I quotidiani si agitano e si aggregano

Il primo step gli editori italiani lo hanno fatto nel momento in cui hanno iniziato ad aggreggare la versione online di tutte le proprie testate sotto un unico dominio. Prima utilizzando il dominio dell’editore o di un’iniziativa specifica per il canale (pensiamo alla genesi di Kataweb), poi quello della testata principale del gruppo.

Hanno così prevalso i grandi quotidiani, sotto i cui domini, con esiti spesso bizzarri in termini di naming, sono finite anche tutte le iniziative editoriali dei gruppi non riconducibili ad una testata specifica: dai siti promozionali agli annunci di lavoro, tutto ha trovato casa sotto tre-quattro cappelli principali e conosciutissimi.

Questo ha fatto sì che, nelle statistiche pubbliche, questi domini cappello esplodessero in termini di pageviews. La tendenza, peraltro, si è poi vista anche a livello internazionale: è notizia recente la scomparsa del sito dell’International Herald Tribune in favore del New York Times, con clamorosi danni all’indicizzazione dei contenuti.

Quella che invece è una peculiarità del tutto italiana è l’agitazione che ha contraddistinto il mercato a partire dall’annuncio della nascita di Premium Publisher Network, il consorzio fondato inizialmente da Rcs Mediagroup e Gruppo Editoriale L’Espresso poi arricchitosi con l’ingresso dell’Editoriale La Stampa e recenemente di Athesis.

L’agitazione deriva forse dall’entusiasmo di aver osato sfidare, a livello nazionale, i giganti internazionali della pubblicità a performance. In barba a qualsiasi normativa a tutela della concorrenza, il prossimo passo potrebbe essere un bel super-dominio che aggreghi tutti gli editori del consorzio. Tanto, se la concessionaria è la stessa per tutti…

Le occasioni sprecate della pubblicità sui mezzi pubblici

Solo chi attraversa quotidianamente le metropoli in lungo e in largo, passando decine di minuti su autobus, tram e filobus può avere idea di quanta noia si possa accumulare in attesa alla fermata o mentre il proprio mezzo è bloccato nel traffico, ma anche semplicemente durante il tragitto. Non che in metropolitana vada meglio: si risparmia solo la parte di traffico di superficie.

Il grande successo dei quotidiani gratuiti è dovuto in parte anche a questa voglia di far passare il tempo mentre si va o si torna dal lavoro. I più saggi leggono libri, i più stanchi (a causa della sveglia all’alba o della giormata di lavoro appena finita) iniziano a guardarsi intorno, leggendo (di nuovo) la lista delle fermate della metropolitana, le copertine dei quotidiani dei vicini o gli annunci pubblicitari.

Qui casca l’asino. Per una misteriosa tradizione (forse legata ai budget minimi degli investitori), i messaggi pubblicitari sui mezzi di superficie sono quasi sempre brutti, poco originali e di basso profilo. Gli annunci sulle televisioni presenti a terra o sui mezzi (Moby TV o Telesia, ad esempio) sono così ripetitivi che ad un certo punto si cerca il telecomando per cercare di cambiare programma.

Qualche giorno fa KTTB si lamentava della bruttezza delle affissioni in metropolitana a Milano. Qui si fa una preghiera ad agenzie pubblicitarie e investitori: imparate a fare pubblicità sui mezzi pubblici. Rendetela accattivante, originale, non ripetitiva. Avete migliaia di occhi puntati addosso, che non aspettano altro che di essere divertiti, informati, attratti dalla vostra comunicazione.

Se proprio non riuscite a cavare un ragno dal buco, almeno fate un annuncio tradizionale, ma con un sito Web ottimizzato per il mobile bene in evidenza. Ormai l’uso di Internet sul cellulare è diffusissimo persino in metropolitana e le chance di portare qualcuno a navigare sul sito sono molto più alte rispetto ad un indirizzo scritto su una pagina pubblicitaria in una rivista patinata.

La vendetta del succo di frutta

Quel genio di Paul The Wine Guy si sveglia il 30 dicembre ed invece di organizzare il Capodanno come tutti gli altri blogger, tende ad alcuni tra i più noti di loro una deliziosa trappola: si finge addetto marketing di un’azienda alimentare austriaca interessata a comprare dei loro interventi promozionali da pubblicare sui blog personali, con un budget pubblicitario totale di qualche decina di migliaia di Euro.

