BP distrutta dal disastro del secolo

Fa quasi sorridere, alla luce delle magnifiche sorti dell’ecosistema Apple e del relativo rapporto coi DRM musicali, il baillame che sollevò l’infelice vicenda del rootkit Sony. Sembra del tutto minuscolo, il turbamento dell’opinione pubblica di un paio d’anni dopo, quando il mondo scoprì i pericolosi segreti di alcuni giocattoli Mattel. Desta ancora tristezza, ma in fin dei conti appare un caso isolato, l’imbarazzante caso del Carrefour accusato di essere nemico dei bimbi disabili. Si potrebbe andare avanti così, rileggendo oggi come ormai insignificanti molti dei casi di crisis management che avevano colpito gli esperti di relazioni pubbliche negli scorsi anni.

Il terribile disastro della Deepwater Horizon, infatti, oltre ad essere un danno gravissimo e del tutto imperdonabile per l’ambiente mondiale e per le popolazioni che ne subiranno gli effetti per decenni, sta segnando in maniera significativa un’intera generazione di professionisti del mondo della comunicazione. Da un lato, chi lavora nelle aziende, soprattutto quelle a vocazione più industriale, si rende conto che non ci può essere teoria che tenga, tecnica di legittimazione che risulti opportuna per un disastro di simili dimensioni; dall’altro lato, chi si occupa di informazione scopre di essere davanti ad un caso Bhopal ancora più strisciante, dalle conseguenze imprevedibili.

Oggi come allora, a distanza di tre decenni, il mondo trema per qualcosa che va oltre le discussioni ideologiche su inquinamento e fonti rinnovabili: è paura reale che si traduce in scia chimica, incapacità di gestire la complessità industriale e saperne gestire le ricadute in caso di pericolo. Non c’è PR che tenga, quando un dramma profondo assume proporzioni così rilevanti oltre che nell’immaginario, anche nella realtà quotidiana di migliaia di famiglie. Massimo rispetto per i dipendenti BP, per la maggior parte vittime più carnefici; tuttavia, la loro incapacità di gestire la tragedia, soprattutto dopo che è avvenuta, non può che rimanere impressa per sempre.

Le rielaborazioni del logo BP pubblicate su World Famous Design Junkies

L’immagine della storica Società è completamente distrutta. E questa non è una grande vittoria neppure per chi da sempre l’ha osteggiata, magari anche con azioni dimostrative clamorose, ma sempre da “nemico” chiaro nei suoi intenti. Nonostante l’ottimismo strisciante sul sito istituzionale della compagnia petrolifera abbiamo perso tutti e, come nota l’ormai noto @BPGlobalPR, piuttosto che cercare di mettere la polvere sotto il tappeto, è bene che BP mostri con chiarezza i risultati del suo operato ed investa tutto il possibile per riparare. Poi ci sarà il tempo di ricostruire un’immagine, magari puntando sulle energie alternative. Ma ci vorranno decenni, forse secoli.

Corporate blog, corporate noia

Difficile stupirsi dei risultati della ricerca di Forrester Research che etichetta come “noiosi” i siti di 90 tra le principali multinazionali, con particolare attenzione all’uso disastroso dei corporate blog ed al loro notevole disinteresse presso l’utenza. Merito probabilmente anche del materiale utilizzato: per il 56% del campione, comunicati stampa.

L’eterno punto aperto è che non esiste un reale motivo per cui clienti e prospect dell’azienda possano realmente interessarsi alle sue sorti al punto da diventare lettori fedeli del suo blog istituzionale o di quello di un top manager che illustra le strategie aziendali tenendo in mente il target degli investitori e ovviamente si fa scrivere i post da terzi.

Che quello aziendale sia un mondo noioso è un’osservazione frequente; che non si riesca ad avere ogni giorno un nuovo prodotto o un nuovo servizio da comunicare, a meno di essere Google, è un fatto incontestabile. Di fatto, le aziende riescono ad attrarre l’attenzione degli stakeholders solo quando succede qualcosa di brutto, con tanto di Streisand effect.

