Un po’ di rabbia tecnologica

Il logo dell'iniziativa di QuintarelliIl logo a sinistra desta simpatia, ma in realtà è uno dei messaggi più seri che negli ultimi anni la variegata Rete italiana abbia cercato di inviare al mondo politico: vista la complessità dell’argomento, non siamo al livello di coinvolgimento visto negli scorsi mesi a proposito dell’abolizione dei costi di ricarica per i cellulari; eppure, chi ha a cuore il futuro sviluppo economico del nostro Paese, ha iniziato ad alzare la voce. L’iniziativa è partita da Stefano Quintarelli, che di reti e Rete se ne intende parecchio: l’idea è creare un movimento d’opinione a favore degli investimenti in fibra ottica rispetto alla tecnologia xDSL. Finalmente un protagonista del mondo delle TLC italiane ha il coraggio di dichiarare ciò che molti di noi pensano da tempo: si tratta di canali diversi, non confondibili, ma soprattutto dalle potenzialità diverse e con prospettive temporali ed evolutive che devono essere comprese sino in fondo.

Già un paio di anni fa, ci si lamentava dell’equazione ADSL=banda larga. Molti navigatori, come si è detto, stanno aderendo all’iniziativa.Sono quelli che pensano che quando i governi esaltano “la diffusione della banda larga” riferendosi alle ADSL casalinghe, ci si debba seriamente preoccupare per la scarsa vision dimostrata: è come dire “Abbiamo un’ottima flotta di aeromobili” e scoprire che in realtà il 95% di quelli che pensavamo essere aerei sono in realtà degli aerostati. I quali, indubbiamente, possono anche portare delle persone e sicuramente si librano nell’aria: peccato che, però, per affrontare il futuro, non solo serva una vera flotta di aerei, ma deve anche esserne considerate con correttezza la loro potenza e portata.

Fuor di metafora: indubbiamente si può andare avanti illudendosi che se Abbatantuono guarda la TV via Alice ADSL, il “futuro” sia già nelle nostre case, finiamola però di dire che si stia parlando di banda larga. È una significativa evoluzione rispetto alla connessione analogica via doppino telefonico, ma non è sufficientemente stabile e potente per garantire un adeguato supporto alle nuove applicazioni digitali. Non è un caso che nei nuovi programmi elettorali i candidati più smart includano un ampio supporto allo sviluppo della banda larga: verrà un giorno, si spera, in cui l’accesso alla Rete verrà ritenuto se non vitale come l’energia elettrica, quantomeno “necessario” come sembra essere la televisione analogica, abitualmente distribuita da numerose antennone cancerogene installate sulle nostre montagne.

Il problema è che se un tempo potevamo rimanere con la televisione in bianco e nero mentre il mondo ormai era dedito al colore, oggi siamo troppo legati gli uni agli altri per rimanere indietro sulle evoluzioni tecnologiche fondamentali. Verrà sicuramente un giorno in cui all’estero le NGN, le reti di prossima generazione, saranno diffuse in maniera tale da dare un’ulteriore spinta verso quella che un tempo era “l’informatica ubiqua” ed ora è sempre più IL modo di intendere il mondo della comunicazione e dell’informazione. A quel punto, però, ci troveremo dalla parte sbagliata del digital divide: già ora si fa fatica, con le nostre connessioni sbrindellate, ad inseguire molte applicazioni sviluppate oltreoceano; figurarsi quando tutto il mondo viaggerà sui nuovi binari e noi saremo impiccati a doppio filo con i nostri cavi di rame.

Vodafone scrive ai suoi clienti

——— Messaggio Originale ——–
Da: Vodafone.it@mls.vodafone.it
Per: Cliente
Oggetto: Vodafone fa chiarezza su SMS Vocale
Data: 26/03/07 18:48

Vodafone
 
Vodafone fa chiarezza sul servizio SMS Vocale:
un comunicato ufficiale per fornire tutte le informazioni.
Gentile Cliente,

in seguito al lancio avvenuto nel mese di marzo del servizio SMS Vocale, nei principali forum dedicati alla telefonia mobile, in alcuni siti web, tra i consumatori ed i Clienti, hanno iniziato a diffondersi informazioni non corrette sulle modalità, l’uso e i costi del servizio, che hanno generato incertezza e confusione.

Vodafone ha il piacere di fornire direttamente ai propri Clienti una corretta informazione in merito al servizio.

