Carlo Conti in sintonia col Paese

Come Fedez è stato considerato vincitore di X-Factor sedendo al banco dei giurati, Carlo Conti è sicuramente il vincitore dell’ultimo Festival di Sanremo pur essendone stato conduttore e direttore artistico. Non che sia la prima volta che accada: negli scorsi anni il livello non esattamente eccelso di molte canzoni ha fatto sì che a posteriori ricordassimo più il conduttore di quelle edizioni che i cantanti.

Eppure il caso di Carlo Conti non smette di stupire: non si tratta né di una delle mummie storiche della TV italiana che guidavano Sanremo fino a pochi anni fa, né uno dei conduttori radical-chic à la Fazio chiamati a reclutare nuovi spettatori. Il presentatore toscano è Rai Uno fatto persona, è l’uomo di decine di serate (e centinaia di pre-serali) l’anno, stavolta tirato a lustro per l’evento numero uno della rete.

Qualche mese fa, al debutto di una delle sue trasmissioni retrò, i giudizi qualitativi degli spettatori erano stati negativi: poi gli ascolti buoni, come quasi sempre gli succede. In altri casi (Tale e quale Show in primis) gli ascolti sono stati addirittura ottimi: merito probabilmente non dei piccoli scandali tipo Veronica Maya nuda, ma dell’effetto nostalgia coerente col target sempre più anziano del primo canale.

I critici televisivi hanno parlato di trionfo dell’uomo comune, di un approccio quasi populistico a scelte musicali e ospiti. I volumi impressionanti de Il Volo al televoto (solo le giurie hanno cercato di smussarlo) denotano che ormai Sanremo è un’appendice di un certo tipo di TV e cultura; persino le tante canzoni popolari-populistiche di Checco Silvestre hanno fatto fatica a raggiungere la stessa penetrazione.

Già negli scorsi anni si scriveva di Sanremo come specchio del Paese reale: quest’anno c’è stata piena sintonia tra voglia di rinascita economica e canzonette, tra governo toscano in carica e comici invitati. Certo, sono mancati guizzi di originalità o canzoni davvero indimenticabili: ma pochi sembrano essersene preoccupati, visti gli ascolti notevoli e gli osanna tributati da ogni dove al conduttore ovattato.

Buon anno di Fedez

A Capodanno 2012 in pochi in Italia conoscevano Fedez e chi oggi sostiene il contrario starebbe sicuramente bluffando. A Capodanno 2013 erano già molti di più: aveva vinto un po’ di premi su MTV Italia grazie alla sua divertente Faccio brutto, che parodiava (nel testo e nel videoclip) i classici internazionali hip hop. A Capodanno 2014 Fedez era ormai arrivato alle masse come quello di Alfonso Signorini (Eroe nazionale) e altri tormentoni, arrivato al disco di platino.

A Capodanno 2015 Fedez è l’uomo del momento. Ha iniziato l’anno strombazzando l’apertura della nuova etichetta Newtopia facendo alzare sopraccigli tra gli addetti; in estate ha lanciato l’inno del Movimento 5 Stelle ottenendo visibilità tra gli insospettabili; in autunno ha dominato l’ultima edizione di X-Factor, accaparrandosi i migliori talenti per la propria etichetta e surclassando gli altri giudici. Nel frattempo, tanti singoli e videoclip di successo, di generi molto diversi.

Al di là della potenziale deriva politica (comunque difesa efficacemente come libertà di pensiero), i testi delle canzoni di Fedez sono da sempre divertenti ma anche relativamente profondi; la novità del giorno è che il Fedez-pensiero si estende non solo nelle tante interviste e sui social network, ma si può ritrovare anche su Il Fatto Quotidiano. Anche in questo caso ironia, stile e freschezza sono mescolati per portare avanti messaggi maturi e molto contemporanei.

Non fate quella faccia: che siate radical chic o amanti del rap old school, fate un passo indietro e provate a ragionare su quanto Fedez sia un buon esempio per tutti i suoi coetanei. A soli 25 anni è riuscito a costruire e investire un patrimonio, a crearsi e diffondere le proprie idee, ad affermarsi pubblicamente come persona buona (cfr. storia della ragazzina obesa difesa dai potenti) ma scaltra. Come probabilmente si addice a ogni buon imprenditore, al di là dell’industry.

