Quattro salti nella vita quotidiana

Spot televisivi, annunci radio e affissioni ovunque: Findus ha iniziato l’autunno facendo la voce grossa soprattutto con il rilancio della linea 4 Salti (in padella, anche se queste 2 paroline stanno progressivamente scomparendo). Un tentativo vistoso di cambiare target, di passare dai single incapaci di cucinare alle madri di famiglia uscite direttamente dagli anni Sessanta.

“Madri di famiglia”? Le immagini e gli slogan rimandano a una realtà che oggi non ha riscontro sulla realtà quotidiana del nostro Paese. L’effetto straniamento è probabilmente voluto, ma guardare le scenette retrò non mette tutti di buon umore come avrebbero voluto i creativi della McCann Worldgroup. Soprattutto se a guardare gli spot sono proprio i clienti attuali dei prodotti.

Uno dei soggetti della campagna 2011 per i 4 salti FindusSi tratta di un’intera generazione di 30-40enni semi-disoccupati-permanenti, che la campagna in questione etichetta implicitamente come “bamboccioni”, figli di donne esclusivamente viste come massaie silenziose e scodinzolanti. Per di più, se è pur vero che le mamme dei 40enni capiranno i richiami grafici dei tempi d’oro, difficilmente porteranno in cucina dei piatti semipronti stile 4 salti.

La campagna riesce a far parlare di sé, soprattutto tra i professionisti, ma di fatto riesce ad alienarsi la simpatia di tutti gli acquirenti attuali e magari potenziali. Probabilmente i pubblicitari saranno soddisfatti della propria idea e della sua declinazione creativa: immagini e lettering sembrano essere usciti direttamente da Mad Men, loro serie TV di riferimento, ambientata nei Sessanta.

In tempi in cui la maggior parte delle campagne strizza l’occhio alla crisi, il tentativo di elevare a modello un’epoca glamour, ma non certo un riferimento per il ruolo della donna, è un tentativo rischioso. Probabilmente i 4 Salti sono un FMCG la cui scelta dipende solo parzialmente dalle campagne pubblicitarie, ma non renderà molto il rendersi antipatici cercando di fare i simpatici.

Il mecenatismo delle birre e le birre ignoranti

Ironizzare sulla campagna primaverile di Beck’s Next era stato facile, visti i testi un po’ bizzarri; tuttavia, le immagini degli spot erano piuttosto didascaliche e vedevano sempre come protagonisti dei ragazzoni che nelle varie scene tracannavano la birra in questione. Poi è arrivata l’estate e la nuova campagna Beck’s ha raggiunto nuovi picchi di incomprensibilità. Nei nuovi spot si intravvedono una serie di misteriosi oggetti 3D rotanti, mentre il testo ci informa che la Beck’s è stata la prima birra tedesca a passare dal vetro marrone al vetro verde e che “è solo parte della storia”. Tra gli altri soggetti della campagna, anche uno spot con un cubo verde rotante e lo stesso claim finale.

Un manifesto della campagna Beck's dell'estate 2011 fotografato nella Metropolitana di Milano

Il sito ufficiale della birra, richiamato nelle affissioni come luogo per gli approfondimenti, spiega che la storia (ecco) del mecenatismo di Beck’s dura da oltre 100 anni e che la nuova iniziativa è il

«Green Box Project, un fondo globale per ispirare, celebrare e finanziare talenti indipendenti nel campo dell’arte, del design, della musica e della moda. Tramite il Green Box Project, nell’arco dei prossimi tre anni Beck’s finanzierà ed esporrà 1000 progetti di artisti e creativi dalle visioni innovative. Le opere d’arte nate da questo progetto potranno essere viste in tutto il mondo sotto forma di realtà aumentata all’interno delle Green Box e nella galleria virtuale del nostro fondo, dove saranno esposte in modo permanente. Per lanciare il progetto, quest’anno tra luglio e settembre installeremo 30 Green Box – cubi verdi che custodiscono contenuti virtuali esclusivi opera di artisti di fama internazionale – negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Italia.»

Un Progetto ambizioso, sicuramente meritorio, la cui complessità sfugge del tutto a chi distrattamente vede i cartelloni nella Metropolitana di Milano o scorrendo le repliche estive in TV. Ci può stare che il Progetto sia dedicato a personaggi smart a sufficienza per essere incuriositi dalla campagna e volerne sapere di più, ma che c’entra la birra? A proposito di Metropolitana: per settimane si sono visti cartelloni bianchi, senza marche esplicite, con scritte in blu a richiamare lo stile di Facebook. Dopo il periodo di teasing, gli spot di Nastro Azzurro hanno ripreso gli slogan in questione per la nuova campagna, incentrata sullo stile di vita italiano, tra sentimenti/culture/mode/arti.

