I videogiochi stracciano i film

Sebbene siano ormai passati diversi lustri da Titanic e dalle sue notti stellate fatte col Paintbrush di Windows 3.1, ancora oggi non è così infrequente trovare film realizzati anche con budget importanti, ma con effetti speciali terribili: i film in 3D in questo senso non brillano per naturalezza e fluidità dei panorami. La bellezza e il successo di Inception forse derivano anche dall’uso contenuto di effetti speciali.

Negli scorsi anni, una tipica battuta all’uscita del cinema era «Sembra di aver visto un videogioco», con riferimento ai giochi che ci avevano abituato a texture tridimensionali e scenari un po’ finti, ma in qualche modo derivanti dalla potenza limitata dei nostri calcolatori. In realtà, negli ultimi anni la qualità grafica dei videogiochi ha raggiunto vette eccezionali. Ora si sente dire: «Questo videogioco sembra un film!»

Escono i film e contestualmente vengono rilasciati videogiochi che riprendono atmosfere e sceneggiature complesse, ispirate ai film stessi; allo stesso tempo, sempre più frequentemente film di successo vengono tratti dai videogiochi, un po’ come un tempo avveniva con i fumetti. In qualche modo anche lo sviluppo qualitativo dei film in animazione (Pixar insegna) ha contribuito a questa progressiva convergenza.

In un simile contesto, fa sussultare ma non sorprende che Call of Duty Black Ops, un nuovo videogame tridimensionale di Activision Blizzard, abbia battuto i record di incassi sui primi cinque giorni, arrivando a 650 milioni di dollari. Si badi: i record sono quelli per l’intero settore dell’entertainment, quindi il gioco in questione ha superato in scioltezza anche qualsiasi film o album musicale uscito nella storia.

Per avere un metro di paragone, si può osservare il successo di Avatar: negli scorsi mesi ha superato il Titanic come film con maggiori incassi della storia e dopo circa un anno dall’uscita ha incassato 2,7 miliardi. È probabile che Call of Duty Black Ops non arrivi a un incasso totale di simili dimensioni, ma c’è un fattore che il film non potrà mai superare rispetto al film: il tempo speso per usufruirne.

Pur assumendo che qualche fanatico dallo stomaco forte abbia visto Avatar più di una volta, non potrà mai aver speso nemmeno una frazione del tempo che un utente medio del videogioco passerà, giocando in locale o in multiplayer, con la puntata in questione (la settima) della saga Activision Blizzard, con le precedenti o con quelle che sicuramente usciranno nei prossimi anni, con tempi di logorio lunghi del marchio.

Non è difficile immaginare che le console di gioco saranno un must delle prossime vacanze natalizie. Nonostante i tre modelli principali (Wii, PS3 e XBox 360) abbiano ormai diversi anni sulle spalle, tecnologie come Kinect stanno riuscendo a far breccia anche nel pubblico un tempo poco sensibile al videogaming. Magari quello che un tempo spendeva il tempo (e i soldi) al cinema o ascoltando musica.

L’alta definizione? Non interessa a tutti

Sei in giro per la città e sbadigli nel traffico mentre cerchi di sintonizzare la radio. Passi una, due, tre frequenze e poi ti fermi su quella che si sente decentemente. Scendi dall’auto, indossi le cuffiette e vai a fare una corsetta: alle orecchie hai l’iPod e ti congratuli con te stesso per la qualità dell’audio rispetto a quella sentita prima in auto. Fai un allungo fino a Blockbuster per riportare un DVD noleggiato, scaduto da mesi.

Torni a casa e accendi il televisore: Inizi lo zapping e guardi un po’ di secondi di tante trasmissioni in onda. Alla fine ti fermi su un canale che sembra attirare la tua attenzione ma in realtà ti viene in mente che devi fare altro, nella stanza vicina. La TV sta accesa in sottofondo e magari la ricezione non sarà perfetta, ma non ti va di accendere il decoder per cercare il canale più pulito tra quelli in arrivo via satellite.