SMS Vocale permette di inviare un messaggio vocale quando la persona chiamata ha il cellulare spento o non raggiungibile.

Il Cliente che chiama ascolta il messaggio gratuito di avviso:
“SMS Vocale Vodafone, messaggio gratuito. La persona chiamata non è al momento disponibile. Per inviare un SMS Vocale parli dopo il segnale acustico e poi riagganci.
Info e costi al numero gratuito 42055.”
Il Cliente può scegliere se riagganciare o registrare un messaggio con la propria voce, dopo il segnale acustico.

  • Il messaggio gratuito dura 15 secondi.
  • Dopo il messaggio ci sono un paio di secondi di silenzio
  • Dopo il silenzio c’e’ il segnale acustico, dopo il quale il Cliente puo’ registrare il messaggio.
  • Se il Cliente non parla, o parla meno di 2 secondi, il messaggio non viene inviato e il Cliente non riceve nessun addebito.
  • L’SMS Vocale ha un costo di 29 centesimi per chi lo invia.
  • E’ gratuito per chi lo riceve.
  • Il servizio può essere disattivato chiamando il numero gratuito 42070 oppure dall’Area personale “190 Fai da te”.

Si precisa che, contrariamente a quanto diffuso:

  • il Cliente non ha 1,5 secondi ma ha 15 secondi per riagganciare prima di vedersi addebitare il costo della registrazione dell’SMS Vocale.
  • non paga 10 cent quando ascolta il messaggio dell’SMS Vocale, in quanto è gratuito.
  • non sono cambiati i criteri di tariffazione della segreteria telefonica.

Mentre continua la campagna disinformativa sul servizio, lo stesso è stato temporaneamente sospeso da Vodafone al fine di dissipare ogni dubbio e contestare ogni critica infondata.

Vodafone resta a disposizione dei propri Clienti attraverso i tradizionali strumenti di comunicazione.

Distinti Saluti

Servizio Clienti Vodafone

Questa e-mail è stata inoltrata stasera a tutti i clienti registrati su 190.it, il portale di Vodafone che come è noto è stato quasi del tutto offline per una settimana. Qualcuno dirà che il contenuto ha qualcosa di familiare: effettivamente, è una copia quasi integrale del comunicato stampa dello scorso 21 marzo. Ciò fa emergere un serio dubbio: che senso ha l’inoltro individuale a tutti i clienti, dopo una settimana dalla pubblicazione del comunicato, quando ormai la bufera sembra essersi placata?

L’effetto immediato è che i media si accorgeranno di questo invio e ricominceranno a parlare della storia, ma soprattutto anche i clienti che non sapevano nulla della vicenda, entreranno in stato confusionale: se Vodafone Italia scrive un’e-mail per la prima volta nella sua storia, vuol dire che è successo qualcosa di grosso ed ora cerca di metterci una pezza. Come esempio di crisis management, non è esattamente un caso da manuale così come non era stata una grande idea di marketing lanciare di soppiatto il servizio, che potrebbe anche essere di per sé interessante. Cosa sta succedendo in casa Vodafone?

Fatta la legge… Vendiamo l’inganno!

Non si può dire sia stato del tutto trasparente, l’atteggiamento dei quattro gestori mobili italiani rispetto alle indicazioni di Decreto Bersani ed Authority per le Comunicazioni in merito all’impossibilità di continuare ad applicare i cosiddetti “costi di ricarica”. C’era da immaginarsi reazioni inconsulte, ma paradossalmente più evidenti: invece tutti i gestori hanno scelto di temporeggiare in attesa di vedere le decisioni dei concorrenti. Poi quasi tutti da un lato hanno obbedito all’ordine, ma dall’altro hanno re-introdotto brutte abitudini come scatti alla risposta e tariffazione a scatto.

«Quasi tutti», ma non Wind: finalmente in attivo, la compagnia di matrice egiziana (sob) ha consultato dei prestigiosi studi legali che le hanno consigliato di resistere e mantenere l’attuale assetto dei costi di ricarica. Una sfida alle autorità che, a colpi di giudici, non è difficile immaginare rimarrà impunita: chi spende sopra i 50 Euro a ricarica continuerà a non pagare i tanto odiati costi, chi sceglie i tagli più piccoli invece dovrà contribuire versare l’odiato balzello. Wind, come tutti i gestori, si difende: i costi di ricarica sono nati come “contributo” per i rivenditori (all’inizio furono soprattutto tabacchini ed edicolanti ad imporli) rispetto al traffico telefonico puro e perciò la loro destinazione non è verso la società ma verso questi soggetti terzi, che andranno perciò retribuiti in altro modo.