Un manifesto della campagna Nastro Azzurro dell'estate 2011 fotografato nella Metropolitana di Milano

Non è la prima volta che la birra di casa Peroni punta su questo tipo di approccio: negli scorsi anni aveva sponsorizzato il Festival del Cinema di Venezia e diffuso diverse campagne celebrative del design italiano. Anche qui come per Beck’s, un posizionamento molto chiaro, che punta su un target “cool e metropolitano”, quasi elegante; altro che i finti Blues Brothers e le ragazzine scosciate in spiaggia che negli scorsi anni dedicavano un mini-musical alla birra Dreher; altro che il Baffo Moretti e il suo appoggio incondizionato al plebeo mondo del calcio (con tanto di Trofeo); altro che gli spot Heineken con il ballo in maschera e la canzoncina che da mesi continua a batterci in testa.

Rimane un po’ la curiosità se il target “cool e metropolitano” di cui si diceva comprerebbe mai davvero birre da supermercato come la Beck’s o ancor peggio la Nastro Azzurro, o piuttosto non si dedichi alla moda del momento (la birra artigianale) o alle sempre ottime birre belghe di importazione. Per la massa, quella che gli spot di Beck’s non li capisce proprio e trova stucchevoli quelli di Nastro Azzurro, sembrano avere più successo le “birre ignoranti” discusse su Facebook. Purtroppo è evidente che una reale cultura della birra sia poco diffusa e questo è sicuramente un peccato; cercare di farla crescere passando dalla Cultura con la C maiuscola è però un po’ pretenzioso.

Creatività italiana e Leoni a Cannes

A leggere le cronache da Cannes degli scorsi giorni, il mondo pubblicitario italiano non ha esattamente fatto faville: qualche piccolo bronzo nelle categorie tradizionali, nemmeno un ingresso in shortlist in una categoria come Promo & Activation che per sua natura dovrebbe essere adatta a Paesi low budget/periferici come il nostro.

Già, siamo diventati periferici. La diminuzione drastica dei budget pubblicitari legati alla stramaledetta crisi strisciante da due anni e mezzo ha fatto sì che l'intero mercato italiano della creatività sia con l'acqua alla gola. Calano gli investimenti sui centri media ma crollano ancora di più quelli per chi le campagne dovrebbe crearle.

Intervistando i responsabili Marketing e Comunicazione delle grandi aziende, la risposta è quasi univoca: hanno una fila talmente lunga dietro alla porta di agenti delle concessionarie e account delle agenzie di creatività che qualcuno disposto a fare dumping lo trovano sempre. Persino agenzie importanti vengono via a prezzi di saldo.

La Milano "creativa" di oggi è un po' come la Roma post-boom di Cinecittà, pur senza averne raggiunto gli stessi fasti. Pubblicitari cresciuti nelle agenzie più tradizionali cercano di reinventarsi guru del digital marketing, Manager di altre industry entrano nelle agenzie per avviare inquietanti iniziative di "risanamento" economico.

La proprietà sempre più internazionale delle aziende ha fatto sì che negli anni anche le campagne presenti sul mercato italiano siano diventate sempre più quelle internazionali, eventualmente localizzate alla meno peggio dalla branch italiana; sui settori più innovativi l'offerta è così rarefatta che è difficile trovare storie rilevanti.

A detta di alcuni amici creativi, persino il principio di Peter è superato: semplicemente, nelle agenzie non si cresce più. L'unico sbocco per chi ha qualche anno di esperienza è ripiegare sulla conversione in azienda, sebbene la concorrenza di tanti neolaureati "specializzati" renda impervia anche questa strada di crescita alternativa.

Altro che Leoni di Cannes, qui si sta arrivando al cannibalismo per la sopravvivenza. Chi è fuori guarda il settore con un'aria ancora un po' sognante, chi è dentro vive l'inferno del dover sopravvivere con budget sempre più ballerini. Qualcuno guarda a settori limitrofi come editoria, consulenza e giornalismo. Poi chiude gli occhi.

