entreranno in stato confusionale: se Vodafone Italia scrive un’e-mail per la prima volta nella sua storia, vuol dire che è successo qualcosa di grosso ed ora cerca di metterci una pezza. Come esempio di crisis management, non è esattamente un caso da manuale così come non era stata una grande idea di marketing lanciare di soppiatto il servizio, che potrebbe anche essere di per sé interessante. Cosa sta succedendo in casa Vodafone?