Peccato che proprio Wind, ai suoi esordi, fu la prima compagnia che affogò il margine per i rivenditori nel costo complessivo delle ricariche: una buona idea per l’immagine aziendale, a quei tempi spinta da questa trovata e dall’abolizione di scatto alla risposta e tariffazione a scatto. Strategie di pricing stupidine che allora impazzavano presso i concorrenti e proprio in questi giorni, come si diceva, tornano alla carica come risposta alla legge Bersianesca. Tutti i concorrenti corrono a reintrodurlo o a rendere costosi i nuovi piani: Vodafone, ad esempio, coglie l’occasione della sua nuova offerta post-decreto per aumentare il prezzo dello scatto iniziale di oltre il 25%, da 15 a 19 centesimi.

Totti, Gattuso e gli spazzoliniPeccato per questa scelta malsana, perché la nuova campagna di 1861 United, con le persone in fila per il bagno dietro a Totti e Gattuso (forse entrato per radersi con Gillette Fusion?), è carina e ben realizzata. Ora aspettiamoci le campagne di risposta di Tre e Tim, che sono state meno aggressive nel reagire al decreto e perciò potrebbero ottenere un buon ritorno dal non reagire con rabbia a quella che i loro concorrenti hanno visto come una condanna. Se il leader di mercato e l’ultimo arrivato arrivano a comportarsi in maniera saggia, c’è da domandare perché chi sta in mezzo ai due estremi scelga la strada più difficile: anche se si ha il sindacato dalla propria parte, mai inimicarsi i clienti, soprattutto in occasioni di provvedimenti populistici come questo.

Altro che walled gardens…

Una ventina di anni fa, “essere connessi” in Europa voleva dire attingere alle risorse messe a disposizione dai nodi delle BBS attraverso FidoNet e similari; negli Stati Uniti, invece, la “Rete” era soprattutto quella dei servizi di CompuServe prima e di AOL poi. Il modello era intrinsecamente diverso: accedere alle BBS voleva dire interrogare piattaforme magari con servizi minimi e specializzatissimi, eppure solitamente indipendenti e gratuiti; sottoscrivere un abbonamento ai grandi service provider statunitensi voleva buttarsi a piedi uniti nel loro mondo di informazioni e contenuti selezionati.

Erano i primi esempi di quelli che negli anni successivi sono stati definiti walled gardens, modello di successo oltreoceano che non ha mai attecchito dalle nostre parti. Pochi anni fa, si stimava che l’85% degli utenti AOL non uscisse mai dal mondo pre-confenzionato dal loro fornitore di connettività e che in generale il 40% del tempo speso dagli statunitensi on line veniva passato nel giardinetto di AOL. Oggi le modalità di utilizzo sono cambiate, ma solo perché nuovi grandi attori sono apparsi sul mercato: in fin dei conti, lo stesso universo dei servizi Google è ormai così onnicomprensivo da farci passare la maggior parte del tempo trascorso on line sui propri server.

La differenza rispetto al passato è che, appunto, non sono più i fornitori di connettività a fare da partner tuttologo ai propri clienti: devono fare i conti con questi nuovi attori, che sono editori e fornitori di servizi contemporaneamente, per poter offrire pacchetti interessanti ai propri clienti. Il mercato della telefonia mobile è quello più in fermento: non c’è operatore al mondo che non sta cercando di creare il proprio recinto di servizi utili, ma non può non scendere a compromessi con i grandi player del Web per poter offrire nomi e marchi che attirino l’attenzione della propria clientela. L’effetto è che i portalini marchiati a fuoco dagli operatori hanno come maggior benefit i servizi dei siti più famosi e così tutti gli utenti finiscono per odiare i giardinetti della discordia, soprattutto in Europa.