L’unica vecchia volpe che non cade nel tranello è Gianluca Diegoli, che non solo declina l’offerta, ma soprattutto rilancia su Twitter/Friendfeed la notizia, diventando l’hub delle blogstar che, sorprese dalla proposta, hanno reazioni diverse e soprattutto ambigue: tendenzialmente si tende a voler spostare gli interventi su spazi diversi dal proprio blog principale, eventualmente proponendo collaborazioni commerciali.

Quando Paul The Wine Guy espone pubblicamente i risultati della sua indagine, le rezioni sono ulteriormente confuse: i non-contattati si sono divertiti a crocifiggere pubblicamente coloro che hanno tentennato, accusandoli di scarsa trasparenza e scarsa etica; le blogstar più sfacciate hanno esposto in pubblico i propri prezzi (qualche centinaio di Euro), quelle più “professionali” hanno scritto articoli di approfondimento e di riflessione collettiva.

Nessuno è riuscito davvero a trarre una riflessione univoca sull’etica sottesa e necessaria a gestire questo tipo di operazioni, sia in veste di marketer che di autore di post. Si fa tanto parlare di buzz marketing, ma in fin dei conti alla fine sembra di essere tornati ai pubbliredazionali che, notoriamente, le concessionarie tradizionali danno quasi gratis a chi acquista campagne… Perché i veri soldi, con la pubblicità, girano altrove.

Auguri per un 2009 sereno a tutti i pubblicitari

Pare che il desiderio più diffuso per il 2009 sia quello di godere della massima serenità: così anche .commEurope si adegua e gli auguri per il nuovo anno sono, appunto, quelli di vivere mesi intensi, ma senza i patemi d’animo vissuti nelle ultime settimane. Augurio per tutti i lettori e per i pubblicitari in particolare. Se è vero (e purtroppo lo è) che il lavoro è parte dominante della nostra vita, la pesante situazione di mercato nel settore della comunicazione graverà molto sulle nostre carriere, sui nostri sogni, sulle nostre scelte personali.

Sta facendo scalpore, in queste ore, l’articolo di Fulvio Zendrini che traccia una fine ingloriosa (si parla di “morte annunciata”) per i centri media italiani, colpevoli di una gestione poco ortodossa dei rapporti (e dei flussi finanziari) con clienti e concessionarie di pubblicità. Senza entrare eccessivamente nel merito delle tesi di Zendrini, che già un paio d’anni fa aveva dichiarato che «La pubblicità è morta», ciò che emerge con forza in queste settimane è il grido di allarme di tutte le componenti del mercato: il sistema si è inceppato.

Soffrono le piccole agenzie, che lasciano a casa i finti-freelance con cui collaborano da anni; serrano i ranghi le grandi, che si concentrano sui budget principali perché non sanno come sviluppare nuovo business. Piangono amaramente le concessionarie e gli editori, con diversi magazine costretti a saltare le uscite a causa di assenza totale di investimenti; cercano un nuovo ruolo i centri media, che con buona pace di Zendrini hanno un ruolo importante in tutto il mondo e possono continuare ad avercelo anche in Italia.

Un sereno 2009, allora, a tutta la filiera: a pubblicitari, PR, consulenti, designer, planner e account manager vari. Non sarà certo il miglior fatturato del secolo ad aspettarci, ma cerchiamo di inventarci qualcosa per non finire a picco. Ed alle cassandre, rispondiamo colpo su colpo: se il tavolo salta, il gioco finisce per tutti. Conviene allora avere (almeno un minimo di) spirito collaborativo: che tutti, in azienda ed in agenzia, tirino fuori le unghie. Ci si graffierà un po’, ma almeno non assisteremo all’eutanasia collettiva del mercato.