Quando Aaron Uhrmacher su Mashable ha provato a suggerire argomenti affascinanti per i corporate blog, è riuscito a ritagliare le sue proposte su aziende giovani, dinamiche e possibilmente del mercato ICT. Poco o nulla degli spunti è davvero applicabile alle aziende europee, di qualsiasi dimensione: che possono farci, se sono così noiose non è colpa loro. O forse sì?

Carrefour, Mattel e il circo dei blogger

Gli internettari di tutta Italia si uniscono nell’indignazione contro Carrefour, accompagnando il dolore di una madre coraggiosa che ha visto maltrattato il figlio con problemi di salute durante un evento svolto nel parcheggio di uno degli ipermercati della catena. Le prefiche si scagliano contro il gigante della GDO, le persone sensibili giurano al mondo che non metteranno mai più piede in un ipermercato della catena, i più attenti sottolineano come la colpa dell’accaduto andrebbe quantomeno condivisa tra azienda di distribuzione e società produttrice dei giochi promossi dalla campagna assassina.

Nella sintesi, da un lato il dolore umano di una madre maltrattata, dall’altro l’ennesimo disastro di una grande azienda europea nel campo di relazioni pubbliche e dintorni. Le persone che appoggiano le urla della prima, i professionisti che analizzano al microscopio le reazioni della seconda. Le persone che si muovono dall’indignazione (commento sul blog) all’azione (boicottaggio), i professionisti che distribuiscono consigli (tanto è gratis) e si mettono a disposizione delle aziende coinvolte per spiegare loro come orientare le proprie PR off line e on line (tanto avranno budget illimitati, no?).

Facciamo tutti parte di uno stesso circo, o quantomeno estremizziamo ciò che succede in queste pagine virtuali per presentarci di volta in volta come vittime o come carnefici, porci sotto il lume dell’attenzione o puntarlo dritto sul viso di chi reclama aiuto. Le aziende ci guardano perplesse, colpite dal fatto che un articoletto su un blog di periferia riesca ad attirare di passaggio in passaggio le attenzioni dei bloggers più noti e quindi, come sempre più spesso accade, dei giornalisti che li consultano alla ricerca di spunti e trend che le sterili agenzie di stampa non possono individuare.

Non si dica che Mattel non abbia imparato dalla disavventura che l’aveva travolta un anno fa: anzi, il fatto che abbia portato in giro per l’Italia gli stessi mezzi di Cars che un anno fa l’avevano travolta, stavolta in formato gigante, potrebbe essere letto come un tentativo di rilanciare la propria immagine e quella dei propri giocattoli. Non si pensi che la grande distribuzione sia sempre disattenta alle esigenze dei disabili: su The Rat Race è recentemente apparsa una bella testimonianza sulle attenzioni dedicate ai bambini con esigenze particolari.

E non si pensi nemmeno che Carrefour non sappia gestire le proprie relazioni pubbliche o non conosca le dinamiche della Rete: la catena ha un proprio Forum, su cui si è ampiamente dibattuto dell’accaduto. Ciò che forse sfugge a molti è che i rischi di un’iniziativa complessa a volte superano il progettato fascino che in situazioni normali piccoli e grandi eventi possono esercitare anche in target inaspettati: si va al di là della voglia di comunicazione e degli impatti sognati, perché quando ci sono uomini di mezzo, tutto è possibile.

Il mobilificio e la blogosfera

Vista la tipologia prevalente di lettori di .commEurope, ecco la sintesi in 3 punti del principale argomento di discussione nella blogosfera italiana degli ultimi giorni:

  • un blogger non particolarmente noto acquista del materiale presso un mobilificio di provincia, ma riceve un cattivo trattamento dagli addetti dell’azienda e decide di scrivere un post “cattivo” per condividere le sue sventure;
  • il proprietario del negozio si rivolge agli avvocati e sporge una contestazione legale al blogger, appuntando tra i commenti del suo post che dovrà comparire dal giudice per un risarcimento danni di 400 mila Euro;
  • l’intera blogosfera, particolarmente la sua parte più “vip”, esprime pareri pesantemente negativi sull’accaduto, consigliando caldamente al mobilificio di assumere un comportamento meno duro nei confronti del sodale.

