Nel gran naufragio sta a galla solo la Juventus

Così a occhio dovrebbe essere già iniziato il campionato di calcio, anche se quest’anno non c’è stata la pressione pubblicitaria folle vista un paio d’anni fa e chi non è particolarmente appassionato dell’argomento potrebbe non essersene accorto. Non che nelle ultime settimane non si sia parlato di questo sport: mentre a livello internazionale l’attenzione era per le sonnolente olimpiadi londinesi, nel nostro Paese i giornalisti raccontavano di scommesse illegali e scandali connessi.

L’immagine del calcio italiano, già abbattuta dagli scandali precedenti, si è ulteriormente macchiata, diventando sempre più divertissement per fans accaniti e sempre meno passione collettiva, motivo di orgoglio per un pubblico familiare. Sembrano resistere solo i fans della Juventus e non solo quelli più esagitati acquirenti di stelle costose negli scorsi anni; i sondaggi mostrano come sia la squadra più amata da tutte le fasce d’età, in tutto il Paese e su tutti i media, persino allo stadio costruito ad hoc.

A molti la squadra bianconera può non destare particolare simpatia, ma bisogna riconoscere al Management di essere sempre riuscito a farla passare indenne da qualsiasi traversia, accentuando al contrario la fiducia e il senso di appartenenza. Al centro degli ultimi scandali c’è Antonio Conte, pur per fatti tendenzialmente precedenti alla sua esperienza di allenatore della Juventus. Riuscirà il mito a resistere, dopo le storiacce delle 3-stelle-non-3-stelle e l’abbandono di Alessandro del Piero?

Probabilmente sì e sarebbe interessantissimo capire il perché di un affetto così esteso, così trasversale, verso la squadra e i personaggi che ne fanno parte, in modo da portarlo in altri settori industriali. Se l’immagine di un intero mercato crolla e per di più se il mercato stesso è voluttuario e soggetto a passioni temporanee, come fa una sola azienda a mantenersi così solida di anno in anno, di lustro in lustro, nonostante gli scandali, i licenziamenti delle persone-chiave e le sconfitte?

London 2012, Olimpiadi antipatiche

Quando nel 2007 discutevamo della terribile scelta del logo-Lisa Simpson di Londra 2012, la crisi sconvolgente di questi ultimi anni era difficile da prevedere o anche solo immaginare. Avevamo dimenticato le modalità inquietanti con cui le Olimpiadi erano state assegnate e aspettavamo incuriositi quelle di Pechino. Poi l’edizione “algida” cinese è volata via lasciando un ricordo scialbo proprio nei mesi in cui iniziava il terribile can can macroeconomico internazionale.

Ora che le Olimpiadi di Londra sono in corso, i piccoli e grandi successi di ogni Paese vengono sommersi da polemiche, soprattutto incentrate sulle assurde policy di marketing e comunicazione imposte da Comitato Olimpico Internazionale e organizzatori, oltre che sui divieti di comunicazione sui social network che teoricamente avrebbero dovuto far tacere sportivi e staff. Silenzio imposto e rispettato solo parzialmente, insieme ad altre regole di comportamento.

Non è che a Pechino non ci fossero divieti, anzi: è che ai tempi sembravano limitazioni di tipo politico, mentre ora le stesse regole hanno mostrato la loro vera natura commerciale. Anche considerando la modesta immagine pubblica degli sponsor ufficiali, le aziende che non hanno contribuito al fuoco olimpico hanno avuto in queste settimane ampio seguito nelle azioni di ambush marketing. Ci sarà qualche ripercussione legale, anche in alcuni casi un po’ ridicoli.

Nel giro di qualche giorno Olimpiadi e Paralimpiadi di Londra finiranno, completando un lavorio infinito di migliaia di persone in tutto il mondo, di cui solo in minima parte sportivi. Nelle nostre memorie rimarranno le immagini di qualche medaglia, di qualche lacrima di atleti felici o disperati, ma soprattutto tante polemiche e un senso di diffusa antipatia per degli sponsor che hanno voluto mostrare troppo i muscoli, snaturando definitivamente la natura dell’evento.