La Fiat alla conquista della Cina (o forse no)

Imbarazzante ingenuità o calcolata astuzia? Non ci sono vie di mezzo per giudicare la vicenda dello spot di Richard Gere per la Lancia Delta, le presunte proteste ufficiali cinesi e le ampiamente dibattute scuse da parte del Gruppo Fiat. Sono due scenari opposti, ma che sorprendono entrambi per la loro ormai non così rara frequenza: la globalizzazione va avanti e un cultural clash al giorno, subito o voluto, è ordinaria amministrazione.

L’ipotesi dell’ingenuità prende spunto dalla versione internazionale del comunicato stampa con cui il Gruppo Fiat ha annunciato il lancio della campagna, definendo lo spot «a political poem about peace» ed esaltando la sensibilità di Richard Gere come fine mediatore culturale alle prese coi mali del mondo orientale. Cosa quanto meno bizzarra, viste le numerose minacce di morte ricevute dall’attore in seguito a clamorose cadute di stile come il bacio in pubblico a Shilpa Shetty.

La tesi opposta, quella della campagna “furbetta” di marketing, è quella sostenuta da chi, come Alberto Fattori, nutre qualche dubbio sulla sequenza degli eventi: prima il lancio dello spot in pompa magna, poi le scuse da parte del Gruppo di Torino, senza che in mezzo apparisse nessuna vera presa di posizione, ufficiale o ufficiosa, da parte del Governo o di qualsiasi altra Istituzione di Pechino. Una strategia, insomma, per far parlare di sé e del proprio prodotto da parte dei media di tutto il mondo.

Prima di ricadere in una nuova flame war come quella dell’anno scorso, sia ben chiaro che la Fiat è un’azienda bellissima, che è bello che l’economia nazionale possa godere degli effetti benefici della sua ripresa, che è un bene che dia lavoro diretto o indiretto a tanti di noi etcetera etcetera. Però, è possibile alzare la manina per esprimere un (bel) po’ di perplessità su questo tipo di campagne, del tutto incoerenti con lo stile di un marchio sobrio come Lancia?

La morte dell’URL

Scriveva qualche tempo fa Mauro Lupi in un commento su dot-coma

«In realtà i box di ricerca stanno diventando uno strumento di navigazione, per cui molti scrivono i nomi dei siti sapendo che il primo risultato sarà proprio quello del sito dove voglio andare. Se fai il conto, scrivere “google” sul box di ricerca, dare Invio e cliccare sul primo risultato, fa in totale 8 hits (6 lettere e due click). Andare sulla barra dell’indirizzo del brower, scrivere “www.google.com” e dare invio fa 15 hits (14 lettere e un click). Lo so, ci sono le toolbar o altre cose, ma la SMS-generation risparmia anche su questo ;-)»

Bisogna ammettere che (era il 2006) tutti i puristi del Web ascoltavano questo tipo di scenari con un forte senso di fastidio: si faceva notare la differenza tra il digitare correttamente un indirizzo nella barra dei browser e il vedersi supinamente apparire un motore di ricerca come home page ed utilizzarlo per avviare la navigazione magari digitando nella relativa casellina – orrore! – il nome di siti conosciuti (“ebay”, “amazon”, etc.) o addirittura l’intero indirizzo Web. Un comportamento giustificato dagli utenti in vari modi, ma sicuramente “contrario” alle tradizioni del Web.

Bisogna dire che la casella di ricerca su Firefox prima e soprattutto quella su Internet Explorer 7 poi hanno cambiato lo scenario: non è infrequente avviare una navigazione proprio da lì e – mea culpa! – soprattutto sui dispositivi mobile, si scopre di comportarsi esattamente come gli “utonti” di cui ci si lamentava qualche mese prima. Si finisce a navigare come si faceva 20 anni fa nei walled gardens internazionali: si usano le keyword direttamente nello strumento di navigazione, siano esse i termini di cui sfogliare i risultati su un motore di ricerca o per le quali si ha già in testa un sito ben preciso.

Proprio stasera il blog di Google Italia ha pubblicato una guida sulla corretta formattazione degli indirizzi al fine di renderli più intellegibili al motore di ricerca e più amichevoli per gli utenti finali. I quali, però, ormai destinano pochissima attenzione all’indirizzo dei siti, proprio esercitando una fede immensa nei “poteri” di Google e dei suoi fratelli. I puristi di cui sopra, sui relativi blog, continueranno a formattare nel migliore dei modi i propri indirizzi; i relativi lettori ignoreranno del tutto questi sforzi, continuando a digitare il nome del blog in questione sul motore di ricerca. Stessa ricerca, stesso risultato, tutti i giorni.