Molti, probabilmente, in questi giorni hanno sentito il fiato sul collo: se veramente la vicenda si chiude nelle aule di un tribunale, il tutto diventa un precedente “pericoloso”. Qualsiasi azienda di qualsiasi dimensione potrebbe sentire la necessità impellente di sporgere querele verso i propri blog-detrattori, come peraltro avviene sistematicamente nel mondo del giornalismo di denuncia. E nessun blog, oggettivamente, ha la coscienza a posto: non viene in mente nessun blog italiano in cui il proprietario almeno una volta non si sia lanciato nel criticare le aziende fornitrici, magari per un singolo episodio o una singola campagna pubblicitaria non particolarmente azzeccata. I commentatori, poi, hanno fatto il resto. Come nel caso di cui si parlava in apertura, probabilmente la cattiveria esasperata di chi ha commentato il post anti-mobilificio ha superato quella del post stesso.

Basta scorrere l’archivio di un blog qualsiasi, di fatto, per notare che i post “cattivi” sono quelli più commentati. Prendiamo .commEurope stesso: il post sullo spot della Grande Punto di un annetto fa aveva sollevato commenti infuocati (e post su altri blog) da parte di amanti del marchio Fiat e risposte ironiche da parte dei suoi detrattori; l’articolo su TodoMondo di giugno 2005 è diventato un mosaico di critiche pesanti verso il tour operator che gestisce la piattaforma, trasformandosi in una sorta di forum involontario in cui i viaggiatori raccontano le proprie avventure e gli agenti di viaggio si esaltano nel vedere che i propri concorrenti on line hanno dei problemi, tanto da far discutere di class action ed altre azioni bottom up da organizzare con rabbia selvaggia.

Nel mondo tradizionale, una buona agenzia di pubbliche relazioni saprebbe gestire la complessità di simili situazioni. Tutti conoscono gli sforzi delle grandi aziende italiane nel pagare commentatori che controbilancino le discussioni troppo negative su aziende e prodotti, ma non è detto che ciò sia sufficiente. I proprietari dei blog fiutano i commenti fake in maniera infallibile e questo, inevitabilmente, diventa un’arma a doppio taglio, a detrimento dell’immagine delle aziende stesse. Alcuni blogger di lungo corso suggeriscono alle aziende di aprire spazi aperti di discussione, ma non è difficile intuire la difficoltà delle aziende stesse a concedere al consumatore amico/nemico l’arma stessa per affettarle in pubblico. La lezione comune, però, è la solita: la trasparenza paga. E forse se i commenti positivi ad oltranza fossero scritti in maniera più oggettiva e firmati dai manager delle aziende criticate, il dialogo sarebbe un po’ meno aspro.

Mattel, una ecatombe che si poteva evitare

La storiaccia della Mattel, che in questi giorni di scarse notizie è diventato il principale tormentone mediatico, sembra tratta da uno dei quei simpatici libri che, scritti per i manager alle prese con il crisis management, diventano testi di culto per gli studenti di Relazioni pubbliche. Diventerà un caso di scuola: agli occhi dei consumatori, ha tutte le caratteristiche per rimanere come ferita inguaribile sull’azienda dell’asteriscone rosso e presenta molti spunti di riflessione per chi si occupa di marketing, di produzione industriale, di comunicazione e persino di macroeconomia, viste le prese di posizione politiche che stanno emergendo in queste ore.