“Fare altro” si traduce nel dare un occhio alla coda del client P2P che hai lasciato a scaricare bit per tutto il giorno. Al mattino hai scelto due-tre film tra i più popolari del momento ed ora puoi guardarli senza andare al cinema o aspettare che siano pubblicati in DVD. Spegni la TV accesa nella stanza vicina ed inizi a guardare un DivX che, si direbbe, è stato ripreso con una telecamera nel buio di un cinema di provincia.

Mentre il film va avanti, ti cade l’occhio sulla fotocamera che hai lasciato domenica sera accanto al PC. Approfitti della serata attaccata allo schermo (altrimenti sarebbe difficile carpire il parlato del film) e inizi la copia delle foto. Il download è veloce: nonostante la tua fotocamera supporti i 7 MegaPixel, tu scatti le foto con qualità media. Tanto pensi che non le stamperai mai e così sulla schedina SD ce ne vanno di più.

Poi vai a dormire e ti fermi un attimo a pensare: continui a circondarti di apparecchi elettronici di alta qualità ed alta definizione, poi li utilizzi alla meno peggio. Ti diletti con i video formato francobollo di YouTube invece di vedere gli originali sullo schermo al plasma nel soggiorno, ascolti le canzoncine sull’iPod a 128 Kbps invece di ricorrere all’ampia discografia in CD che giace impolverata sulla libreria.

Preferisci scaricare film in bassissima qualità in DivX piuttosto che ricorrere al DVD fisico da comprare o noleggiare sotto casa. Hai MySky HD compreso nel tuo pacchetto satellitare, ma alla fine lo utilizzi sì e no una volta l’anno per registrare una partita di basket che poi non guarderai mai. Se tutti fossero come te, il mercato dei dischi ad alta definizione tipo Blu-Ray non decollerebbe mai.

E in effetti il mercato dei dischi ad alta definizione non sta decollando affatto. Chissà perché?

Nintendo – Resto del mondo: 1 a 0

Ad inizio 2007 si discuteva dell’andamento del mercato delle piattaforme ludiche digitali nel periodo successivo al lancio di Sony PlayStation 3 e Nintendo Wii: molti si meravigliavano del fatto che la Nintendo fosse riuscita a ripetere la lezione impartita con le proprie console portatili rispetto alla (presunta) portentosa PSP. La notizia, infatti, recitava che le vendite della Wii erano partite alla grande, fino al punto di doppiare le vendite della console Sony nel periodo più caldo dell’anno (Natale 2006) e soprattutto nel periodo del lancio nei paesi orientali (tanto bramato) della PS3. Oggi, con lo shopping relativo alle Feste 2007 in pieno svolgimento, ci si rende conto che non si trattava di un fuoco fatuo, ma di un crescente trend di mercato in tutto il mondo.

È notizia di queste settimane, ad esempio, che la Wii guida ormai stabilmente la classifica delle piattaforme di terza generazione: ha superato in scioltezza la Xbox 360 (ferma a 14 milioni di pezzi a livello globale) vendendo 16 milioni di console contro gli appena 7 della PlayStation 3; come se non bastasse, si stima che Nintendo perderà un miliardo di dollari in termini di mancate vendite, non riuscendo a stare dietro alla domanda. Numeri impressionanti per oggetti un tempo dichiarati infantili e che oggi vengono utilizzati da persone di tutte le età: se già gli strumenti delle ultime generazioni avevano spostato in alto l’età media, quest’ultima ondata ha definitivamente universalizzato l’interesse nell’utilizzarli come piattaforme di svago per tutta la famiglia. Fa sorridere ma è credibile l’anziana arzilla che negli spot Nintendo sfida Panariello con il proprio Wiimote: qualche anno fa sarebbe stata una caricatura fine a sé stessa.