Totti bifronte

Dopo i primi tempi con i ragazzi che lanciarono il motto Life is Now e un lungo periodo con Gennaro Gattuso e Francesco Totti, gli spot di Vodafone da oltre due anni e mezzo vedono quest’ultimo e la moglie Illary Blasi come coprotagonisti di una saga infinita: scenette divertenti, in cui prodotti e servizi del gestore telefonico vengono illustrati al grande pubblico. Obiettivo non facile, visto che alle promozioni di bundle telefonate/messaggi si sono affiancate (e sempre più sostituite) quelle relative all’offerta dati, compreso l’Internet Mobile che fino a qualche tempo fa era abitudine di pochi.

I due ci riescono, recitando gli script di 1861 United con fare leggiadro e naturale. Lei fa la figura della bella borgatara, lui quello dello sciocco buono: un mix che molti immaginano essere specchio della realtà quotidiana a casa della showgirl e del calciatore. E se l’immagine della prima è sufficientemente mantenuta fresca dalla sua partecipazione a programmi televisivi di culto come Le Iene, quella del secondo è ormai indissolubilmente legata al suo ruolo di Goodwill Ambassador dell’Unicef ed alla beneficienza, fatta con gli introiti dei suoi libri e persino coi diritti televisivi del matrimonio.

Ma oltre ad essere un uomo di spettacolo (ed un giocatore di poker, come ci ricordano gli spot PartyPoker.it in cui appare frequentemente negli ultimi mesi), Francesco Totti è anche e soprattutto un calciatore. Attaccante bravo ed efficace, fedele alla sua squadra ed ai suoi tifosi come pochissimi hanno saputo fare negli ultimi decenni. Personaggio che però, in campo, diventa anche un Mister Hyde da romanzo: si mette a sputare contro gli avversari, a gridare imprecazioni, a prendere a calci un calciatore della squadra avversaria, salvo poi pentirsi rapidamente sui giornali del giorno dopo.

Il Pupone, come viene affettuosamente chiamato Totti sin dagli esordi nella Roma, passa mesi a costruire un’immagine vincente in campo e affabile in televisione, poi periodicamente ne combina una delle sue e questo pregiudica molti aspetti della sua vita: saltano le convocazioni per le partite importanti, diminuisce la presenza negli spot, vengono ritirati gli inviti alle trasmissioni televisive. Dopo gli episodi degli ultimi giorni, anche questa volta Sisifo ricomincerà la sua salita: forse solo l’abbandono del campo e il passaggio definitivo allo spettacolo gli permetteranno di uscire dal circolo vizioso.

Chiama il 187

C’è una campagna pubblicitaria che in Rete sta riuscendo ad attirare ironie a senso unico: è quella che vede protagonisti Michelle Hunziker e John Travolta che, flirt dopo flirt, provano a convincerci della convenienza delle offerte ADSL di Telecom Italia. La protagonista, vestita da Alice (essere mitologico vestito di rosso che per anni ha infestato anche Francia e Germania), era già stata protagonista di una serie di spot con Max Tortora sulla stessa falsariga, poi bloccati dal Gran Giurì della Pubblicità perché ingannevoli.

Sarà per questo o perché Travolta faccia (ovviamente) fatica a parlare italiano, ma i dialoghi della nuova serie sono stati veramente limitati al minimo, rendendo ancora più improbabili le scenette. Prima la storia tra i due protagonisti italiani sembrava progredire, ora di spot in spot Michelle e John si avvitano su sé stessi in colloqui poco chiari, che culminano con un “Chiama il 187” a ciel sereno. Il che, con tutta evidenza, non è la più convincente delle call to action, specie per quello che potrebbe essere il target delle ADSL.

Cosa succede chiamando il 187? Dopo l’incipit della musichetta dello spot (un passaggio infelice della canzone Rain di Mika), rispondono annoiati operatori del call center che, dopo mesi di tentativi outbound, ora dovrebbero essere pronti ad una marea (?) di richieste proattive di sottoscrizione degli abbonamenti di Alice. Le altre TelCo stanno seguendo a ruota ed ormai la maggior parte degli spot termina con l’invito a chiamare un numero che però, contrariamente a quello Telecom Italia, ha spesso pura vocazione commerciale.

Sono anni che le pubblicità di Alice ADSL tornano su .commEurope. Segno probabilmente dei GRP costantemente alle stelle che, inevitabilmente, portano le campagne persino nell’immaginario di chi la TV non la guarda. Da questo punto di vista, ovviamente, Euro RSCG ha raggiunto un obiettivo importante. Ora però resta da vedere dove arriveranno i dialoghi, soprattutto nelle versioni short che, pur con tutta l’arte possibile di Alessandro D’Alatri, al momento suonano più come esperimenti dadaisti che come spot pubblicitari.