L’ultimo stillicidio mediatico che si ricordi nel campo dell’entertainment fu la saga del rootkit di Sony, un paio di anni fa: nulla in confronto all’ecatombe cui stiamo assistendo in questi giorni. In quel caso, infatti, i clienti finali erano un target meno delicato di quello attuale: ora si parla di giocattoli destinati ai bambini, perciò l’attenzione collettiva è amplificata e moltiplicata. Attenzione che, tuttavia, non sempre viene orientata in maniera corretta: i media parlano a ripetizione del problema della vernice contenente piombo, ma se si osservano le scilinguate liste ufficiali della Mattel, ci si rende conto che il 99% dei ritiri è in realtà legato al problema dei piccoli magneti ed il ritiro a causa della vernice tossica riguarda una sola referenza (l’ormai onnipresente personaggio del film Cars). Allo stesso modo, è facile notare che si continui a tirare in mezzo Barbie, nonostante solo un modello del tutto marginale della celebre bambola bionda è interessato dal ritiro.

La Mattel ed i suoi fornitori cinesi stanno ora sottoponendosi al calvario rituale, fatto di scuse, numeri verdi, videomessaggi lacrimosi e lettere aperte di manager-padri di famiglia. I politici europei, come quelli cinesi, promettono indagini approfondite e lanciano strali contro il primo produttore al mondo di giocattoli. I consumatori gridano vendetta e si chiedono (giustamente) come mai i giocattoli oggetto del ritiro avessero comunque i loghi di sicurezza previsti dalla normativa comunitaria. E pensare che tutto è iniziato due giorni fa con una presa di posizione troppo netta da parte di Mattel Italia: «i prodotti incriminati non sono mai stati distribuiti nel nostro Paese».

Gestita male la partenza della vicenda, Mattel è stata travolta nel nostro Paese come nel resto del Mondo. Addirittura, il magma dell’indignazione ha travolto anche aziende del tutto differenti, come Disney (che ha la sola colpa di aver concesso in licenza il famigerato personaggio a Mattel), ma soprattutto come Nokia, che per pura coincidenza negli stessi giorni ha diramato la comunicazione di un cambio gratuito per alcune batterie difettose. I casi di Mattel e Nokia sono stati presentati insieme all’interno di servizi nei telegiornali ed articoli su giornali e Web, nonostante l’obiettiva differenza di gravità dei ritiri e le diverse strategie adottate per rispondervi. C’è poco da fare: quando parte l’ondata dell’indignazione collettiva, fermarla è quasi impossibile. Almeno fin quando non ci saranno notizie più appealing nei flussi delle agenzie…

Aspettando la “nuova” Microsoft

I blogger europei si stanno accodando a quelli statunitensi nel discutere l’ultima iniziativa di Microsoft per promuovere il lancio di Windows Vista presso il pubblico consumer: inviare ai blogger tecnofili più stimati oltreoceano dei portatili sui cui effettuare dei test sul nuovo sistema operativo e poterne quindi riferire i risultati al pubblico del proprio blog. Come racconta Luca Conti, le posizioni sono a dir poco variegate: da un lato i blogger che reclamano di essere abbastanza indipendenti da poter accettare qualsiasi tipo di regalo, dall’altro i lettori che guardano con sospetto ad iniziative simili.

Microsoft in realtà non è affatto nuova a questo tipo di iniziative: Mantellini ricorda i benefit a lui dedicati dall’azienda di Redmond, così come dai suoi concorrenti. La pratica, d’altra parte, è a dir poco pluridecennale: le pubbliche relazioni di matrice statunitense fanno un largo uso di doni, campioni gratuiti ed altre amenità nei confronti dei propri stakeholders e soprattutto dei giornalisti. Ciò che differenzia l’iniziativa di Microsoft da quelle dei concorrenti è probabilmente nel fatto che, essendoci di mezzo la “solita” Edelman, i bloggari statunitensi hanno ricevuto molta più attenzione che in qualsiasi altra campagna similare.

