A proposito di sodio, kilocalorie ed altri misteri alimentari

Tra le mille acque minerali in vendita nei supermercati italiani, spicca la Vitasnella, storico marchio ex Danone da anni protagonista di numerose campagne pubblicitarie. Il tono enfatico rispetto alla scarsa presenza di sodio nell’acqua viene ripreso anche dall’etichetta, che sul fronte grida «<0,002% Sodio» e sul retro offre poche informazioni sull’Analisi Chimica, come da Legge, oltre ad un interessante ovale promozionale, che recita (grassetti originali):

«Gli italiani consumano in media 5000 mg di sodio al giorno. La Soc. Italiana di Nutrizione Umana raccomanda di assumere al massimo 3500 mg. L’Acqua Minerale Vitas Vitasnella nasce dal cuore delle Alpi naturalmente con meno dello 0,002% di sodio per litro. Per questo è indicata nelle diete povere di sodio

C’è qualcosa di clamorosamente insensato, in questa etichetta. Infatti, analizzando il testo emerge che:

  1. Gli italiani consumano troppo sodio;
  2. Il sodio consumato giornalmente è addirittura oltre il 40% della razione giornaliera;
  3. Un litro di Acqua Vitas contiene una cifra infinitesimale di questa razione giornaliera;
  4. Si potrebbe intuire che quindi Acqua Vitas è buona per la generalità degli italiani, che soffrono del problema 1, poiché il suo consumo permetterebbe di non aggiungere ulteriore sodio alla propria dieta persino bevendo acqua;
  5. Al contrario, dal secondo grassetto sull’etichetta sembrerebbe essere indicata per quella sparuta percentuale di italiani che non si strafoga di sodio come da problema 1, ma al contrario è carente di sodio;
  6. Essendo indicata per chi ha carenza di sodio e contenendo una cifra marginale del consumo giornaliero come da punto 3, quante decine di litri dovrà consumare il povero italiano la cui dieta è povera di sodio per integrare il suo livello su standard opportuni?

Tralasciamo, per non infierire oltre, che da ormai anni ed anni la percentuale di sodio nell’acqua non è inferiore allo 0,002% per litro (meno di 2 mg/l) come gridato sull’etichetta ma, come recita l’Analisi Chimica dell’Università di Pavia, è di 3 milligrammi per litro. I neo produttori di Vitasnella hanno ereditato questo prodotto di successo dalla Danone e non hanno fatto il minimo sforzo per comunicare correttamente, oltre al togliere il logo del produttore francese dal fronte dell’etichetta e qualsiasi riferimento societario dal retro: tuttavia, non sono gli unici a sparare numeri ed informazioni a casaccio.

Lo fa anche McDonald’s, tanto per fare un esempio. Per comunicare fiducia ai suoi consumatori, ad esempio, ha adottato la buona abitudine di riportare i dati nutrizionali dei suoi prodotti sul retro dei fogli “NON PER ALIMENTI” (sigh…) che separano i viscidi vassoi dal cibo. Ad esempio, si apprende che la Coca Cola da 400 ml contiene 425 volte le calorie della sua alter ego Light (!) mentre quella da 250 ml solo 353 volte. Potere degli arrotondamenti?

Ma è facile fare scoperte più interessanti, anche solo rimanendo nel campo delle calorie: si scopre che a parità di peso (100 g), salse escluse, il prodotto che ha più kilocalorie sono i dolci Mandise, con 463 kcal. Se guardiamo la colonna dei kilojoule, però, la pole position è conquistata dal Pain au Chocolat, con 1.915 kjoule. Com’è possibile, visto che il parametro di conversione tra le due unità di misura è fisso? Mistero presto svelato: 100 g di Mandise dovrebbero valere circa 1.937 kjoule e non 1.637 come riportato nell’apposita colonna e quindi conquistare la (preoccupante) palma.

Morale della favola? I consumatori attenti passano persino il tempo a leggere le etichette dello shampoo, magari mossi da interessi professionali. Quelli meno sensibili si accontentano di messaggi e metamessaggi che gli uffici comunicazione delle aziende di FMCG passano loro: l’acqua “è buona” perché un giusto livello di sodio sostiene la lotta alla ritenzione idrica (leggi: addio cellulite), McDonald’s “è buono” perché inserisce complicatissime tabelle piene di numerelli (leggi: sono trasparenti). Altro che impegnarsi in grandiosi programmi di responsabilità sociale, qui basterebbe prendere in mano la calcolatrice prima di comunicare al grande pubblico.

I disastri di immagine fanno male

Dopo le disavventure di Acer e OneMeet, dopo i rilasci affrettati di Google, stavolta è il turno di Timberland, protagonista principale, insieme a Puma, del bel dossier pubblicato negli scorsi giorni su Repubblica. Le parole trasmettono immagini strazianti, il rigurgito causato dalla lettura è forte: la risposta immediata è la solita, “Mai più”.