Non sono trascurabili gli impatti che questa tendenza ha sulla pubblicità in Rete e su quella tradizionale. La scorsa settimana Josh Catone ha pubblicato un articolo su Kellogg’s in cui racconta il successo di una campagna pubblicitaria tradizionale in cui la call to action non è stata il tradizionale “digita www.qualcosa” ma “inserisci la keyword su Yahoo!”. Il motore di ricerca ha supportato la campagna sia in termini di posizionamento sui risultati tradizionali che con un box pubblicitario ad hoc direttamente sulle SERP. I risultati parlano di una risposta 10 volte superiore alle campagne precedenti: fosse anche il doppio, sarebbe già un’enormità.

L’ADCI si rinnova, tra giovani pubblicitari e vecchi problemi

Restituisce il sorriso, dopo mesi di perplessità, la svolta “tradizionalista” dell’ADCI: scampato il brivido di vedere l’Associazione guidata da qualche Web Consultant da strapazzo, ora si può dire che il nuovo Consiglio Direttivo verrà guidato da dei bravi pubblicitari. È facile osservare il curriculum di Marco Cremona, neo-Presidente, o quello di Stefano Colombo, suo vice, per intuire le storie di due persone giovani, ma dalle belle esperienze creative nell’ambito di agenzie del calibro di Young & Rubicam, Publicis, McCann Erickson. Ma si può anche scorrere l’elenco dei componenti del nuovo Consiglio Direttivo per trovare altri nomi interessanti, non solo di pubblicitari “in senso stretto”: una qualche forma di equilibrio è stata seguita.

Si ironizzava sopra riguardo alla “febbre dei Web Consultant” vista negli ultimi anni in seno all’ADCI per sottolineare il ruolo assunto da alcune figure di modesta professionalità in mezzo al convivio della più importante associazione italiana di professionisti del mondo pubblicitario. Accanto a Creativi (con la “C” maiuscola) come Marco Massarotto, che hanno apportato alla vita dell’Associazione un aiuto concreto nel cogliere le opportunità di Internet e dintorni (proprio il blog dell’ADCI gestito da Hagakure ne è esempio), si è assistito ad un fiorire continuo di elucubrazioni fini a sé stesse, finalizzate a promuovere le proprie micro-Web agency o la propria attività di consulenza free-lance piuttosto che un uso consapevole della Rete come strumento promozionale.

Questo ha fatto sì che i “veri” creativi, quelli che si occupano veramente di advertising e non di funamboliche campagne di ottimizzazione dei risultati sui motori di ricerca (yawn), abbiano finito per guardare con enorme sospetto a tutto ciò che a Rete e dintorni è correlato. C’è stato chi, come Maurizio Goetz ha fatto a più riprese, ha cercato di spronare i componenti dell’Associazione a guardare con nuova sensibilità al lavoro dei colleghi creativi confinati nelle lande del “Digitale” (così solitamente vengono chiamate le attività relative a Internet e dintorni in seno all’ADCI), ottenendo in cambio solo un’ulteriore levata di scudi da parte dei “professionisti del Web” di cui sopra, auto-elettisi portatori unici del verbo Internettaro.

Il mercato “creativo” di Internet, rispetto a quello delle grandi agenzie pubblicitarie, è troppo piccolo e frammentato e per comprenderlo a fondo saranno necessarie iniziative serie. Paradossalmente, proprio la guida da parte di pubblicitari di buona esperienza e tutto sommato provenienti da esperienze “tradizionali” potrà sanare la ferita tra “creativi pubblicitari” e “creativi digitali” (sigh), sperando nel confino per chi in questi anni ha cercato solo di spillare un po’ di (brutte) consuetudini di Rete nei gangli dell’ADCI: è ora di smettere di blaterare di Web 2.0 a tutti i costi e di pensare a risolvere i problemi di una professione, quella del creativo, che presenta poche tutele e alti rischi professionali. E ciò succede in qualsiasi agenzia, tradizionale o meno essa sia.