Ciò che attendiamo con ansia nei prossimi mesi sono le prove su strada dei nuovi prodotti, Windows Vista ed Office 2007 in primis, per scoprire in cosa la “nuova” Microsoft ha investito così tanti anni. C’è da dire l’ampia diffusione della Beta 2 della suite, ha mostrato un prodotto finalmente innovativo rispetto alle “limature” che hanno rinnovato i prodotti dalle versioni dei primi anni Novanta alla 2003. La Microsoft sembra essersi fatta decisamente più furba e meno arrogante: la vicenda della funzonalità “Save as Pdf”, sparita già nel Technical Refresh della Beta 2 e poi riapparsa come plug-in, è un esempio del nuovo approccio “quick win” verso concorrenti e mercato finale.

Anche un prodotto come Internet Explorer 7 rappresenta un buon esempio di un nuovo occhio verso le esigenze degli utenti. Sebbene siano state commesse improbabili ingenuità (come togliere l’Alt+D per accedere alla barra degli indirizzi o l’aggiungere il suffisso localizzato invece del .com alla pressione del Ctrl+Invio), la grande attenzione verso gli RSS ed un tentativo (forse non riuscitissimo) di lavorare su filtri anti-phishing sono un buon segno di apertura verso un mercato dell’informatica in forte cambiamento. Ed ora, perfavore, inviate un portatile a tutti i milioni di blogger del mondo, così nessuno avrà più da accusare l’altro di essere un venduto.

Wal-Mart l’ha fatta grossa (ma non lo sapeva?)

I prodi soci di Edelman avranno passato mesi a convincere Wal-Mart, il gigante statunitense della grande distribuzione, del potere dei blog, dell’importanza della grande conversazione, della rilevanza di gestire in maniera professionale la presenza in Rete al di là del sito istituzionale. Sembra di immaginare le riunioni per condividere strategia e obiettivi: migliorare l’immagine aziendale attraverso uno strumento in più per combattere i detrattori dell’azienda attraverso un’azione specifica di relazioni pubbliche, curata dai professionisti di Edelman.

In questo modo sono stati partoriti siti come l’oggetto dello scandalo di questi giorni, cioè Wal-Marting Across America (finto reportage di un viaggio “da sogno” attraverso i mille punti vendita statunitensi), Exposing Wal-Mart’s Paid Critics (che mette ampiamente in dubbio le critiche di detrattori e sindacati) o l’ancora più complesso sito di Working Families for Wal-Mart, che appare essere una sorta di associazione spontanea degli amici del distributore. Siti gestiti in maniera apparentemente così indipendente dalla classica gestione aziendale da non far comprendere agli utenti dei siti chi li abbia finanziati.

Questo “peccato di trasparenza” ha dato avvio al peggiore incubo possibile per un’azienda e per la sua agenzia di relazioni pubbliche: i media (ed i “veri” bloggers) hanno iniziato a discutere dell’iniziativa come di una truffa, “smascherando” l’iniziativa e le sue finalità di comunicazione “subliminale”. Per di più, il silenzio iniziale, il banale post di scuse di Edelman stesso ed il tirarsi fuori del più noto blogger dell’azienda, Steve Rubel, hanno solo avuto l’effetto di far apparire l’azienda della GDO come un attore improvvisato trovato con le mani nella marmellata a sua insaputa. L’agenzia ha infatti cercato di tener fuori Wal-Mart dallo scandalo, assumendosi ogni responsabilità: ora siamo tutti curiosi di vedere il destino dei flogs.

In generale, sarà interessante vedere anche l’effetto della vicenda sul mondo del corporate blogging e sulla strategia per la Rete di agenzie come Edelman, che proprio la settimana scorsa si era resa protagonista dell’ennesima iniziativa con Technorati per convincere le aziende delle potenzialità dello strumento sul miglioramento dell’immagine pubblica. Si trattava di esperienze all’avanguardia ed ora si tratta di ricordi così brutti da mettere in dubbio l’intero operato dell’agenzia nei confronti del cliente interessato: per ora, come ha notato Nicola Mattina, sembra di vedere soprattutto «buone intenzioni e cattiva pratica».