Il marketing della semplicità

Uno screenshot di MTV.itL’immagine qui a lato è un po’ bizzarra: rappresenta il grande successo internazionale di Get Lucky, la nuova canzone dei Daft Punk, presente nella maggior parte delle classifiche. Ed essendo le classifiche in questione quelle di MTV Italia, fa pensare il fatto che il video della canzone sia una foto di un tramonto sostanzialmente immobile.

I musicisti visti in controluce si animano appena per una decina di secondi, al centro del videoclip. Alcuni canali televisivi europei l’hanno ritenuto troppo noioso e pertanto lo stanno sostituendo trasmettendo mashup creati dagli utenti del Web partendo dallo spot dedicato al nuovo album, contenente immagini del duo con Pharrell Williams.

I canali d’altra parte non potevano non trasmettere il video della canzone dell’anno; un successo planetario, probabilmente non delle dimensioni di quello dell’hit di Psy dello scorso anno, che d’altra parte rappresentava lo stile opposto, visivamente barocco, al contrario dell’essenzialità estrema del video di Get Lucky.

Il ricorso al marketing della semplicità, peraltro per un disco ricco di sonorità eterogenee e sovrapposte, è stato un colpo di genio da parte dei Daft Punk. Impossibile da non notare, nella sua apparente assenza; impossibile non caderci, grazie al motivo trainante e all’eco esponenziale maturata di settimana in settimana.

Irene Etzkorn ha recentemente approfondito come in tempi di crescente complessità possa essere un successo commerciale un servizio no frills, semplificato; i Daft Punk hanno saputo applicare questa nuova legge di mercato alla promozione della loro creatività, insegnandoci che i dischi buoni si vendono, non solo ai fan.

Illimitatamente Elio e le storie tese

Sorvoliamo sul fatto che quaggiù si fosse parlato di un collegamento tra politica e Sanremo già negli scorsi anni, in occasione della rivolta degli orchestrali o della stralunata edizione dello scorso anno; il risultato delle elezioni politiche di quest’anno ha non solo confermato la solita tendenza populistica degli italiani, ma anche il solito amore per il male minore.

Come è avvenuto praticamente sempre negli ultimi anni, anche quest’anno sul podio sono arrivati personaggi imbarazzanti (stavolta era il turno dei Modà) e ancora una volta abbiamo tirato un sospiro di sollievo per la vittoria di un meno peggio (Mengoni). La novità rispetto agli altri anni era la presenza tra i finalisti di Elio e le Storie tese, ancora condannati all’argento.

Non che le loro canzoni sanremesi fossero un capolavoro: alcuni tra noi fans siamo rimasti un po’ perplessi sebbene non sia mancato il prevedibile apprezzamento degli orchestrali e di parte del pubblico. Qualcuno ha ironizzato sul fatto che percentualmente il risultato di Elio sia sembrato quello del Centrosinistra alle elezioni politiche ed effettivamente il target è simile.

Il loro vero successo sul grande pubblico è stato il jingle dello spot Vodafone. Il pinguino Pino spopola tra ragazzini e adulti grazie alle sue strofe surreali e agli arrangiamenti efficaci. È un corto circuito mediatico/culturale lontano anni luce dalla vittoria di Vecchioni o da L’Italia dei cachi: è il genio musicale prestato alla pubblicità e dimenticato sul palco di Sanremo.

Un album venduto ogni otto scaricati illegalmente

Dopo la notizia del lancio di Meta, è arrivata rapidamente quella del motore di ricerca dei contenuti illegali pubblicati sul nuovo servizio di Kim Dotcom. La stessa cosa era successa con qualsiasi servizio nato in buona fede o meno per ospitare contenuti multimediali; d’altra parte senza motori di ricerca non esisterebbero download fuori legge.

Il punto è che ormai per intere generazioni, in particolare quelle più giovani, “recuperare” in Rete brani musicali, libri, film e qualsivoglia altro contenuto digitale è la normalità. Certo, ci sono iTunes, Amazon o Google Play che propongono download legittimi; ma esistono davvero persone under-35 che comprano i file, magari protetti da DRM?