Gli operatori mobili ne hanno sperimentate di tutti i colori, con tecnologie stupidamente ibride come I-mode o portali rigidissimi come Vodafone Live! e similari, mentre i loro cugini fornitori di connessioni wireline hanno iniziato a proporre strampalati modelli di IpTV chiusi e costosi. Soprattutto i primi, però, sono sulla via di Damasco: in fin dei conti persino vendere 15.000 Euro al mese di traffico con lo sconto del 99,8% e tutte le notti di navigazione gratis rende più della speranza che qualcuno clicchi per sbaglio sul tasto specialissssimo del proprio cellulare. Tanto ci sarà sempre qualcuno che installerà potenti applicazioni su Symbian o semplicemente Opera Mini su Java: a quel punto, tanto vale gettare la spugna.

I dolori del giovane iPhone

Le prime immagini dell'iPhoneUn’attesa spasmodica come quella per l’iPhone difficilmente si era vista in passato: ci sarà anche stata curiosità per Windows Vista (se non altro per l’eterno sviluppo) od interesse per il primo iMac, ma nulla di paragonabile a quella miriade di simulazioni 3D, finte foto rubate, supposizioni filosofiche ed ipotesi tecniche che in questi anni ha dominato il dibattito pubblico. In fin dei conti, al già sovraffollato mondo della telefonia mobile, dell’ingresso di Apple interessava poco: ma per gli Apple-fili di tutto il mondo, l’iPhone doveva essere la sintesi perfetta del passaggio dell’ex Apple Computer verso la sua nuova realtà di produttore di ergonomica elettronica di consumo a tutto tondo.

Qualcosa, però, stavolta è andato storto nella meravigliosa macchina da guerra del marketing di Mr. Jobs: per quanto l’oggetto in sé sia assolutamente bellissimo, sostenere che abbia avuto un buon lancio sul mercato è un po’ forzato. Si è rapidamente formato il partito di chi non vuole comprarlo ed ovviamente di chi non aspetta altro: in mezzo, coloro che cercano di comprendere le ragioni di questa bizzarra strategia di marketing. Nulla da eccepire sulla rapida ascesa delle azioni dopo l’annuncio di Jobs: ma gli effetti nel medio periodo possono essere di tutt’altro segno.

L’interfaccia è affascinante ed ovviamente tutti si sono apprestati a copiarla: ma cosa succederà quando i produttori di dispositivi portatili (cellulari o PDA ormai poco importa) ne adotteranno gli aspetti più innovativi nei propri prodotti? L’iPhone infatti sarà sul mercato tra non meno di sei mesi per un ristretto numero di clienti statunitensi e solo tra un paio di anni in Europa ed Asia. Nel frattempo i prodotti dei concorrenti, già sostanzialmente più avanti dell’iPhone su molti fronti, saranno forse più attraenti per la maggior parte degli utenti, soprattutto di quelli con maggior potere di spesa.

A questi ultimi, business o meno, del nome non troppo originale o dei pochi megapixel della fotocamera importerà poco: ma all’assenza di un supporto alle reti 3G ed all’impossibilità di installare applicazioni presteranno molta più attenzione. Soprattutto quest’ultimo punto sembra il punto debole dell’iPhone: nemmeno le scarsamente illuminate TelCo europee avevano immaginato dei terminali così blindati. Jobs ha dato spiegazioni pseudo-tecniche: eppure, è chiaro che l’obiettivo è di creare eleganti gingilli ad uso e consumo delle compagnie telefoniche e degli altri venditori di contenuti multimediali (applicazioni comprese).

Non ci vuole una sfera di cristallo per immaginare che la prima versione dell’iPhone venderà un numero notevole di esemplari agli Apple-fili per poi fare il boom con le evoluzioni successive: è successo con l’iPod e succederà con tutti i prodotti della Apple. Più che un erede degli sfortunati Mactorola, l’iPhone è il più nuovo discendente della stirpe Newton, ma non di certo l’ultimo. La nuova Apple che sta nascendo imparerà dai suoi errori e la prossima volta azzeccherà forse un po’ di più i tempi del lancio dei propri prodotti: il buon Jobs, nei prossimi anni, ci stupirà ancora molte volte e noi, come sempre, lo premieremo.

Le scelte strategiche di Telecom Italia ed il bene del Mercato

In questo periodo l’affaire Telecom Italia è all’ordine del giorno di qualsiasi discussione privata, pubblica ed istituzionale. Chiunque è (o quantomeno si sente) legittimato ad esprimere un parere: il Gruppo non solo è leader di mercato nel wireline, nella telefonia mobile e nella connettività, ma è anche una delle società più importanti del capitalismo nostrano. Un Gruppo che interessa milioni di stakeholders, siano essi azionisti, clienti o dipendenti (o magari sono tutto ciò contemporaneamente). Un Gruppo che a quanto pare vuole diventare una minuscola media company in un mondo internazionale di giganti che comprano prede preziose.