Chi è senza peccato scagli la prima pietra sull’azienda

Alzi la mano chi sul proprio blog non ha mai parlato del proprio lavoro, dei propri clienti o dei propri partner. Il lavoro è parte della vita e per molti ne è la componente principale, se non altro in termini di effort su base quotidiana. In fin dei conti, è qualcosa di analogo al chiacchiericcio da cassa del supermercato: nessuno pensa che il vicino che esalta il gusto dei crackers ad alta voce sia sponsorizzato dal produttore. Al limite, lui potrebbe anche lavorare per il produttore: di fatto, in ogni caso, avrà un impatto marginale sulle nostre decisioni di acquisto.

Potrebbe in linea di massima persino apparire così fastidioso da ottenere l’effetto opposto: il ciarlare troppo di prodotti e servizi desta sempre sospetti, al di là del grado di positività del giudizio, suscitando antipatie e scherno. In tal senso, è davvero è così diverso leggere un’esaltazione di un prodotto su un blog? Davvero è credibile chi, senza citare alcuna fonte, si lancia in esaltazioni di un’azienda o in denigrazioni della sua concorrente? Davvero non possiamo fare a meno di curarcene a passare oltre?

Negli Stati Uniti il dossier del New York Times sui blogger “comprati” da Wal-Mart ha suscitato un polverone probabilmente perché i poco accorti navigatori, che spesso copiavano per filo e per segno i comunicati preparati dai PR dell’azienda, non erano dipendenti dell’azienda, ma svolgevano il lavoro pubblicitario per i loro nano-editori. Per di più, trattandosi di azioni di public relations, i temi trattati nei post non erano l’ultimo volantino pubblicitario o lo sconto sulle sottilette: improvvisamente, i blogger “comprati” si lanciavano in riflessioni sulle polizze sanitarie in uso nell’azienda o sulle modalità di recruiting.

Esistono almeno 10 buone ragioni per cui le aziende non dovrebbero bloggare: in primis, perché non hanno a getto continui sufficienti temi interessanti da comunicarci, poi perché comunque non avrebbero davvero la possibilità di reagire in modo elegante ai commenti potenzialmente aggressivi di clienti, ex clienti e prospect. Ovvio dunque che la strada di Wal-Mart sembrerebbe decisamente più rapida. Tuttavia, un qualsiasi navigatore con un minimo di esperienza riuscirebbe a capire quanto sia poco convincente e rischiosa: a volte, forse, sarebbe meglio leggere quanto scrivono gli altri, piuttosto che provare a scrivere a tutti i costi.

Masochismo aziendale

Da queste parti qualche settimana fa si era accennato alla surreale vicenda di Sony BMG alle prese con i clienti inferociti dei suoi dischi più popolari; Enrico Bianchessi ha parlato di Nestlé e del suo bizzarro modo di reagire alle paure dei consumatori; Stefano Hesse della festa XBox 360 a confronto con quella di PSP; grazie a [mini]marketing andiamo in Autogrill ad assistere ad un preoccupante reality show che ha per oggetto baristi sudati e clienti (poco) remissivi.

Vicende che in apparenza hanno poco in comune ed in profondità sono frutto dello stesso perverso approccio al rapporto con i clienti: ignorarli. Sony BMG li vede come provetti ladri: se comprano un CD originale invece di una copia tarocca, è sicuramente per riprodurlo in molteplici copie destinate a metà popolazione mondiale. Nestlé non se ne cura affatto: come nota Enrico, l’unica preoccupazione del management è rassicurare gli investitori. Autogrill li considera scimmiette ammaestrate che trincano qualsiasi brodaglia purché gratis. Microsoft non sa nemmeno chi sono, visto che alle proprie feste invita solo modelline e PR manager.