Meglio la pubblicità contestuale

Un esempio dei box pubblicitari frequenti su Corriere.itFrancesco ci guarda dalle pagine di Corriere.it ricordandoci che “L’amore non è per caso”. Pare cerchi proprio noi ed evidentemente non fa grandi differenze tra i lettori: forse gli vanno bene sia gli uomini che le donne; probabilmente, gli vanno sia le persone single che quelle magari già impegnate. Francesco, insomma, spara nel mucchio come la maggior parte dei protagonisti delle campagna pubblicitarie che incrociamo quotidianamente.

Che ci interessi la cucina o il teatro, il design d’arredamento o incontrare un potenziale partner, Corriere.it ha un boxettino per noi; se non ci interessa nulla di queste tematiche, il boxettino ce lo becchiamo lo stesso. Male che vada, potremmo trovare interessante uno degli altri mille spazi pubblicitari disseminati in giro per il sito: banner, link testuali, a volte persino interi sfondi sponsorizzati che vengono insultati pesantemente dai lettori sui social network.

Le concessionarie pubblicitarie vendono gli spazi sui portali più noti sottolineando le potenzialità di profilazione degli annunci; poi, visto che la richiesta degli investitori è sempre più o meno la stessa (alto profilo culturale, propensione all’utilizzo della Rete, magari DINK), sbracano sul prezzo e vendono un malloppo di impression tanto al chilo. Così alla fine le campagne sono poche e valgono per tutti, tanto per fare un po’ di massa.

Dopo oltre un lustro di lamentele sull’invasività della pubblicità contestuale di Google, specie in ambiti sulla carta “privati” come Gmail, siamo in realtà arrivati ad un doppio scenario: la pubblicità integrata nelle SERP non la vediamo più (soprattutto per i newbies, che la confondono tranquillamente coi risultati, per la gioia di chi quelli spazi li vende più che di chi li compra); quella di fatto broadcast ci dà fastidio proprio perché assolutamente slegata dal contesto e soprattutto dai nostri interessi.

Se al posto del baffetto di Francesco ci fosse il sorriso di Francesca, magari alcuni di noi il test di Noi Due lo farebbero davvero. Così invece sbuffiamo e basta per i KB scaricati, per lo spazio occupato, per la ripetitività del messaggio. E lo facciamo non solo su Corriere.it, ma anche su tutti gli altri grandi siti di informazione, su Facebook o sui portali degli ISP. Complessivamente, un immenso spreco collettivo di risorse, attenzione, opportunità per tutti: utenti, editori, investitori pubblicitari.

Ryanair, sempre più grande

Un manifesto Ryanair dietro la Carta dei Diritti del Passeggero dell'ENACDi manifesti del genere sono pieni gli aeroporti europei. Ryanair ci tiene a ricordare di essere una delle poche compagnie aeree che, nell’ultimo decennio, non ha mai addebitato sovrattasse carburante. Il che, in effetti, fino a qualche anno fa poteva sembrare un fiore all’occhiello; oggi, suona ai più come una presa in giro. La politica dei prezzi Ryanair ha infatti esacerbato la propria aggressività: i prezzi base continuano ad essere molto bassi per le prenotazioni con largo anticipo, ma abbondano gli ed “extra”.

Non solo super-tariffe per l’imbarco delle valigie o per il servizio bar di bordo; oggi i tanti utilizzatori quotidiani della compagnia irlandese si lamentano di dover pagare in tutte le fasi, dall’acquisto con carta di credito all’imbarco prioritario, dal check-in alla borsetta di troppo portata a bordo. Al pari delle tasse aeroportuali, uguali per tutte le compagnie, le tariffe complessive di Ryanair sono spesso superiori di quelle più blasonate, ma ciò nonostante, i flussi di viaggiatori sono in costante aumento, anno dopo anno.

Ryanair, insomma, non è più (solo) percepita come compagnia low cost. Molte famiglie hanno iniziato ad organizzare le proprie vacanze in maniera molto diversa da un tempo: tratte all’apparenza bizzarre come Brindisi-Billund o Cagliari-Siviglia nascondono in realtà opportunità turistiche per entrambe le popolazioni coinvolte; collegamenti come Bergamo-Düsseldorf o Bologna-Edimburgo oggi supportano lo sviluppo di molte aziende, di tutte le dimensioni, che possono ottimizzare tempi e costi di trasferta.