Qualche spunto per il 2008

Chiuso il 2007 con una palettata di auguri, avendo mandato dal carrozziere la palla di cristallo rotta ed essendo sparita ogni illusione di inseguire eternamente buoni propositi vecchi di un anno, quest’anno si apre con degli spunti un po’ random, da interpretarsi come si desideri: suggerimenti, previsioni, fantasie, perversioni. Nel tempo d’altronde il pubblico di .commEurope è variato e si è ampliato: queste riflessioni a margine del cambio di calendario potranno suonare un po’ astruse per alcuni e un po’ banali per altri. In fin dei conti, in un Paese in cui la maggior parte delle persone discetta di marketing come se fosse argomento da Bar dello Sport, anche queste righe potranno contribuire all’enorme sforzo collettivo di diffusione del buon senso comune: non ci sono più le mezze stagioni ed i prezzi sono alti per colpa delle spese di marketing, no?

  • Attenzione agli Stati Uniti
    Primo alert per il 2008, è quello relativo allo scenario statunitense: sia che siate Marketing Manager di aziende esportatrici negli Stati Uniti, sia che siate Copywriter alle prese con le branch europee delle multinazionali, la vostra vita nell’anno appena iniziato verrà fortemente condizionata dall’andamento politico ed economico dell’ancora per poco (la Cina incombe) Stato più potente del Mondo. Come consumatori e come professionisti, abbiamo poco da gioire per il dollaro debole: sarà anche piacevole andare in vacanza oltre l’Atlantico a fare shopping, ma la caduta libera della moneta verde causerà sempre più danni, ben al di là dell’impennata del petrolio. La speranza è che il nuovo Presidente degli Stati Uniti sappia promuovere l’ottimismo: la stagflazione miete vittime e l’economia europea non è abbastanza forte per poter rifuggire ai suoi effetti.
     
  • Capacità di intepretare i cambiamenti dei fornitori
    Di solito il marketing insegna a prestare la massima attenzione ai clienti. A volte però, ci si dimentica di dare il giusto peso a tutta la catena del valore, di cui si è sempre per definizione un solo anello. Magari nel 2007 avrete notato un progressivo ridursi dei vostri fornitori di servizi finanziari, ormai sempre più erogati da pochi soggetti; nel 2008 potreste però scoprire che anche i vostri fornitori industriali hanno fatto scelte simili. Prendete il caso di Philips: si è data un piano strategico al 2010, quindi si è riorganizzata in 3 divisioni, poi ha iniziato a guardarsi intorno per succose acquisizioni. Per arrivare a raggiungere i suoi obiettivi, Philips ha bisogno dei suoi distributori; questi ultimi, però, non possono fare a meno di Philips (e di De’ Longhi, nel pur momentaneamente smentito esempio di cui sopra), pur di presentare un’offerta completa ai propri consumatori finali.
     
  • Sensibilità reale per le problematiche culturali
    Quando qualche mese Richard Gere ha ecceduto in effusioni verso Shilpa Shetty e perciò ho ottenuto una marea di minacce di morte per sé e per la bella attrice di Bollywood, la maggior parte degli Occidentali ha sghignazzato sentendosi superiore a tali “sciocche” recriminazioni. Poi qualche mese dopo e a qualche centinaio di kilometri di distanza, il brutale assassinio di Benazir Bhutto ha fatto rabbrividire quegli stessi Occidentali e molti di più: il Mondo è molto più piccolo di quanto sembri e le incomprensibili dinamiche sociopolitiche di Paesi un tempo remoti, ora possono avere forti influssi anche sulle nostre economie e sulle nostre convinzioni culturali. E per i markettari, questo vuol dire comportamenti e stili d’acquisto che evolvono nel tempo, non sempre nel senso di un maggior desiderio di spesa. Anzi.
     