Eppure, stiamo parlando di quattro grandi aziende, di società che vivono grazie al largo consumo: ci vuole una sana dose di masochismo per maltrattare così coloro che, in fin dei conti, sostengono il proprio business. C’è una miopia di fondo che dimentica la più grande delle ovvietà: non sono gli investitori, i PR manager o gli avvocati coloro che acquistano i prodotti, ma quei “banalissimi” personaggi chiamati consumatori, clienti, utenti. Persone che hanno razionalità limitata e portafogli limitati: siamo noi che ci lasciamo trasportare dalla passione persino acquistando uno yogurt e ci fidiamo inconsciamente della maggior parte delle leggende metropolitane che ci raccontano i nostri vicini.

Il masochismo ha effetti inintelligibili sul lungo termine e coinvolge tutta la catena del valore, se non addirittura interi settori: la gente ricomincerà ad acquistare il latte in Tetrapak con la stessa certezza di sempre? Le major discografiche riusciranno a creare sistemi di DRM senza essere tacciate a pié sospinto di essere più illegali dei nemici che tentano di combattere? Ogni azienda, così come ogni persona fisica e giuridica presente in Europa, è libera di farsi del male da sola: quando la sua imperizia però porta via nel tornado anche il resto dei suoi stakeholders, farebbe bene a fare un passo indietro e rifletterci meglio.

L’osso riflesso nello stagno è più pericoloso delle indigestioni

Lo insegnano le favole: il cane che nella speranza di fare il colpaccio ed ottenere anche l’osso riflesso nello stagno alla fine perderà quello che teneva saldamente in bocca. Così sembrano comportarsi le major discografiche che, ormai dimentiche di ciò che sono state le indigestioni commerciali del passato cercano di trattenere a sé i pochi acquirenti di dischi originali rimasti. Persone che vivono questa passione con difficoltà: devono pagare almeno una ventina di Euro per ottenere un CD che, nel migliore dei casi, non è fruibile nemmeno sul proprio PC personale.

Ci sono anche gli stereo fatti apposta per quello, diranno le nostre, spesso produttrici di hardware hi-fi. Osservazione banale, visto che ormai difficilmente il nostro povero melomane passerà le proprie giornate a fissare lo stereo comodamente sdraiato in salotto: probabilmente, proprio perché appassionato di musica, proverà ad utilizzare il suo prezioso CD nuovo ovunque, dall’auto al PC al lettore portatile. Realisticamente, avrà anzi ormai dimenticato quest’ultimo a favore di un banale MP3 player che gli consenta di scarrozzare in giro per il mondo la sua intera collezione di CD preziosi.

Il consumo della musica, è facile notarlo, è notevolmente cambiato. I sistemi anticopia delle major fanno o ridere o piangere, a seconda del proprio posto nella “catena alimentare” del consumo musicale: non riescono minimamente a scalfire lo strapotere di chi copia la musica per trarne profitto sulle bancarelle europee ma raggiungono il raggelante obiettivo di stremare il Cliente. In un impeto di irresponsabilità sociale, anche nella vecchia Europa arrivano le major ad adottare sistemi di dubbia qualità che eccedono nello zelo e non solo vietano la copia indiscriminata dei contenuti audio, ma per sicurezza installano anche preoccupanti software di controllo “nascosti”.

Ormai il caso Sony è scoppiato e l’immagine della società rischia di risentire pesantemente di questa ennesima “furbata” che, nella speranza di salvaguardare parzialmente il lato finanziario, distrugge completamente quello commerciale. I giornali ormai parlano di virus installati da Sony sui PC dei clienti e nel frattempo c’è chi approfitta dei buchi si sicurezza lasciati aperti per creare davvero dei trojan. Come sempre succede in queste brutte storie di malsana comunicazione aziendale, partono già le prime recriminazioni ufficiali dei Clienti dei 2 milioni di CD venduti: valeva davvero la pena di sottoporsi a tutto questo stillicidio mediatico per evitare qualche MP3 di troppo?