Fin quando ci sarà Michael O’Leary in circolazione, le rumorose campagne pubblicitarie di Ryanair continueranno a far discutere. Ryanair, però, nel frattempo è diventata “altro”: in molti mercati svolge ormai un ruolo dominante ed in molti, come ad esempio in Italia, diventerà presto la prima compagnia aerea per numero di viaggiatori trasportati. Questo porterà il beneficio di nuove rotte interne ed internazionali, ma accrescerà ancora di più l’arroganza della compagnia irlandese nei confronti dei singoli Stati.

Tutti abbiamo ancora nelle orecchie il clamore che aveva sollevato, su Internet e sui media, la decisione di Ryanair di sospendere le proprie attività italiane per rappresaglia nei confronti del richiamo formale dell’ENAC riguardo all’accettabilità di documenti alternativi a Carta d’Identità e Passaporto sui propri aerei: come prevedibile, il tutto si è rapidamente sgonfiato, con una vittoria quasi totale del vettore irlandese sulle autorità italiane. La situazione si ripresenterà altre dieci, cento, mille volte, specie in assenza di player realmente competitivi sui mercati nazionali. La compagnia ha nella maggior parte dei casi il pieno supporto dei suoi clienti affezionati: ma quanto potrà durare la luna di miele?

Google Street View diventa grande

La copertura Google StreetView del'Europa continentale a gennaio 2010Da quanto tempo non vi capita di utilizzare Google Street View? Dall’ultima volta che avevate provato a cercare casa vostra senza risultato? Riprovateci oggi, potreste rimanere molto colpiti: come testimonia questa mappa, la copertura di Italia, Francia e Spagna è letteralmente esplosa nelle ultime settimane. Le foto come sempre non sono aggiornatissime (nella maggior parte dei casi si direbbe risalenti alla scorsa estate), ma la copertura è molto ampia anche nelle zone più remote delle nostre provincie.

Le possibilità offerte da questo sensibile miglioramento del mezzo sono notevolissime: ludiche in primis, visto l’innegabile fascino di lanciare Pegman (la mascotte arancione di Google Street View) in posti a sorpresa e scoprire ogni volta angoli nuovi, stimolanti ed a volte molto affascinanti; commerciali, considerato che la vista “dal vivo” delle vie può risultare particolarmente utile, ad esempio, nella scelta degli esercizi commerciali da visitare o degli immobili per i quali richiedere maggiori informazioni.

Il vero aspetto business di Google Street View, tuttavia, si noterà sempre di più mano a mano che Google riuscirà a liberare l’estremo potenziale che la manipolazione delle immagini della realtà (e dei relativi spazi pubblicitari) potrà concedere a tutti i partecipanti ai suoi network pubblicitari: quasi per caso (sebbene nel caso di Google il “caso” è sempre sospetto), l’estensione della copertura del servizio è coincisa con la diffusione della notizia di un nuovo brevetto che va proprio in questa direzione.

L’idea di fondo è quella di consentire agli inserzionisti di “aggiornare” in tempo reale i contenuti dei cartelloni pubblicitari fotografati sulle foto di Google che, come noto, difficilmente vengono aggiornate. L’evoluzione dell’idea però è molto più interessante: Google si candida a vendere i cartelloni “unclaimed” tramite le sue consuete aste, rendendo particolarmente interessante, per gli inserzionisti, contestualizzare i propri annunci non più accanto a pagina di testo, quanto ad immagini tratte dalla realtà.

I portavoce di Google si sono affrettati a moderare il clamore derivante da questa notizia, sottolineando che non tutte le migliaia di brevetti registrati annualmente diventano necessariamente prodotti/servizi della grande G. Involontariamente o meno, però, la pietra nello stagno è stata lanciata e sicuramente è un segno in più dell’impatto che Google avrà nella nostra vita offline nei prossimi anni. Non solo attraverso la tecnologia (non sarà certo il Nexus One di turno a cambiare lo scenario di mercato), quanto nel doppio flusso di informazioni “fisiche” che vengono digitalizzate (è il caso di Google Books) e di investimenti “digitali” rispetto a contesti reali (è sicuramente il caso limite cui potrebbe arrivare Google in veste di concessionaria pubblicitaria). Per ora, godiamoci i nostri giri virtuali per spiagge, piazze e colline di mezza Europa.