D’altronde, basta curiosare tra il materiale esposto nell’esposizione sui trent’anni di videogiochi presentato nell’ambito di annisettanta per vedere come questi strumenti non siano cambiati solo in termini di resa grafica e giocabilità, quanto soprattutto di potenziale interesse verso i bacini più disparati: un tempo i bambini sognava il Sega MegaDrive per giocare col riccio Sonic, poi da ragazzini sono passati al PC per giocare con Doom, un attimo prima di vedere emergere le console, quelle che da sempre hanno puntato tutto sulla grafica tridimensionale ed oggi ragionano in termini più ampi. Ci si è in fondo resi conto non è più solo l’hardware a contare o solo il software ad attrarre: ciò che rende stimolante uno strumento rispetto all’altro sono proprio le infinite combinazioni che l’utente può scegliere per giocare (e non solo).

Oggi infatti si può scegliere la propria console in base alla propria nicchia di appartenenza in termini di utilizzo di materiale multimediale, ma soprattutto rispetto ai propri interessi: il naufragio della PS3 forse deriva proprio dall’aver puntato tutto sulla potenza dell’hardware, facendosi sfuggire il fatto che da un lato Xbox era un PC multimediale travestito da consolle per gli heavy users e dall’altro che Wii ha iniziato ad offrire giochi magari semplicissimi, ma divertenti da giocare da parte di grandi e piccini con strumenti innovativi come il Wiimode di cui sopra. Sia onore a Nintendo, che ancora una volta ha dimostrato di conoscere bene il suo mercato, più dei newcomers Sony e Microsoft che hanno abbaiato per qualche anno ed ora devo abbassare la cresta: vedremo ancora in giro Mario Bros e Zelda per parecchi anni.

Ricky Records, la televisione senza televisore

Il logo di Ricky RecordsDopo un po’ di mesi di rodaggio, si può dire che Ricky Records, la piattaforma italiana di Digital Video Recording remoto che ha rappresentato l’avanguardia di questo tipi di servizi nel nostro Paese, è oggi stabile ed affidabile. L’idea è semplice e già vista all’estero, ma quest’applicazione italiana ha dei punti di merito che possono essere apprezzati ed esportati in tutta Europa: lo standard tecnologico sottostante è quello del digitale terrestre, che garantisce una buona qualità delle registrazioni ed una discreta compatibilità con i più diffusi sistemi casalinghi, vista l’esportabilità dei filmati prodotti direttamente su DVD.

La semplicità tecnologica, d’altra parte, è uno dei vantaggi di questo sistema: la scelta tra i formati disponibili viene guidata e spiegata in termini di qualità percepita. Accanto al formato digitale di alta qualità, infatti, vengono offerte due alternative che garantiscono risultati più modesti, ma sufficienti per essere viste via PC. Questa flessibilità garantisce ai clienti anche la possibilità di evitare download da 2 GigaByte, in favore di file compressi della metà o addirittura di due terzi. La possibilità di utilizzare download manager come il “solito”, grandioso, GetRight, evita di dover cestinare file che si scoprono rovinati o incompleti a causa dei tradizionali problemi di gestione dei grossi download da parte dei browser.

I prezzi del servizio variano in base a queste differenziazioni di qualità e dipendono dalle modalità di pagamento scelte: si va da 3 Euro per l’acquisto di un programma in alta qualità pagato via telefonata all’899, fino ai 40 centesimi per ognuno dei programmi low-fi acquistabili con una “ricarica” da 50 Euro pagabile via PayPal. La scelta è per ora limitata ai principali canali televisivi nazionali: le tre reti Rai, le tre reti Mediaset, La 7. Su questo punto, effettivamente, si potrebbe osare di più: proprio perché il segnale di origine è quello del digitale terrestre, si potrebbe inizialmente ampliare il bouquet almeno ad altri canali disponibili su quelle frequenze.