Le ferite dell’irresponsabilità aziendale non si rimarginano mai

Non esiste probabilmente manuale universitario o saggio specialistico che, parlando di Corporate Social Responsibility, non accenni al disastro di Bhopal, alle migliaia di vittime riconosciute e non, all’imbarazzante condotta di Union Carbide. Una tragedia ambientale, umana, ma anche aziendale: un esempio di come non gestire uno stabilimento e una società, di come non riuscire nemmeno a riparare dopo il torto.

La filiale indiana di Union Carbide venne venduta a un’azienda locale, mentre la capogruppo finì nel gruppo Dow Chemical. Ancora oggi, quasi 30 anni dopo la vicenda, gli attivisti di tutto il mondo considerano responsabile l’azienda chimica statunitense di non aver dato risposta alle popolazioni coinvolte nella tragedia di Bhopal. Dow smentisce ogni responsabilità diretta, non vuol rimborsare vittime e territorio.

L’infelice acquisizione di Union Carbide è una condanna continua per Dow: ad esempio, la sola possibilità di collaborare con le Olimpiadi di Londra 2012 ha alzato un polverone internazionale. Amnesty International ha chiesto chiarimenti al Comitato Olimpico, ma anche l’India ha sollevato proteste per questo affare: non c’è stato nulla da fare, la risposta ha escluso la possibilità di rompere il rapporto con Dow.

Già BP ha investito molto sulle Olimpiadi per cercare di rifarsi una verginità dopo il disastro ambientale nel Golfo del Messico e questo ha creato molti malumori tra i cittadini britannici; ora l’appoggio incondizionato del Comitato Olimpico Internazionale a Dow in qualche modo rovina ulteriormente la fiducia nei confronti delle Olimpiadi estive, il cui “spirito” era già stato messo a dura prova a Pechino 2008.

Si dirà che le Olimpiadi di Londra erano già iniziate male prima ancora dell’assegnazione, nel 2004; ora rischiano di diventare il contesto in cui cercare di riciclare l’immagine di aziende dai fatturati miliardari ma dall’immagine pessima, distrutta da comportamenti irresponsabili magari lontani nel tempo, ma ancora vividi nella memoria di tutti noi, di tutti coloro che nelle Olimpiadi “credevano” ancora.

L’insegnamento per chi si occupa di strategia aziendale e di comunicazione è che non basta investire budget importanti per provare a salvarsi l’anima; i disastri bisogna evitarli a priori e piuttosto, una volta che ci si trova a confrontarsi con le vittime, meglio assumere un profilo di alto livello. Altro che scappare di fronte alle responsabilità, sanare le ferite del passato è la migliore delle promozioni, la più seria.

Le stelle della Juventus vanno a ruba

Non siete circondati da personaggi che tifano Juventus e Ferrari, amano gli spot della Tim e i cinepanettoni? Probabilmente siete troppo snob per confrontarvi con la stragrande maggioranza degli Italiani e magari non capite nemmeno perché il Popolo della Libertà tira su milioni di voti ad ogni elezione. Detto questo, probabilmente sorriderete ironici della campagna "Accendi una stella" che proprio la Juventus ha lanciato in queste settimane, con tanto di campagna televisiva sulle reti Mediaset.

L'idea di fondo è semplice: la squadra che un tempo regnava incontrastata sul calcio italiano ha deciso di fare appello ai suoi tanti tifosi per avere un aiuto nella realizzazione del nuovo stadio. Sfugge a molti il perché ci sia bisogno di un ulteriore stadio a Torino dopo la demolizione del Delle-Alpi-cattedrale-nel-deserto e l'abbandono del Comunale-oggi-Olimpico, ma tant'è: si tratta di una società quotata in Borsa e visto che di traguardi sportivi in vista non ce ne sono, è il momento di buttarsi in business alternativi.