Passi per la discussione sui massimi sistemi e sulle pur legittime riflessioni sugli impatti macroeconomici delle scelte: ciò che è sempre importante tenere in mente, però, è che si sta parlando di un’azienda privata e delle scelte strategiche dei suoi manager. Per quanto discutibili, le possibili exit strategy dal campo della telefonia cellulare e dal controllo dell’infrastruttura di rete nazionale, rappresentano le risposte a problemi finanziari notevoli, ma anche ad un quadro competitivo in continua evoluzione. Qualche tempo fa tutti guardavano alla telefonia cellulare come unico business del futuro: oggi, i primi risultati concreti di un’economia basata sulla Rete, fanno osservare con nuova attenzione le reti fisse.

Rottamare una gallina dalle uova d’oro come Tim è una scelta coraggiosa ed è prematuro dire se sbagliato o corretto: forse è ancora presto per il successo di massa delle offerte convergenti che la stessa Telecom Italia sta lanciando, ma è un’incognita immaginare quale sarà il modello dominante per l’utilizzo dei sistemi di telecomunicazione da parte degli Europei nel giro di qualche anno. In un mondo che tende al wireless, certo, suona bizzarro immaginare un’improvvisa riconversione al fisso: è pur vero, però, che il potenziale di cavi e fibre ottiche, trascinante negli altri continenti, nel nostro è pressoché sconosciuto. Situazione che, in Italia, dipende soprattutto dal ruolo dominante di Telecom Italia, che è comunque l’unica azienda che può permettersi investimenti importanti nel settore.

Dispiace quasi sentimentalmente, in ogni caso, per la probabile scomparsa dell’ultimo operatore mobile italiano, dopo la cessione degli altri gioielli avvenuta negli ultimi anni. Sembra molto più interessante, almeno per il Mercato (se non per Telecom Italia), la nazionalizzazione della rete fissa, al pari di quanto avvenuto con le reti che trasportano gas ed elettricità: è bello immaginare, almeno per un istante, una public company, partecipata dallo Stato, che concentri le attività di Terna, GRTN, Snam Rete Gas e rete telefonica, in modo da riuscire a creare economie di scala e di scopo, ma che soprattutto riesca ad offrire pari opportunità a tutti gli attori di mercato. A quel punto, nazionali od internazionali essi siano, poco importa: a giovarne sarà il cittadino e Telecom Italia potrà dilettarsi a vendere contenuti in un Paese in cui tutti i concorrenti vendono sempre le stesse cose.

Net Neutrality ora e sempre (anche se…)

Con una puntualità solitamente sconosciuta alle altre tematiche – tormentone della blogosfera europea (e non solo), quella della Net Neutrality coinvolge il popolo della Rete almeno una volta al mese: progressivamente tutti esprimono una propria posizione, in una sorta di confronto continuo sul futuro della Rete come veicolo di comunicazione e strumento di distribuzione di contenuti. Una sfida fondamentale allo status quo che vede in prima linea gli operatori di TLC da una parte ed il resto del mondo dall’altra.

In questa sfida “contro tutti” le grandi aziende che forniscono connettività sanno di avere il coltello dalla parte del manico: già hanno visto i loro profitti deprimersi nel corso degli anni, con l’aumentare della concorrenza e lo spostamento del traffico voce verso VoIP e telefonia mobile; ora si rendono conto che anche nel loro nuovo eldorado economico, la fornitura di banda larga, i prezzi devono essere sensibilmente abbassati, nonostante la crescita di qualità del servizio che favorisce ulteriormente l’esplosione del traffico P2P da un lato e dei contenuti Premium dall’altro; tuttavia sanno che, senza i loro cavi, la Rete stessa non esisterebbe.