Riassumendo, il progetto è ad un buono stadio di sviluppo e può continuare a crescere bene, come e più dei siti che offrono servizi analoghi, ma in streaming. Accanto a punte di eccellenza come l’assistenza puntuale tramite il forum pubblico (un ottimo esempio di trasparenza), ci sono aree di miglioramento come la promozione del servizio stesso: più che la campagna in giro per i siti RCS/Dada, forse sarebbe stato più utile concentrare i fondi sull’avvio di un programma pay-per-action. Tuttavia, è opportuno dare fiducia al servizio ed a chi l’ha fondato, sperando che i crediti saggiamente distribuiti gratuitamente all’atto dell’iscrizione, non spingano troppi Furbetti del Webbetino a sottoscrivere troppi fake account con e-mail fantasma.

Cinema e Web: update 2007

Periodicamente è opportuno verificare l’interazione che esiste tra Cinema e Web: esattamente un anno fa, ad esempio, l’occasione era stata data dal lancio di H2Odio,  il film di Alex Infascelli lanciato dal Gruppo L’Espresso nelle edicole italiane e sul Web, in streaming. Allora i dubbi sul pricing erano più che fondati: frutto della solita paura atavica degli editori nel confronto dell’e-commerce, non avevano alcun confronto plausibile con le esperienze internazionali. Siamo alle solite: gli editori in questi anni si sono mostrai bravi a proporre informazioni, ma imbranati nel vendere servizi (basti provare, sempre per restare in ambito L’Espresso, il costosissimo acquisto di arretrati di opere tramite il Servizio Clienti de La Repubblica). Molto più “sul pezzo”, si direbbe, ISP ed operatori specializzati.

Il logo del servizio Tiscali Movies NowSul Corriere di oggi, è Tiscali a diventare innovatrice di mercato. La sua reincarnazione inglese, infatti, ha lanciato il servizio Tiscali Movies Now, una piattaforma di download di film integrali a basso prezzo: titoli di varia natura (dai bestseller di Woody Allen a misteriosi filmetti inglesi) da scaricare per una manciata di sterline, con un buon margine di scelta nella qualità desiderata. I film possono infatti essere scaricati in un formato adatto ai player portatili, ma anche in qualità VHS ed in qualità DVD: in molti casi, inoltre, è possibile scegliere se noleggiare il film o acquistarne una copia digitale.

Auchan Bergamo offre il noleggio DVD a 1,50 EuroLa piattaforma di Tiscali non sarà innovativissima dal punto di vista tecnologico (il sistema gira grazie allo schema Playforsure di Microsoft ed ai relativi sistemi di rights management), ma è un buon segnale per il mercato home video europeo. Le catene di noleggio tradizionali sono già state messe in crisi da TV satellitari ed ipermercati (persino in Italia è possibile noleggiare le ultime novità a 1,90 Euro al giorno): speriamo trovino nuovi stimoli da questa sfida lanciata dalla Rete, solitamente temuta come foriera di illegalità tramite il download non autorizzato dei film.

Il mondo della televisione ha già capito che i video su Internet non sono solo quelli di YouTube e corre a creare marketplace per gli affezionati. Il Cinema è un po’ più timoroso e per ora vede la Rete soprattutto come uno strumento di marketing ed informazione sui propri prodotti: è ormai abitudine produrre un sito per ogni film distribuito, con tanto di blog a raccontare l’avanzamento della produzione (bisognerebbe capire in cosa sarebbe “blog” quello di Shkrek III, però). Peccato che di solito queste iniziative svengono dopo il termine delle proiezioni, rinascono per l’uscita in home video e muoiono definitivamente poche settimane dopo.

La tecnologia come status, tra Euro e Dollari

L’urlo disperato di Leander Kahney, l’autore di Wired specializzato nel mondo Apple, suona strano alle orecchie degli europei: vedere un pur brillante giornalista lamentarsi per la perdita di “geekitudine” della sua marca preferita fa nascere qualche sospetto sulla capacità di distinguere passione e professionalità, status e tecnologia. In questo, Kahney è un po’ interprete di molti altri macintoshiani della prima e della seconda ora: non di quelli attuali, che ormai vedono la mela morsicata con occhio diverso e fanno appunto arrabbiare i primi. Da un lato i duri e puri del mouse ad un tasto, contrapposti agli acquirenti dei nuovi prodotti, molto più pragmatici e semmai coscientemente modaioli.