D'altronde, in Italia il mercato del merchandising sportivo non è mai decollato sul serio e così non meraviglia che si cerchino meccanismi alternativi per fare cassa. Un tifoso appassionato può chiedere informazioni ad un 899 e acquistare sul sito, lasciando i propri dati e scegliendo il tipo di stella che, con sopra scritto il proprio nome di "vero" tifoso juventino, andrà ad accompagnare quelle del proprio campione preferito (di sempre) sul pavimento del nuovo stadio. Un po' un Hollywood Boulevard de noantri, insomma.

Persino a noi che non abbiamo nessun interesse in calcio e dintorni la campagna della Juve fa un po' tenerezza e un po' tristezza. Una stella Gold costa 250 Euro e una stella Platinum 350 Euro: in alcuni casi (ad esempio Vialli, Buffon, Baggio, Nedved, Trezeguet) le stelle Platinum sono ormai esaurite, segno che forse un tifoso che vuole "togliersi lo sfizio" preferisce farlo dando il massimo alla propria squadra del cuore. Come dite? Non capite come sia possibile ragionare così? Allora siete (siamo) snob davvero.

Tra le due litiganti, l’incumbent gode

Si discute, sui forum dei calciofili, degli spot bizzarri che in questi giorni circolano sulle reti Mediaset: il messaggio è tipo “Da quest’anno 12 squadre giocano su Mediaset Premium”, ma poi i protagonisti della campagna (tra cui Gerry Scotti) elencano 10 squadre e mostrano i relativi loghi. Sul sito fino a qualche giorno fa regnava ulteriore confusione: squadre con vasto seguito come la Sampdoria una volta erano dentro e un’altra fuori; solo da pochi giorni a livello puramente testuale vengono elencate 12 squadre, ma rimangono 10 simboletti sui banner.

Peccato per questa confusione, anche perché sin dall’esordio la comunicazione di Mediaset Premium è stata contraddistinta da spot di buona fattura e bello stile. La sensazione è che stavolta si corra per cercare di recuperare sottoscrittori in extremis prima della partenza (manca ormai meno di un mese) del Campionato di Serie A, anche se la colpa di tutto questo disordine è della procedura di assegnazione dei diritti da parte della Lega Calcio, che ha fatto l’altalena tra Mediaset e Dahlia fino ad esaurimento delle disponibilità delle due piattaforme.

Proprio la piattaforma nata dalle ceneri di La7 Cartapiù è la vittima di questo teatrino infinito, visto che ora deve costruire la propria offerta su 8 squadre abbastanza marginali; l’unico vero asso nella manica sembra la copertura completa del calendario di Serie B, anzi di serie bwin (notevole esempio di sponsorizzazione, molto più efficace del pleonastico “Serie A Tim”). Peraltro, la copertura sul territorio è ancora quella che è e forse solo il passaggio definitivo al digitale terrestre su tutto il territorio nazionale potrà consentire una vera competizione.

Chi vince davvero a mani basse? Naturalmente, Sky. Che può permettersi di comunicare con efficacia la copertura di interi campionati internazionali e spostare perciò il focus della propria comunicazione sulla qualità del proprio servizio, interamente in alta definizione, giustificando un costo notevolmente superiore dei propri abbonamenti. Sky è ancora l’incumbent in ambito pay TV e il prossimo debutto sul digitale terrestre (seppure con forti limitazioni) sarà uno sgambetto notevole a Mediaset e Fininvest. I maliziosi prevedono decreti governativi ad hoc.

Totti bifronte

Dopo i primi tempi con i ragazzi che lanciarono il motto Life is Now e un lungo periodo con Gennaro Gattuso e Francesco Totti, gli spot di Vodafone da oltre due anni e mezzo vedono quest’ultimo e la moglie Illary Blasi come coprotagonisti di una saga infinita: scenette divertenti, in cui prodotti e servizi del gestore telefonico vengono illustrati al grande pubblico. Obiettivo non facile, visto che alle promozioni di bundle telefonate/messaggi si sono affiancate (e sempre più sostituite) quelle relative all’offerta dati, compreso l’Internet Mobile che fino a qualche tempo fa era abitudine di pochi.