L'articolo 'Illegal music filesharing is now mainstream' del 18 settembre 2012

Il mercato digitale musicale ufficiale in Italia è tuttora appena del 33% del mercato discografico, pur con crescite annuali a due cifre. Ma si tratta sempre di numeri marginali: un’indagine svolta in Gran Bretagna ad esempio ha stimato che per 1,2 milioni di copie vendute dell’album di Ed Sheeran, 8 milioni sono state “acquisite” illegalmente.

È evidente che ormai si tratta di una partita persa per l’industria discografica; quella cinematografica resiste, anche se l’home video è andato a farsi benedire. Ora è il turno dei libri: senza difficoltà è possibile trovare Pdf dei libri più noti semplicemente cercandoli su Google. Di cosa vivranno nei prossimi anni coloro che campavano di diritti d’autore?

L’anno di Psy e Lana Del Rey

Non c’è bisogno di aspettare l’ultimo giorno dell’anno per incoronare Psy e Lana Del Rey trionfatori assoluti dello show business nel 2012. Il primo in particolare ha tracimato su tutto il mass market, ma con una sola canzone; la cantante statunitense ha invece infilato una serie notevole di singoli, affascinando le nicchie.

Scorrendo i premi pop assegnati durante l’anno, spuntano nomi come Taylor Swift o Carly Rae Jepsen; eppure la sensazione è che di quest’anno ricorderemo più di ogni altra cosa Gangnam Style e il suo video travolgente. Non è la prima e non sarà l’ultima manifestazione della K-wave che ci bagna da anni.

Prima erano state le auto, poi la cucina, ora la musica. La Corea del Sud è diventata trendy come lo era stato il Giappone anni fa, proprio negli anni in cui la Corea del Nord è diventata un baluardo incomprensibile di un potere assoluto. L’espressione divertente di Psy è un toccasana in tempi di crisi e depressione.

L'immagine tratta da Coedmagazine.com

Lana Del Rey è invece la sua nemesi. Canzoni melodiche, tristi, riflessive che da un anno accompagnano fan insospettabili: non solo ragazzini su Tumblr, dove i suoi testi e le sue foto spopolano, ma anche appassionati di musica indie che la accusano di essere un prodotto delle major, ma poi la ascoltano a sfinimento.

Ciò che accomuna Psy e Lana Del Rey è che dopo aver “spaccato” nel 2012 dovranno confermarsi nei prossimi anni; l’ondata di curiosità che li ha portati in cima alle classifiche di popolarità si esaurirà presto e non bastano un video funny o un album azzeccato per rimanere nei cuori dei fans di tutto il mondo.

Horror all’ora di cena

A fine 2010 gli amanti dei Subsonica hanno ricevuto in dono Eden: un singolo ipnotico e intrigante, con un video un po’ bizzarro. Un anticipo di quello che poi è stato l’album omonimo, accompagnato in realtà da un nuovo singolo, Istrice, che parla di rapporti d’amore difficili, ma ha un video a dir poco inguardabile.

Il cortometraggio è stato girato da Cosimo Alemà ed è un horror ambientato per le strade di Torino. Quando i direttori artistici delle televisioni musicali l’hanno visto, sono caduti dalla sedia e hanno deciso di mandare in onda una versione con le immagini più crude pixellate, solamente di notte, fuori fascia protetta.

Il gruppo torinese si è sfogato su Facebook della censura ricevuta, i critici hanno parlato di un tentativo di alzare un “caso” per far parlare, i fans si sono spaccati. Poi è stata prodotta una terza versione del video coi soli componenti del gruppo inquadrati, poi utilizzato da EMI nello spot a supporto del lancio del disco.

Nell’autodifesa del gruppo, l’enorme diffusione dei vampiri di Twilight tra i più giovani, le serie televisive a base di autopsie trasmesse da qualche tempo su Italia1 alle 19.30 al posto dei Simpsons, le violenze sui telegiornali e gli altri obbrobri che scorrono sulla televisione italiana generalista e non, senza filtri verso i bimbi.

In questa galleria degli orrori si potrebbero aggiungere spot terribili come quello di Wind con Aldo Giovanni e Giacomo, con tanto di spellamento dal vivo e urla di dolore mischiati a faccine che vorrebbero far ridere. Roba tremenda, che fa distogliere lo sguardo dal televisore ogni volta. Come il video di Istrice.

Forse è un trend, con sfumature diverse e diversi gradi di qualità e di sensibilità. Anche Lady Gaga si è aggiunta alla lista negli ultimi giorni, con un video interpretato da zombies che però è guardabile e ben realizzato (sulla canzone sorvoliamo): tutti saltano sullo stesso carro, ma alla fine sono molto pochi i vincitori.