Neanche il fatto che, appena pochi giorni prima, Timberland avesse espresso il suo rispetto pubblico per le povere pecore merinos, oggetto di una campagna internazionale della Peta, ha potuto risollevarne l’immagine pubblica. Anzi: molti hanno visto nella dichiarazione pubblica un efficace lavaggio di immagine e nel dossier uno squarcio sulla realtà, rispetto alle “verità” da vetrina pubblicate sui siti ufficiali.

L’articolo è interessante perché non solo mette in luce la disumanità del lavoro dei poveri cinesi, ma offre anche cifre chiare: un paio di Puma costerebbero industrialmente 90 centesimi, più 6 euro di sponsorizzazioni sportive. Il dato è interessante perché dimostra che non è necessariamente la pubblicità il buco nero in cui finiscono i soldi degli acquirenti finali: è guadagno puro, del produttore e di tutta l’infinita catena distributiva.

I conti delle aziende coinvolte in questo tipo di torture, d’altra parte, sono chiari: meno di un mese fa la stessa Timberland, ad esempio, aveva rivelato un primo trimestre con risultati da sogno. Con l’utile in crescita del 36%, tanto per citare un dato, c’è proprio bisogno di far stramazzare gli operai dei propri fornitori? Se anche non lo si volesse fare per motivazioni etiche, da un punto di vista strettamente di business, che senso ha farsi del male, distruggere così il proprio marchio?

Selezionatevi un interprete, piuttosto

Qualche mese fa la maggior azienda europea di lavoro interinale ha lanciato una mega campagna di recruitment interno, per il mercato italiano. Uno degli step essenziali per andare avanti nel processo, che viene seguito a livello nazionale, è la compilazione, via Web, di tre test: inglese, Excel 2000 (nuovo, eh), Word 2002.

Questi due ultimi test, in particolare, sono evidenti traduzioni dall’inglese. Traduzioni penose, verrebbe da dire. Ecco, ad esempio, l’accoglienza di quello relativo ad Excel…

«La vostra prova è in una disposizione di multiplo-scelta. Sarete presentati con parecchie risposte possibili per ogni domanda; legga prego con attenzione ogni domanda prima della risposta esso. Selezioni la risposta migliore a partire dalle scelte date. Se la risposta che pensate fosse corretta non è offerta, non seleziona la risposta più corretta a partire dalle scelte disponibili. Accertisi prego che la risposta voi prescelti sia la vostra risposta finale prima di continuare alla domanda seguente.

Il sistema difficile nota la vostra prima risposta soltanto! Una volta che avete passato verso una nuova domanda della prova, non siete permessi andare indietro e cambiare c’è ne risposte precedentemente presentate. Il salto delle domande non è permesso. Se siete incerti quanto alla risposta corretta, presenti prego la vostra congettura migliore.»

Imbarazzante, non c’è che dire. I test appaiono molto più difficili del previsto perché, semplicemente, le traduzioni delle risposte sono in pessimo italiano o addirittura sbagliate. Altro che comunicazione interna, employment branding ed altre aspirazioni da multinazionali: le aziende europee dovrebbero prima iniziare a parlare le lingue straniere, come i bambini che vanno alle scuole elementari, non all’università.

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Iraqwww.forza-italia.it
Cosa ne pensa Forza Italia ? Confrontati con Noi !
Iraq in the Newsiraq.datops.com
News Monitoring & Dashboard World News Coverage & Analysis
Say Thanks to Tony Blairwww.thankyoutony.com
Return the Iraqi War Support Send thank you to Tony

Preso di peso (ma ripulito dai javascript) dalle pagine di Repubblica.it. Link interessanti, soprattutto il primo e l’ultimo.

Nel primo caso, si apre un’imbarazzante pagina di Forza Italia con tanto di kit del giovane propagandista fotografato: colla, santini, nastro adesivo. Il minisito stesso serve ad incitare a faxare propaganda elettorale ed altre amenità simili. Pare che non siano bastati, lo scorso giugno.

Nell’ultimo caso, un link che piace ai bloggari d’oltreoceano e un po’ meno a quelli italiani: si può ringraziare Blair per aver appoggiato la campagna in Iraq. Resta un dubbio: chi fornisce i dollari a Jon Sanford non tanto per gestire il sito (ormai il costo è irrisorio), ma piuttosto per comprare così tante Google AdWords, da ormai molti, moltissimi mesi a questa parte?

Viaggi nel tempo promozionali

IBM non ha bisogno di pubblicità: almeno, non più dei concorrenti. Da ormai parecchi anni le campagne sono per la maggior parte istituzionali: negli ultimi anni ha cavalcato il fenomeno e-business, completando l’evoluzione da produttore di hardware a fornitore globale di consulenza, ICT e non.