I due ci riescono, recitando gli script di 1861 United con fare leggiadro e naturale. Lei fa la figura della bella borgatara, lui quello dello sciocco buono: un mix che molti immaginano essere specchio della realtà quotidiana a casa della showgirl e del calciatore. E se l’immagine della prima è sufficientemente mantenuta fresca dalla sua partecipazione a programmi televisivi di culto come Le Iene, quella del secondo è ormai indissolubilmente legata al suo ruolo di Goodwill Ambassador dell’Unicef ed alla beneficienza, fatta con gli introiti dei suoi libri e persino coi diritti televisivi del matrimonio.

Ma oltre ad essere un uomo di spettacolo (ed un giocatore di poker, come ci ricordano gli spot PartyPoker.it in cui appare frequentemente negli ultimi mesi), Francesco Totti è anche e soprattutto un calciatore. Attaccante bravo ed efficace, fedele alla sua squadra ed ai suoi tifosi come pochissimi hanno saputo fare negli ultimi decenni. Personaggio che però, in campo, diventa anche un Mister Hyde da romanzo: si mette a sputare contro gli avversari, a gridare imprecazioni, a prendere a calci un calciatore della squadra avversaria, salvo poi pentirsi rapidamente sui giornali del giorno dopo.

Il Pupone, come viene affettuosamente chiamato Totti sin dagli esordi nella Roma, passa mesi a costruire un’immagine vincente in campo e affabile in televisione, poi periodicamente ne combina una delle sue e questo pregiudica molti aspetti della sua vita: saltano le convocazioni per le partite importanti, diminuisce la presenza negli spot, vengono ritirati gli inviti alle trasmissioni televisive. Dopo gli episodi degli ultimi giorni, anche questa volta Sisifo ricomincerà la sua salita: forse solo l’abbandono del campo e il passaggio definitivo allo spettacolo gli permetteranno di uscire dal circolo vizioso.

2008, l’anno della caduta dei miti

Assodato il clima di crisi (andiamo avanti, o non parliamo d’altro), è possibile tirare una linea e provare ad annotare alcuni dei fenomeni visti nel corso del 2008, ovviamente dal punto di vista del loro impatto su marketing e comunicazione in Europa e dintorni. Uno in particolare, che potremmo definire “la caduta dei miti”, sembra riassumerne la maggior parte.

Pensate al mondo dello sport: doveva essere un anno mirabolante, fatto di Olimpiadi ed Europei di calcio, di record ed emozioni. Si è trattato in realtà dell’anno in cui il re si è rivelato in tutta la sua nudità. Le Olimpiadi di Pechino, in particolare, sono stati un evento freddo e poco riconducibile allo spirito olimpico: sono rimasti delusi gli investitori pubblicitari e soprattutto gli sportivi.

L’altro grande mito crollato, ovviamente, è quello degli investimenti finanziari ad alto rendimento. Il sogno, oggetto di decine di campagne pubblicitarie negli ultimi anni, di ricorrere a promotori finanziari-maghi al fine di far lievitare i propri risparmi, è andato molto al di là degli hedge fund: le piccole scritte sul rapporto rischio/rendimento non le ha lette nessuno e si son visti i risultati.

Ci sono poi altri due trend che, seppure abbiano mostrato traccia in tutta Europa, in Italia hanno assunto toni molto più decisi: da un lato, il crollo dei movimenti politici di sinistra; dall’altro, la progressiva discesa nelle vendite dei quotidiani. Due “cadute” che, al di là delle apparenze, sembrerebbero avere radici comuni nella disaffezione di un certo tipo di elettorato verso il proprio “mito” politico.

Infatti, il risultato dei partiti di sinistra (e di centro-sinistra) alle Elezioni Politiche in Italia era prevedibile, seppure non in termini così disastrosi, grazie alla ripida discesa delle vendite di quotidiani di quell’area politica: La Repubblica negli ultimi mesi, ma soprattutto la triade L’UnitàIl ManifestoLiberazione, scesa sotto la soglia cumulativa di 100mila copie già nella prima parte dell’anno.