Autarchia culturale edizione 2011

Una classifica musicale composta da 13 artisti italiani nelle prime 15 posizioni: no, non post-Sanremo, ma prima di Sanremo. Una lista guidata da Jovanotti, con nomi ormai consolidati come Ligabue o Antonacci, con qualche nome più recente come Mengoni o i Negramaro; una lista non troppo dissimile a quella attuale, in cui sono apparsi i nomi dei principali protagonisti del Festival, ovviamente italiani.

Oggi il mix tra cantautori e interpreti "da reality" è molto omogeneo: un personaggio come Alessandra Amoroso ormai ha fatto un percorso professionale fuori dalla scuola di Amici sufficiente a levarle (o quantomeno limarle) la lettera scarlatta; stasera, che quel talent show è alla finale, è previsto un intervento di Roberto Vecchioni, la cui immagine pubblica ha avuto un cambio radicale dopo Sanremo.

In questa sorta di compattamento inter-generazionale di pubblico e artisti, è appunto la canzone italiana a trionfare, rispetto ai grandi nomi internazionali. Qualcosa di simile a quanto avvenuto nel cinema: appena poche settimane fa ha fatto scalpore l'arrivo di Che bella giornata di Zalone/Nunziante al secondo posto per incassi storici nei cinema italiani, incastrato tra Avatar e Titanic di James Cameron.

In entrambi i campi il trionfo dell'italianità era abbastanza imprevedibile: il cinema italiano ogni anno sembrava schiacciato sul cinepanettone come unico film nostrano di successo; Sanremo fino a pochi anni fa produceva fuochi fatui più che successi commerciali. A metà strada tra i due percorsi, attingendo in entrambi i campi (e dalla televisione) persino il musical italiano ha conosciuto una nuova giovinezza.

L'unico campo in cui l'italica autarchia culturale è ancora sfumata sembra essere quello della letteratura. Negli anni recenti si sono affermati blockbuster italiani come quelli di Giorgio Faletti, ma il mercato è ancora abbastanza variegato e i mattoni internazionali per ragazzetti sono le opere che vanno per la maggiore. In ogni caso, è bene che continui la contaminazione piuttosto che ci si chiuda del tutto.

Fa infatti piacere che artisti giovani e meno giovani trovino successo in patria, ma il vero successo sarebbe portare tutti questi capolavori musical-cinematografici fuori confine. Ciò tuttavia è ancora piuttosto raro e forse fa sorgere qualche dubbio sul rapporto tra qualità e aspettative del pubblico. Non sia mai che tutto quest'innamoramento per le produzioni italiane derivi da pigrizia intellettuale verso il mondo…

Sanremo 2011 e il trionfo di Luca e Paolo

Se l’anno scorso il Festival di Sanremo era stata una sorta di sintesi politica della situazione culturale italiana, quest’anno basta scorrere i video su YouTube e Rai.tv per cogliere la sensazione di uno spettacolo piacevole. Il merito per molti va alla direzione artistica di Morandi e Mazza, ma è evidente che lo show ha funzionato nel complesso. I commenti sugli artisti di sempre quali Pravo o Albano, sono i soliti di ogni anno; è vero che ci sono state un po’ di chicche in più come la presenza dei La Crus (o di ciò che ne rimane) o dello stesso trionfante Vecchioni, ma in uno spettacolo da 4-5 ore di televisione per 5 giorni consecutivi non basterebbe portare anche i musicisti più bravi.

La differenza l’ha fatta così lo spettacolo portato sul palco dai cinque presentatori, che con ruoli diversi e complementari sono riusciti a destreggiarsi tra ospiti imbarazzanti quali De Niro, arroganti come Williams, ingombranti come Benigni. Morandi ha fatto il lavoro sporco, Canalis e Rodriguez sono uscite dallo stereotipo di vallette. E poi ci sono stati Bizzarri e Kessisoglu. I due artisti genovesi, oltre ad aver condotto parti importanti dello show, hanno anche cantato, recitato sketch comici, letto brani di Gramsci e reso omaggio alle esibizioni di vecchie coppie d’oro dello spettacolo italiano. Sul Web l’audience delle loro performance supera quella di molti cantanti.