  • Uso “nativo” della Rete
    Abbiamo passato un po’ di anni ad evangelizzarci reciprocamente sulle opportunità offerte dalla Rete, dai software sociali e dalle nuove potenzialità offerte dalla disponibilità pervasiva di connettività. Ora è il momento di fare un passo avanti e di dare per scontate un po’ di queste technicalities: per un’azienda, un tempo era un fattore distintivo avere un sito interessante e ora è a dir poco scontato averlo; qualche mese fa era all’avanguardia possedere un’isola su Second Life ed ora è sciocco non curarla. Molti dei nostri clienti danno per scontata la nostra presenza attiva on line: un’attività economica (anche e soprattutto se piccola) che non gestisca correttamente la propria comunicazione on line (fosse anche solo la posta elettronica), è semplicemente fuori mercato.
     
  • Fiducia nella creatività
    Per quanto sia cattivo costume nazionale parlare male dei pubblicitari e della pubblicità, dei PR e delle relazioni pubbliche, bisogna ammettere che i marketers di impresa non possono non fidarsi di chi fornisce loro supporto quotidiano. Fiducia in realtà non così diffusa come sembrerebbe banale che fosse: quando le cose vanno bene si sventolano al CEO i dati degli Istituti di ricerca, quando il mercato è in declino si porta al CdA la testa dell’account manager dell’agenzia pubblicitaria, annunciando il cambio di agenzia come panacea di tutti i mali. Il corpo acefalo dell’account ovviamente inveirà sui creativi, i quali risponderanno: “Se ci aveste ascoltato sin dall’inizio, non saremmo mai arrivati a questo punto”. Ma nessuno ascolterà nemmeno questa risposta, come al solito.

Viva Carosello, abbasso i panini

Si completa nei prossimi giorni la pubblicazione di Carosello, l’iniziativa dell’Editoriale L’Espresso che in quattro DVD ha sistematizzato e condiviso i migliori siparietti andati in onda lo scorso secolo (fa un certo senso dirlo, in effetti). Una scelta ardua, visto che il programma nato 50 anni fa ha presentato nel corso degli anni oltre 40.000 mini-film, realizzati in 35 mm: l’opera in edicola è stata ben curata ed effettivamente riesce a sintetizzare bene i punti più alti di quella esperienza. Tanta creatività e buona produzione cinematografica: assolutamente da vedere per chi si occupa di pubblicità e comunicazione in genere. Inutile continuare a fare guerre di religione come ha cercato di fare Il Velino: proviamo ad astrarli dal contesto sociopolitico, se proprio è necessario apprezzarne stile e tecnica.

Il costo dell’opera è tutto sommato interessante: come recita il sito, ogni DVD è stato venduto «a soli 8,90 Euro con La Repubblica e L’Espresso», per un totale di poco più di 35 Euro. Peccato per i “con” ed “e”, visto che andando in edicola per chiedere il DVD, il Cliente deve uscire con

  • DVD Carosello
  • La Repubblica con R2 (ed eventualmente Affari & Finanza il lunedì)
  • L’Espresso
  • D – La Repubblica delle Donne (al sabato)
  • Venerdì (al venerdì)
  • volantini pubblicitari assortiti

in uno dei più impressionanti “panini” della storia editoriale italiana. Alla modica cifra di 13 Euro, il Cliente occasionale dei giornali del Gruppo L’Espresso ottiene tanta carta (pur interessante) non richiesta, portando il costo complessivo dell’opera a 52 Euro, cioè 1,5 volte il costo dei soli DVD.

Fa sempre piacere leggere dei quotidiani (ma il tempo latita), può essere un piacere leggere D – La Repubblica delle Donne (c’è sempre da imparare) ed è interessante sfogliare L’Espresso (sebbene la maggior parte dei contenuti interessanti li si è già letti on line): perché fare a tutti i costi ogni settimana un’imboscata al povero appassionato di cose pubblicitarie che va a rendere onore ai suoi sacri penati? Non esiste un modo più sobrio per vendere qualche copia in più dei propri giornali? Non si potrebbe piuttosto garantire una promozione più sensata alle opere collaterali (vedi il piano dell’opera sul mini-sito, mai aggiornato dopo la prima uscita), magari promuovendo forme di interazione che coinvolgano proprio i giornali cartacei e quindi facciano venire voglia di comparli, senza vederla come un’imposizione?