Ripensate a voi stessi ad inizio 2008: probabilmente le vostre visioni di sport, finanza, politica ed editoria erano abbastanza (o magari profondamente) diverse. Il 2008 ha cambiato molte carte in tavola e il marketing 2009 dovrà adeguarsi. Prima, però, bisognerà che ci si adegui tutti noi: abbiamo qualche difficoltà ad orientarci, prima ancora di iniziare a pensare a comprare qualcosa.

Il fascino delle diciottenni ed il volano del Web

La famosa foto di Allison StokkeQuesta a sinistra è una delle foto che negli ultimi mesi ha avuto maggiore diffusione sulla Rete: ritrae Allison Stokke, studentessa diciottenne e campionessa giovanile di salto con l’asta, da oggi famosa in tutto il mondo grazie ad un articolo del Washington Post, prontamente ripreso da tutti i maggiori quotidiani europei, compreso l’italiano Corriere della Sera e lo spagnolo El Pais. Un tam tam che sta crescendo in queste ore in tutto il mondo attraversando blog ed altri spazi di condivisione multimediale: un video della giovane atleta furoreggia su YouTube ed il suo profilo su MySpace contiene ormai un numero improbabile di commenti, la maggior parte dei quali smaccatamente scritti da ragazzotti in calore, eccitati per le caratteristiche fisiche della tonica ragazzina.

Si tratta, però, dell’ultima ondata di un fenomeno che in Rete va avanti da mesi e che vede nel suo sito non ufficiale la punta di un movimento sicuramente favorevole nei suoi confronti, ma dalle caratteristiche opprimenti: per una teenager, un conto è ricevere le battutine spinte dei propri compagni liceali, dall’altro diventare icona sexy di migliaia di persone in tutto il mondo, nonostante non si sia fatto nulla per raggiungere questo obiettivo. Nessun filmino osé, nessuna foto erotica, un look tutto sommato nemmeno molto provocante: eppure i navigatori, da quelli statunitensi a quelli europei passando persino dai sudafricani, si sprecano nel descrivere cosa desidererebbero fare alla studentessa, appena maggiorenne.

Non è questo il luogo per esprimere un giudizio etico su tali desideri, ovviamente. Ciò che colpisce, ancora una volta, è il flusso mediatico come volano delle ascese (e delle cadute) di personaggi celebri, grazie ad un mix micidiale di Rete e media tradizionali. Ha correttamente notato Chad Goodman nelle scorse ore: la Rete è stracolma di riferimenti a Allison Stokke, ma milioni di persone, navigatori compresi, ne ignoravano del tutto l’esistenza; ora, grazie ad un articolo su un quotidiano prestigioso ed al relativo rimbalzo tra le maggiori testate del Mondo, tutti noi impariamo a conoscere questa ennesima figura che grazie al Web è “nata dal basso” ed è evidentemente destinata a futuri successi di pubblico e critica. Nascita dal basso che, nota Goodman, potrebbe essere più legata ai media mainstream di quanto si pensi: persino la pubblicazione iniziale della famigerata foto sarebbe successiva a quella avvenuta su un quotidiano locale.

Succedeva, lentamente, prima del Web: si creavano miti, si svolgevano riti, ma non c’erano i siti. Ora i tipi (e soprattutto le tipe) da copertina hanno una gestazione più veloce e soprattutto vengono da campi diversi: il pubblico desiderio non è più quello legato a cinema e spettacolo in genere, ma anche a personaggi dello sport, della cronaca, persino della politica. La Rete crea il substrato, omogeneizza le informazioni disponibili e le moltiplica; i media tradizionali prendono gli spunti, li pianificano e li mettono in circolazione. L’effetto volano del Web a quel punto fa il resto, contribuendo ad aumentare la notorietà e l'”appetibilità” del soggetto in questione. Non è difficile immaginare orde di markettari attratti dall’idea di mettere le zampe su questo magnifico flusso di pubblicità gratuita: attenzione, però, alla forza di attrito legata alla velocità del flusso. Le zampe, è facile bruciarsele.