Quei ragazzini che Kahney critica tanto, sono stati la salvezza della Apple: l’aver perso la label “Computers” nel nome è stato non solo l’ultimo passo della rivoluzione intelligente di Steve Jobs, quanto il primo di una nuova azienda che opera in un nuovo mercato. Informatica ed elettronica di consumo, di fatto, convergono sempre più e questo sta cambiando il nostro modo di vivere entrambi i mondi: un approccio più soft verso il mondo dei computer va ad unirsi con una maggiore predisposizione a gestire il cambiamento tecnologico a proprio favore. Per la prima volta non è tanto il potersi permettere un Mac da migliaia di dollari ad attribuire uno status, quanto l’assaporare il pezzettino mancante della mela.

L’unico problemino, per noi europei, è che le politiche commerciali di Apple prima e dei suoi competitor poi, stanno facendo lievitare sensibilmente i prezzi anche per gli oggetti meno impegnativi. La stessa diffusione dei famigerati iPod in Europa, di fatto, potrebbe essere sensibilmente maggiore qualora i prezzi al consumo seguissero l’andamento del cambio Euro/Dollaro, piuttosto che essere partoriti a tavolino da chi sa che la domanda è rigida, ma non stima il mercato europeo come sufficientemente ampio per rischiare di più. Questo, in un circolo vizioso, non fa che acuire il divario tra le varie anime del nuovo mercato: troppo distanti, ancora, per potersi avvicinare.

Il Capodanno fallito della PlayStation3

Non riuscendo a smarcarsi dalla consuetudine che deve vedere le folle impazzite alla mezzanotte del giorno di lancio del prodotto giovanile di turno, la Sony aveva sognato l’ennesima notte da sogno. Che si tratti di console o di Harry Potter, la scena è sempre la stessa: azienda e distributori organizzano eventi sui punti vendita per attrarre i fan di turno, ma soprattutto i media. I quali ogni volta − Ooooh! − producono servizi ed articoli meravigliati (…) ed esultanti sull’evento di turno. I telegiornali si riempiono di immagini di orde di ragazzini accampati, i quotidiani di “anticipazioni” sul libro o sul prodotto tecnologico oggetto dell’adorazione collettiva.

Peccato che stavolta qualcosa non abbia funzionato. Il lancio commerciale della PlayStation3 prima era stato rovinato dalla notizia della scarsa compatibilità della versione europea della console con i giochi realizzati per le versioni precedenti della piattaforma; poi, negli scorsi giorni, le grandi catene dell’elettronica hanno lanciato sul mercato la bomba. Ha iniziato Darty, gigante francese nano in Italia, poi sono state soprattutto Mediaworld e Saturn a puntare su un’aggressiva campagna pubblicitaria in cui esaltare l’anticipo dell’arrivo nei negozi come azione di risposta all’aggressione della concorrenza… Una scusa a lungo attesa, evidentemente.

L'immagine strappalacrime della FNACC’è chi aveva puntato tanto nei propri punti vendita, con spazi promozionali e vetrine interamente dedicate all’evento e si è trovato del tutto spiazzato. Questo è il caso, ad esempio, di Fnac: sono stati i suoi conterranei di Darty a rovinarle la festa, ma la catena che in Italia conta pochissimi punti vendita ne ha fatto una questione di principio. Ha inondato i suoi acquirenti fidelizzati con un’e-mail strappalacrime in cui teorizza che il lancio della PS3 sia una sorta di evento religioso cui attenersi rigidamente. Si parla di tradimento della PlayStation (?) e di tradimento del potenziale cliente (!) da parte dei concorrenti che hanno cercato di rovinare la festa collettiva. Peccato che, dal punto di vista dei clienti, è difficile teorizzare che un anticipo causi problemi invece che vantaggi, nonostante Sony abbia subito cercato di giustificare l’incompatibilità dei primi modelli in vendita proprio con l’anticipo rispetto alla data.