Luca e Paolo sono stati negli anni tra i pochi attori di successo nelle short-com italiane, hanno scritto e/o interpretato film interessanti e spesso (ma non pedissequamente) divertenti, hanno condotto programmi di culto come Ciro o Le Iene, hanno girato l’Italia coi loro spettacoli. Solo ora però sembrano ottenere il meritato successo di massa. Molti di noi hanno vissuto il Festival senza televisore o radio, ma partecipando via Web a comunità come Remo contro Sanremo o commentando su Twitter tutti i passaggi dello spettacolo. Così abbiamo saputo del disastro continuo dei fonici, ma anche delle perle, musicali e non: Luca e Paolo hanno avuto molti feedback positivi.

In questo doppio successo presso la “massa” televisiva e presso gli Internettari senza televisore, Bizzarri e Kessisoglu hanno attirato anche numerose critiche, dovute al continuo tentativo di equilibrare la critica sociale e politica durante i propri interventi, spesso sul filo del qualunquismo ma sempre riscattati da piani di lettura magari sofisticati, ma premianti. Il tutto poi ha assunto una luce diversa con lo sfogo finale, almeno all’apparenza molto istintivo, contro il “bipartizan a tutti i costi”. Paolo e (soprattutto) Luca si sono esposti e sono riusciti ad attrarre l’interesse di un pubblico eterogeneo in un momento di enorme spaccatura sociale. Massimo rispetto per due bravi artisti.

Il Festival di Sanremo e i segnali del Paese reale

Febbraio 2009: all’ultimo giro di votazioni del Festival di Sanremo un brivido scorre per l’Italia. La triade finale è formata da Sal Da Vinci, da Marco Carta e da Povia: se vince il primo è un brutto segno (il trionfo dei neomelodici?), se vince il secondo è un bruttissimo segno (la musica italiana è in mano ai talent show?), se vince il terzo è un pessimo segno (l’Italia è così omofoba da appoggiare chi odia i gay?).

Alla fine, vince il giovane sardo Marco Carta, sia al televoto (con quasi il 60% dei voti), sia nelle classifiche di vendita dei dischi (con oltre 120.000 copie). Tutti si convincono che ha vinto il male minore, che in fin dei conti ‘sto ragazzotto allievo di Maria De Filippi non è così male, che è la solita canzone d’amore sanremese: viene consacrato un nuovo “Big” della canzone italiana, idolo delle ragazzine.

Febbraio 2010: all’ultimo giro di votazioni del Festival di Sanremo il terrore scorre per l’Italia. La triade finale è formata da Marco Mengoni, da Valerio Scanu e dal trio Pupo-Emanuele Filiberto-Luca Canonici: se vince il primo è un brutto segno (il trionfo di X-Factor?), se vince il secondo è un bruttissimo segno (di nuovo un prodotto creato nel laboratorio di Amici?), se vincono i terzi… No comment.

Alla fine, vince il giovane sardo Valerio Scanu ed è sancita nuovamente la superiorità del programma di Canale5 rispetto a quello di Rai2 (che comunque si consola col primo premio al “giovane” Tony Maiello). Poche decine di minuti prima, Maurizio Costanzo ha lasciato il suo segno indelebile sulla finale del Festival; poche ore dopo, la trasmissione della De Filippi scorrerà sull’ammiraglia Mediaset.

La loro egemonia culturale è sempre più palese. E questo Festival di Sanremo così surreale, con le Tagliatelle di Nonna Pina mischiate con la Banda dei Carabinieri mischiata con Dita Von Teese mischiata con la Fiat di Termini Imerese è un degno specchio del Paese reale, quello da cui gli heavy users di Internet, che stravedono per i (pochi) cantanti “eleganti” saliti sul palco dell’Ariston sono lontani anni luce.

La rivolta degli orchestrali contro il podio di Sanremo 2010

I monarchici populisti vs. gli orchestrali in rivolta, i fan dei talent show vs. gli intellettuali che stravedono per la vincitrice del premio per la critica. Qualcuno ha qualche dubbio su chi vincerà le prossime elezioni? E quelle successive? E quelle di fine legislatura? Se ce l’ha, è perché ha infilato la testa sotto la sabbia e non ha colto quelli che una volta erano “segnali deboli” ed ora sono tronchi di albero.