L’ultimo contributo sul tema viene da Beppe Caravita, che riesce come sempre a coniugare il suo spirito utopico con la competenza economica che serve per interpretare un fenomeno così delicato che comporta non solo un forte dibattito su diritti e doveri degli utenti di Internet, ma anche grandi interessi economici. L’idea è quella di spingere l’iniziativa privata, ad esempio la condivisione delle reti wi-fi, per favorire la possibilità di connettersi anche a chi non vuole sobbarcarsi i costi imposti da content provider e TelCo. Di fatto, è un modo per renderesi conto che ormai non esiste più “una Internet”: accanto a quella tradizionale fatta di testi, e-mail ed immagini, ormai il traffico legato alla trasmissione di file multimediali e (video)telefonate VoIP impone una rilettura dell’intero impianto strutturale della Rete.

Le aziende di TLC vedono i grandi operatori del settore fare tanti soldini grazie al traffico che (s)vendono (cfr. il continuo tracciare le informazioni degli utenti da parte di Google) e gli utenti che sbraitano per livelli di servizio non adeguati: qualche tempo fa la soluzione sembrava l’IPv6, che tuttora è un affascinante progetto sulla carta. Ora, come ha notato Alessandro Longo, sono sempre più necessarie tecniche di traffic shaping, che garantiscano una qualità quantomeno sufficiente ai vari tipi di utente dei vari tipi di Rete. Il problema è che questo implica una fiducia nell'”onestà intellettuale” degli Operatori che visti gli interessi in gioco sarà sempre più difficile da immaginare in futuro.

Se la Coop sei tu, tu stai per diventare molto ricco

Riccardo Bagni, vicepresidente di Coop Italia, in una recente intervista ad ItaliaOggi ha posto l’accento sulla compatibilità ambientale come leva vincente nella strategia commerciale delle cooperative aderenti: è nota la preferenza per l’insegna leader nazionale da parte delle signore italiane, che sono tendenzialmente più attente ai valori etici trasmessi dal marchio piuttosto che alle offerte speciali che conquistano i loro mariti. La Coop non ha concorrenti in questo campo: i suoi soci sono disposti a pagare pur di avere una tessera di fidelizzazione, i suoi clienti amano acquistare i prodotti a marchio Coop, solitamente di qualità.

Accanto al business più tradizionale del commercio alimentare, tuttavia, Coop sta individuando nuovi settori competitivi in cui i margini siano più elevati: ecco perciò nascere nuove iniziative come librerie.coop, progetto che sta velocemente crescendo in Emilia Romagna e rappresenta la prima emanazione del Gruppo in termini di nuovi punti vendita specializzati. Ecco soprattutto il debutto in grande stile nel campo dei farmaceutici, con tanto di private label: un settore del tutto inesplorato dalla grande distribuzione, ma con margini potenzialmente alti.

Come se non bastasse, i giornali speculano sull’ipotesi che il primo operatore telefonico mobile virtuale italiano sia, nemmeno a dirlo, proprio Coop Italia, sull’esempio di quanto realizzato dall’omologa Svizzera in collaborazione con Orange. Uno scenario affascinante, che grazie alla forza di mercato di Coop potrebbe da un lato cambiare gli equilibri del mercato, dall’altra avviare una fase di vera concorrenza. Anche in questo caso, il fatturato potrebbe essere interessante per la Coop: non tanto per i margini, quanto per i potenziali volumi.

Ci sarebbe poco da meravigliarsi se il prossimo passo di Coop fosse, ad esempio, nella fornitura di benzina. Qualcuno ironizza sull’effervescenza della Coop in coincidenza con l’andata al potere del centrosinistra: malignità a parte, ciò che è vero (e non del tutto negativo), è la tendenza del nuovo Governo a favorire la crescita di un soggetto forte nel settore del commercio europeo. I grandi concorrenti francesi nel B2C e tedeschi nel B2B / discount stanno crescendo a passi veloci: sarà importante poter rispondere colpo su colpo in questi nuovi settori, già sperimentati con successo in Europa. Chi ne godrà, alla fine, sarà soprattutto il consumatore finale.

La Rai brancola nel Digitale

In modo nemmeno tanto inaspettato, la Commissione Europea ha analizzato il mercato italiano della TV Digitale Terrestre, accogliendo le motivazioni dell’esposto di AltroConsumo ed evidenziando una situazione di duopolio non differente da quella del mercato analogico. Di fatto, non c’è nessuna differenza sostanziale rispetto alla storica occupazione delle frequenze da parte di Mediaset e Rai: l’unica differenza è che nel digitale terrestre La 7 prova a proporre qualche offerta commerciale imitativa di quella Mediaset.