Chissà cosa sarebbe cambiato con 48 ore in più, visto che gli stock ormai erano stati inviati ai distributori. Gli unici ad essere danneggiati, tra l’altro, sono stati i piccoli negozianti specializzati: la Sony Computer Entertainment Italia li ha rassicurati sino all’ultimo della data di lancio, poi si è ritirata in buon ordine rispetto allo strapotere delle grandi catene, che le garantiscono spazi e possibilità commerciali infiniti anche per gli altri prodotti della casa madre giapponese. Gli acquirenti del mostriciattolo nero a 599 Euro saranno tanti e c’è qualche dubbio sul fatto che saranno tutti soddisfatti, visto che i primi feedback sono tutto tranne che positivi: per ora, dovranno correre ad acquistare i preziosi giochi ad alta definizione ed i film Blue-Ray. Altri soldini che vanno via: cosa non si fa per un po’ di intrattenimento digitale!

Second Life, il mondo virtuale che diventa reale

Continuano a fioccare gli annunci di organizzazioni private o pubbliche che rendono noto il loro interesse verso Second Life e perciò decidono di aprire una propria sede in questo “mondo virtuale” di estremo successo. Non si tratta più di piccole aziende smart o di pubbliche amministrazioni di paesi in cui l’uso della Rete è così diffuso da rendere “naturale” la sperimentazione di nuove tecnologie nell’uso quotidiano. Per intendersi: c’è poco da meravigliarsi che i paesi del Nord Europa aprano proprie rappresentanze sulla piattaforma di Linden Lab; stavolta, però, è il turno dell’Italia.

In poche ore, infatti, da un lato il Ministero degli Esteri ha annunciato l’apertura di un Istituto Italiano di Cultura virtuale, dall’altro è stata Gabetti, storica firma del mercato immobiliare, a meritare un articolo su Corriere.it in cui spiegare la strategia per approcciare questa nuova realtà. Se nel primo caso l’intento è puramente promozionale (dare maggiore visibilità ad eventi culturali organizzati dalle branche del Ministero), nel caso di Gabetti i risvolti sono decisamente più ampi.

Morris Gabetti, l'agente immobiliare virtualeBasti pensare al core business della Gabetti: mediare tra venditori di immobili e potenziali acquirenti. Perché non ampliare la propria offerta agli immobili virtuali? Si tratta in fin dei conti di transazioni simili, sebbene le professionalità e la sensibilità dei consulenti devono essere diverse. Basti pensare al potenziale che soggetti del mercato tradizionale (esempio tipico, i produttori di arredamento) possono ottenere su Second Life: vendere una rappresentazione virtuale dei propri prodotti non solo può diventare fonte diretta di guadagno, ma può anche essere un utile esperimento per testare i gusti dei clienti proponendo prototipi che, solo in caso di interesse diffuso possono divenire prodotti “fisici”.

Il problema di fondo di tutto il grande gioco, però, è che Second Life è una realtà saldamente nelle mani di un’azienda privata, la Linden Lab, che di fatto ne controlla presente e futuro. C’è tutta un’economia di produttori di oggeti virtuali che si è sviluppata grazie a Second Life; tuttavia, il monopolio del cuore del sistema da parte di un’unica (piccola) società è una minaccia allo sviluppo stesso di quello che è ormai un “luogo” cruciale della Rete. I concorrenti affilano le armi, ma per ora Second Life è saldamente leader nel suo mercato: rimarrà “IL” mondo virtuale della Rete o sarà solo uno dei tanti?

Cosa sta combinando la Sony?

Piano piano ci stanno riuscendo: l’arrogante ma obiettivamente solido mondo della Playstation sta improvvisamente franando dopo anni di dominio assoluto nel campo dell’home entertainment. Non siamo certo di fronte ad una valanga, quanto ad un harakiri che cerca di distruggere il mito dalla base: da un lato, sono spariti i giochi super-esclusivi e tecnologicamente avanzati che ne avevano segnato il successo; dall’altro, la nuova console che presenta come unica novità sostanziale il lettore Blu-Ray, non esattamente la tecnologia più ambita dai ragazzi di tutto il mondo.