Ormai di collaterali si discute da anni: negli anni d’oro dei libri de La Repubblica, effettivamente, sono stati la “terza gamba” dell’editoria, accanto a pubblicità (in lenta crescita) e diffusione (in rapido calo). Dall’introduzione dell’Euro in poi, i prezzi per il cliente finale sono velocemente aumentati, rendendoli meno appealing rispetto ai loro esordi: iniziative come quella su Carosello riescono però ad interessare nicchie specifiche e disposte ad aderire a piani editoriali anche più lunghi di soli 4 DVD. Peccato per le imboscate: sarà anche vero che quelli che vivono in nicchie di questo tipo sono ricchi (?) e dal profilo culturale elevato, ma proprio per questo non sono scemi. Le costrizioni non piacciono a nessuno e persino un quotidiamo può diventare spam, se non è ciò che si voleva comprare.

Il mercato dell’advertising nel frullatore

Il 2007 è stato un anno di grandi mutamenti nel panorama dei budget pubblicitari, nazionali e non. Rapporti anche decennali tra agenzie ed aziende clienti sono andati in frantumi in seguito a gare appassionanti e (più o meno) trasparenti: basta scorrere l’elenco mantenuto quotidianamente aggiornato dal sempre ottimo Pubblicità Italia per intuire quanto i grandi movimenti siano tuttora in corso e riguardino tutti gli aspetti della comunicazione. Non più solo gare creative per assegnare i budget tradizionali, ma anche consultazioni per trovare partner esperti nella pianificazione pubblicitaria o nel marketing diretto (qualunque cosa questo termine onnicomprensivo voglia dire, al momento), nelle pubbliche relazioni oppure nel below the line.

L’evoluzione della scena italiana, d’altronde, è spesso legata a quella internazionale: da un lato, grandi multinazionali che scelgono network di agenzie internazionali cui affidare le proprie attività di comunicazione declinate Paese per Paese; dall’altro, grandi organizzazioni italiane che cercano visibilità internazionale e quindi vivono nell’eterno dilemma tra il premiare un’azienda eccellente sul mercato interno e lo scegliere un partner onnipresente che magari, nella realtà italiana, ha una presenza meno incisiva. Protagoniste di questi grandi movimenti, tante organizzazioni nazionali che vivono momenti importanti: fusioni, IPO, campagne istituzionali. E non sono solo le aziende a muoversi: il 2007, ad esempio, è stato scosso dal budget di oltre 17 milioni di Euro per la promozione turistica della Regione Campania (per la cronaca preso da JWT).

Basta scorrere il report pubblicato lo scorso mese da Pubblicità Italia, d’altronde, per rendersi conto che il mercato della produzione pubblicitaria è uno specchio fedele della realtà economica italiana: la nascita di nuovi Gruppi bancari, ad esempio, ha spostato molti equilibri tra agenzie di tutte le dimensioni (UBI Banca, Banco Popolare, CariParma/FriulAdria hanno avviato la loro attività e le relative attività di comunicazione); il rilascio di nuovi prodotti ha galvanizzato il confronto tra le agenzie (basti pensare alle gare relative a Fiat 500); la ripresa dello spending di alcune grandi organizzazioni ha scosso a fondo il mondo del media planning/media buying. In generale, insomma, la ripresa economica vista nel 2007, per quanto leggera, ha rapidamente visto la sua declinazione nel mondo della pubblicità.

Riguardo agli attori più attivi del mercato, i due mostri sacri WPP e Publicis, nelle loro mille reincarnazioni, macinano nuovi clienti ma non sempre confermano quelli storici; brillano alcune agenzie indipendenti (in particolare, ancora una volta, Lorenzo Marini ed il suo clan) e crescono quelle più piccole, anche se i budget spesso sono alquanto limitati. In fin dei conti, è un mercato che ha spazio per tutti, ma la rotazione così vorticosa dei budget rende difficile pensare all’instaurazione di rapporti di medio termine. Gli account manager dovranno spremere fino in fondo la propria rete di contatti da un lato ed il reparto creativo dall’altro: non è più tempo di timidezze, ormai la guerra è a tutto campo e la dimensione non sempre è tra i fattori più importanti. La creatività, invece, sicuramente sì.