La Rai, a dire il vero, è piuttosto indietro dal punto di vista dell’offerta: sebbene ormai produca un numero indefinito di canali per le piattaforme satellitari (da quelli pseudo – Premium offerti nei bouquet di Sky a quelli di tipo educational), non ha ancora assunto una posizione chiara nei confronti del DTT. Per di più, i suoi manager ed i politici coinvolti mettono “Rai” e “digitale terrestre” solo quando si tratta di giustificare aumenti della tassa più odiata dagli italiani, il canone radiotelevisivo, per coprire gli investimenti nella copertura del territorio.

“Vorrei ma non posso”, come al solito, è lo slogan dei leader dell’Azienda: che si parli di diritti sportivi o cinematografici, non c’è speranza: ogni volta ci si arrende e si ritorna a pensare a fiction e quiz, ovviamente prodotti da parte di attori esterni. Se a La 7 fanno scioperi a causa dell’esplosione di questa tendenza all’esternalizzazione, in Rai si direbbe che non esistano più professionisti capaci di darsi da fare: persino gli autori, storici pilastri della Rai, sembrano aver gettato le armi.

Dopo la Commissione, anche il Garante per le Comunicazioni, con uno strano tempismo, cerca di tirare le orecchie agli operatori dominanti, ma poi ha il coraggio di citare H3G e L’Espresso come nuovi attori del mercato capaci di impensierirli. Pura retorica: farebbe meglio a dare un’occhiata a ciò che succede in casa dei duopolisti. Chissà se la Rai sarà mai scevra da interessi politici: in un certo senso, sarebbe comunque meglio che prevalessero quelli economici. Sarebbe persino interessante, vedere la Rai gestita da gente interessata: finalmente, sarebbe un vero protagonista di un vero mercato.

Stavolta Internet sul cellulare c’è davvero

Sembrano così lontani i tempi in cui, col solito push commerciale tipico delle aziende Tlc italiane, l’allora non ancora fortissima Omnitel lanciava con squilli di trombe i servizi Wap come mezzo per rimanere aggiornati dell’andamento delle partite di campionato della propria squadra di calcio. L’offerta standard prevedeva un ingombrante Motorola TalkAbout col quale “navigare su Internet”. Peccato che la mirabolante promessa (erano gli anni delle follie e non si poteva non farla), si estrinsecava nella possibilità di leggere una manciata di caratteri su delle pseudo-pagine facenti parte del mirabolante mondo di Omnitel 2000, costosissimo private garden poi confluito nell’altrettanto fallimentare progetto Vizzavi.

Gli altri operatori imitavano pensando di emulare le tecnologie vincenti dall’altra parte del mondo, tipo I-Mode e i suoi fratelli. C’era poco da meravigliarsi che gli italiani, pur grandi amanti del mondo mobile, non fossero rimasti rapiti dal Wap: di Internet nemmeno l’ombra, di addebiti faraonici sì. Per molti, Wap è negli scorsi diventato sinonimo di “modo di scaricare le suonerie”, grazie alla tecnica Wap Push, che di fatto consiste in un link Wap inviato via SMS. Nel frattempo, d’altronde, la banda larga all’italiana (alias l’ADSL) si è prepotentemente affermata come mezzo di accesso d’eccellenza.

In questi mesi, tuttavia, molte cose sono cambiate: oggi le aziende più smart stanno iniziando a creare siti accessibili in maniera peculiare dai dispositivi wireless (vedi Alitalia o Fineco), oppure ad ottimizzarli in chiave Xhtml. Il risultato è che oggi, grazie a software ottimi come Opera Mini ed alla velocità “accettabile” dell’UMTS, il Web è davvero always on ed è quello “vero”, senza compromessi rilevanti. Persino i servizi free più tradizionali, quelli accessibili via Wap, sono di buona qualità: basti pensare a Tuttocittà in versione Wap.

Inutile dire che gli operatori continuano a perseverare nell’immane sforzo di attrarre clienti nei propri giardini: ma anche il loro atteggiamento sta cambiando. Da un lato lanciano la TV a prezzi folli, però affiancano un’offerta semi-flat. Da una parte spingono sui portali privati, dall’altra si rendono conto di quanto tirino di più i contenuti auto-prodotti e scambiati dai clienti che quelli “ufficiali”. Probabilmente, siamo nella del mercato più ricca di possibilità per tutti: stavolta, ci siamo davvero.