Una delle prime immagini della PS3Eppure il lancio di PSP era stato abbastanza positivo: numeri lontanissimi dai “soliti” prodotti portatili di Nintendo, leader incontrastati del mercato giovanile, ma tanto successo tra un pubblico più maturo e disposto a spendere (tranne che per gli inguardabili film formato francobollo UMD). L’attesa della PlayStation 3 era altrettanto focosa ed il suo esordio negli Stati Uniti ha visto brutte scene di violenza nei negozi; un mercato di successo come quello dei videogiochi, in ogni caso, lasciava immaginare ampi margini per il colosso giapponese grazie al suo nuovo prodotto di punta.

Il fatturato atteso a Natale è arrivato solo in parte e di fatto quasi del tutto legato, almeno negli Stati Uniti, alla PlayStation 2, ormai vecchissima: 1,4 milioni di esemplari venduti, cioè tre volte il numero di PS3 acquistate dagli statunitensi. In mezzo, una strabordante XBox ed una sorprendente Nintendo Wii, che ha dominato anche nel mercato domestico giaponese. La scusa ufficiale per l’insuccesso commerciale del nuovo modello, nemmeno venduto in Europa, è quella dei bassi stock di magazzino. Ipotesi che può valere per il prodotto Nintendo, sicuramente più venduto rispetto alle aspettative iniziali, ma non di certo per lo storico leader di mercato.

Sorge piuttosto il dubbio che sia l’ufficio marketing di Sony ad essere un po’ in crisi di identità: il posizionamento di alto livello di PS3 ha portato a scelte come l’esclusione di materiale porno dai dischi Blu-Ray, ottima strategia per far fallire il formato come ai tempi del Betamax; il tentativo di avviare un network per i giocatori on line sul modello di XBox Live appare più una necessaria imitazione del modello Microsoft piuttosto che una reale innovazione. A questo punto c’è da sperare che, dopo aver ottenuto brillanti appellativi come «social media idiot» grazie al «worst fake blog ever» dedicato alla campagna natalizia di PSP, i nostri si affidino a partner pubblicitari più affidabili: la guerra della prossima generazione è accesissima ed i concorrenti non regaleranno niente a nessuno, soprattutto a Sony.

Tutti sul carro della musica on line

Dopo George Michael, è ora il turno di David Bowie nel voler “giocare” con la propria visione della musica on line, del copyright, del modo di fare soldi o meno. In termini di istrionici personaggi britannici mancherebbe solo Peter Gabriel: ma d’altra parte già dal 1999 quest’ultimo ha investito soldi ed idee sulla musica in Rete, lanciando Od2.

Il punto è che, nel bene (quale?) e nel male (quale?), la musica in Rete inizia ad essere davvero un affare. Probabilmente non per Napster, un nome che per gli Internauti ormai vuol dire poco o nulla (lo usano solo i giornalisti quando devono riferire di qualche nuovo P2P). Difficile la strada anche per Real Networks, il cui Rhapsody è arrivato forse troppo tardi su un mercato già saturo. Meriterebbe una benedizione anche Rosso Alice, che a prezzi improbabili per il mercato italiano vuole vendere entertainment ai suoi ADSListi, notoriamente abbonatisi per scaricare a più non posso dai sistemi free.

Chi, invece, straccia i concorrenti è Apple, che non solo ha saputo imporre lo standard de facto nei lettori MP3 con iPod, ma che soprattutto, con una strategia intelligente ed “universale”, ha messo iTunes, dopo appena un anno di vita, saldamente in testa alla (redditizia) gara.

Attenzione ai numeri, però. La solita Pew ha stimato 2,6 milioni di contatti mensili per iTunes e 23 milioni di utenti P2P. Ci sarà mai il sorpasso?