Il 2009? Meglio dimenticarlo

Una piccola tradizione su .commEurope è il post di fine anno, quello che cerca di commentare i trend visti nel corso dei mesi. Consuetudine comoda anche per poter poi tornare indietro a scorrere gli archivi e capire cosa è successo dal 2004 ad oggi. Basta rileggere l’articolo di chiusura del 2008, ad esempio, per sentire di nuovo il brivido di un anno che ha cambiato molte carte in gioco, in cui la crisi ha iniziato a mietere vittime nascendo in ambito finanziario internazionale ed iniziando a maturare effetti sulla vita quotidiana.

Quegli effetti si sono poi librati in tutta la loro drammaticità nel corso di questo terribile 2009. Come si era previsto ad inizio anno, pubblicitari e consulenti di comunicazione sono stati abbondantemente falcidiati: nel migliore dei casi, molti di noi hanno fortunatamente mantenuto la propria occupazione, pur lavorando in contesti fortemente colpiti dalla crisi come quello finance. Il segreto è stato quello scritto da Gianluca Diegoli nel suo bilancio di fine anno: trovare il coraggio e cambiare, lasciare per ricominciare.

Il marketing quest’anno ha sostanzialmente giocato in difesa: non tanto e non solo per il taglio dei budget, quanto per la necessità di adottare un tone of voice adeguato al clima di tensione quotidiano. Pochi i settori che hanno mostrato un minimo di vivacità: quello automobilistico, fortemente drogato dagli incentivi statali; quello televisivo, con le prime adozioni di massa del digitale terrestre e la necessità degli incumbent di mantenere le posizioni consolidate; quello delle TLC, grazie alle prospettive offerte da Internet in mobilità.

Per il resto, mestizia come se piovesse. Un anno da dimenticare, anche e soprattutto per coloro che tra noi hanno avuto problemi personali, tanto per condire fatturati in crollo e un generale clima di sfiducia legato a fatti di cronaca truci ed incredibili. Molti di noi hanno trovato conforto su FriendFeed, che è stata la piattaforma simbolo del 2009 per tutti i geeks, proprio nell’anno in cui il mass market scopriva Twitter dopo l’ubriacatura di Facebook. Per il resto, meglio dimenticare quanto successo e quanto non successo.

Lucifero trionfa nella Metropolitana di Milano

Si era già parlato qualche tempo fa su queste pagine dell’interesse “forzato” che la pubblicità riesce a stimolare negli infiniti viaggi in Metropolitana dei pendolari delle grandi città: una specie di appiglio creativo durante viaggi in cui l’unica alternativa è scrutare gli altri viaggiatori, correndo il rischio di passare per maniaci.

C’è un piccolo grande fenomeno che tuttavia nessuno dei pendolari capisce davvero: le migliaia di scritte che, da oltre un decennio, appaiono frequenti nella Metropolitana di Milano. La maggior parte, infatti, prendono di mira Lucifero, commentandone azioni surreali, insultandone le sue abitudini sessuali e i suoi compari infernali.

La mano è sempre la stessa, anche se spesso cambiano gli insulti. Paolo Madeddu qualche anno fa scrisse su Urban un articolo sull’argomento, provando a farci sorridere su questo strano personaggio che, negli ultimi anni, ha sempre più concentrato la sua attenzione ai manifesti pubblicitari, diminuendo i danni altrove.

Lucifero è così il protagonista a posteriori di molti dei manifesti pubblicitari che accompagnano i viaggi quotidiani dei pendolari: i loro personaggi si ritrovano attaccati fumetti con i quali si scambiano battute e commenti su Lucifero. A volte le scritte diventano molto volgari, ma probabilmente fa parte del misterioso “gioco”.

A volte le scritte inneggiano a Baal, che dai più è conosciuto come una divinità fenicia, ma per il nostro è un demone al pari di Lucifero. Qualche volta appaiono altri personaggi e qualche disegnino infantile, ma in generale lo stile di comunicazione rimane basilare, sebbene non siano mancati i casi di citazioni colte all’interno dei fumetti.

La curiosità su “Lucifero infame” ha dato luce a canzoni, racconti, rassegne fotografiche, persino t-shirt. Nessuno ha una soluzione al mistero: come scrisse qualche anno fa Personalità Confusa, saremmo curiosi di guardare in faccia gli archeologi intenti a comprendere la città basandosi su centinaia di insulti incomprensibili a un demone.