Que reste-t-il de nos amours…

Terminata la sbornia della prima metà di luglio, cosa resta in Europa dei Mondiali di calcio? Dopo un mese abbondante dalla finale che ha regalato all’Italia un titolo conquistato più per scarsa partecipazione degli avversari che per effettiva superiorità in campo, su che eredità possiamo contare noi italiani? Dubbi al limite della retorica, che però sottendono effetti reali sull’immagine e la “spendibilità” della produzione italiana in giro per il mondo. Preoccupazioni che emergono non a causa della mancata vendita dell’orripilante merchandising ufficiale, quanto per gli effetti del calcio sull’economia reale.

Gli effetti visti sino ad ora non sono certo nell’ordine dei vari punti percentuali di crescita del Pil, anzi: come hanno notato gli analisti più attenti agli sforzi commerciali delle aziende italiane, l’aver umiliato paesi storicamente “clienti” dell’Italia, Francia e Germania in particolare, ha un potenziale effetto boomerang sulle nostre esportazioni, ulteriormente amplificato dalle non brillanti previsioni macroeconomiche sul biennio prossimo venturo. Escludendo Dolce e Gabbana, d’altronde, non ci sono state aziende italiane di calibro internazionale che hanno puntato sul possibile successo della Nazionale.

L’hanno fatto, sul mercato interno, più i fornitori della squadra (quelli di tipo alimentare in primis) che i veri sponsor ufficiali: se Mapei ha esposto qualche bandiera tricolore sulla sua sede milanese, Tim è rimasta chiusa in un silenzio assordante, pur essendo come al solito on air con svariate campagne commerciali. Idea probabilmente buona, visto il clamoroso fiasco della Nazionale alla prima uscita pubblica post-mondiali. Gli unici che ancora insistono nel ricordarci la vittoria ai Mondiali sono i content provider del mondo mobile, che sfruttano l’entusiasmo delle masse con le solite suonerie ad hoc.

Tuttavia, non basta storpiare una pur bella canzone dei White Stripes per far girare l’economia: l’unico aspetto veramente positivo resta la notevole crescita del mercato pubblicitario europeo e di quello italiano in particolare, grazie agli investimenti diretti in comunicazione, come al solito ai limiti dell’ambush marketing. Attività promozionale dagli effetti comunque tutti da verificare, con l’eccezione di poche realtà come Adidas, che hanno ovviamente usufruito di effetti concreti legati alla loro specializzazione sportiva. Per tutte le altre, c’è solo da aspettare: ma sorge il dubbio che, come ogni anno, il mercato verrà mosso più da eventi stagionali come la ripresa delle attività e le festività invernali, piuttosto che dal ricordo remoto di una partita di calcio.

Le popolazioni europee avranno la chance di capire la grande utilità del Web!

Lo scoppiettante sito ufficiale di Euro 2004, lanciato nelle scorse ore, realizzato da Uefa New media, conta di attrarre nuovi adepti alla comunità di “calciofili” già utenti di Uefa.com. Nel frattempo, diverse aziende europee e non pavoneggiano le proprie forniture al comitato organizzatore.

Il portalone è ricco di informazioni: sulle squadre, sui protagonisti, sugli arbitri, sugli sponsor. È su quest’ultimo punto che nasce qualche perplessità, in particolare a chi si rechi nella pagina dedicata alle “Statistiche ufficiali”. Si scoprirà che BenQ, produttore mondiale di elettronica di buon livello, offrirà agli appassionati una “stupefacente” messe di dati:

«per la prima volta in un evento calcistico, le statistiche ufficiali BenQ offriranno un quadro completo dei passaggi fatti dai giocatori. Sarà possibile vedere esattamente quale giocatore predilige un altro giocatore, e quale no! Zinedine Zidane passa di più a Thierry Henry o a David Trezeguet? Quante volte David Beckham scambia con Michael Owen? Patrick Kluivert passa a Ruud van Nistelrooij? E viceversa?».

Come far senza! Da notare che, qualche mese fa, lo staff di Euro 2004 aveva visto i vantaggi della collaborazione soprattutto da un punto di vista di fornitura di hardware. Il fine nobile dell’iniziativa pare ora essere quella di far capire agli utenti le «tendenze evidenziate dalle cifre, aiutandovi a capire meglio questo bellissimo sport che è il calcio». Sicuri che sia il metodo migliore?