L’altra strada promozionale è quella delle grandi iniziative scientifiche: non solo attraverso investimenti a spron battuto e talvolta a fondo perduto (almeno in apparenza), ma anche portando avanti la ricerca nel campo dei supercomputer. Oggi Astron, istituzione di ricerca olandese, ha annunciato che utilizzerà una soluzione IBM per portare avanti le proprie ricerche astronomiche. Tanto per fare un po’ di spettacolo, la ricerca su Big Ben e dintorni è stata definita “un viaggio a ritroso nel tempo”: detta così, può interessare almeno una persona su mille.

I dispacci di agenzia ci rendono edotti, con una pedanteria che sa di televendita, dell’impressionante capacità di elaborazione degli oltre 12.000 microprocessori, ben 768 gigabit al secondo, con frasi del tipo

«L’equivalente della quantità di dati che sarebbero creati in un secondo se ogni persona negli Stati Uniti partecipasse a 100 chiamate telefoniche contemporaneamente».

Cosa vorrà mai dire?

Bill Gates fa sempre notizia?

Bill Gates ed il suo staff 25 anni faDove ci si gira ci si gira, si trova Bill Gates. Questa è la sensazione di chi, quotidianamente, si informa sul Web.

In questi giorni, tuttavia, il fenomeno è più accentuato del solito: gli amanti del gossip leggeranno di Bill Gates in veste di cavaliere dell’Impero britannico per i suoi investimenti nell’alta formazione britannica, gli utenti Internet più accaniti saranno incuriositi delle dichiarazioni a proposito sullo spam che si inseguono in questi giorni sulla stampa specializzata. Ma non finisce qui… Negli scorsi giorni, L’Unità aveva sottolineato le dichirazioni a proposito della diffusione del codice di Windows, mentre Html.it si chiedeva la natura dei macro – investimenti immobiliari di Microsoft e del suo boss.

Solo informatica ed economia? No: il “lato buono” della famiglia Gates viene fuori negli sviluppi della faccenda MikeRoweSoft.com, ma soprattutto grazie alla visita di Melinda Gates in India ed ai relativi proclami anti – Aids. Benevolenza che coinvolge anche la Microsoft, col progetto Microsoft Unlimited Potential, il cui obiettivo è spendere “bene” un miliardo di dollari…

Cos’altro verrà fuori nelle prossime ore?

L’imbarazzante lotta di Davide e Golia

Solitamente, Microsoft Corporation è vittima di numerosi attacchi sui blog di tutto il mondo per la sua “arroganza”: ci aspettiamo facilmente che una nuova ondata scaturirà dal caso Mike Rowe vs. Microsoft. Nel frattempo, sicuramente, la stampa di tutto il mondo si è scatenata: lo stesso diciassettenne, reo di aver registrato il banalissimo dominio MikeRoweSoft.com, sul suo sito si meraviglia di essere finito a discutere il suo caso su CNN Live, ieri mattina. Microsoft, nel frattempo, ha ben pensato di minimizzare gli echi: l’offerta per chiudere il sito è di 10 dollari vs. i 10.000 chiesti dal webmaster in erba.

Col passare delle ore, però, il caso assume nuovi aspetti: legati stavolta ad un ragazzo canadese, Mike Morris, titolare del dominio mikerosoft.ca. Come nota ZDNet, se Microsoft sarà del tutto conciliante col primo Mike, non potrà non esserlo anche col secondo. Il “Microsoft’s PR nightmare” continua…

Pellicole obsolete e media alla ricerca dello scoop

Un italiano legge Il Corriere della Sera… Apprende così che «Kodak si dedicherà solo al digitale in Occidente», come recita il titolo dell’articolo. Vista così, sembra che ben poca vita rimanga all’idea “tradizionale” del rullino, dello sviluppo, della stampa. Punto Informatico sembra confermare questo scenario, titolando il suo articolo «Kodak: la pellicola è superata».

In realtà, leggendo gli articoli, si capisce che la decisione del colosso statunitense Eastman Kodak Company è ben più modesta: smetterà la vendita di apparecchi delle macchine fotografiche APS, la bufala fotografica degli ultimi anni. Reuters sembra molto più precisa nel commentare la notizia: il titolo è «Fotografia, Kodak sospende produzione di apparecchi Aps» e schematicamente vengono chiarite le decisioni dell’azienda. Verrebbe da dire “viva le agenzie di stampa”, anche perché i principali media europei hanno trattato la vicenda in maniera simile a Corriere.it.

Tanto vale leggere il comunicato ufficiale dell’azienda, allora: le cose cambiano ancora. Come da manuale, gli addetti stampa dell’azienda sottolineano le notizie positive, relegando in posizione marginale quelle di carattere dubbio. La realtà ha più sfaccettature di ciò che può sembrare…