Carlo Conti in sintonia col Paese

Come Fedez è stato considerato vincitore di X-Factor sedendo al banco dei giurati, Carlo Conti è sicuramente il vincitore dell’ultimo Festival di Sanremo pur essendone stato conduttore e direttore artistico. Non che sia la prima volta che accada: negli scorsi anni il livello non esattamente eccelso di molte canzoni ha fatto sì che a posteriori ricordassimo più il conduttore di quelle edizioni che i cantanti.

Eppure il caso di Carlo Conti non smette di stupire: non si tratta né di una delle mummie storiche della TV italiana che guidavano Sanremo fino a pochi anni fa, né uno dei conduttori radical-chic à la Fazio chiamati a reclutare nuovi spettatori. Il presentatore toscano è Rai Uno fatto persona, è l’uomo di decine di serate (e centinaia di pre-serali) l’anno, stavolta tirato a lustro per l’evento numero uno della rete.

Qualche mese fa, al debutto di una delle sue trasmissioni retrò, i giudizi qualitativi degli spettatori erano stati negativi: poi gli ascolti buoni, come quasi sempre gli succede. In altri casi (Tale e quale Show in primis) gli ascolti sono stati addirittura ottimi: merito probabilmente non dei piccoli scandali tipo Veronica Maya nuda, ma dell’effetto nostalgia coerente col target sempre più anziano del primo canale.

I critici televisivi hanno parlato di trionfo dell’uomo comune, di un approccio quasi populistico a scelte musicali e ospiti. I volumi impressionanti de Il Volo al televoto (solo le giurie hanno cercato di smussarlo) denotano che ormai Sanremo è un’appendice di un certo tipo di TV e cultura; persino le tante canzoni popolari-populistiche di Checco Silvestre hanno fatto fatica a raggiungere la stessa penetrazione.

Già negli scorsi anni si scriveva di Sanremo come specchio del Paese reale: quest’anno c’è stata piena sintonia tra voglia di rinascita economica e canzonette, tra governo toscano in carica e comici invitati. Certo, sono mancati guizzi di originalità o canzoni davvero indimenticabili: ma pochi sembrano essersene preoccupati, visti gli ascolti notevoli e gli osanna tributati da ogni dove al conduttore ovattato.

Branded entertainment e native advertising

A proposito di “televendite glamour” qualche mese fa, si scriveva

gli show prodotti non lasciano spazio a misunderstanding sulla vera natura della comunicazione televisiva, al contrario del tanto branded entertainment che si legge sui palinsesti. Ma su questo si tornerà un’altra volta, perché merita

e questo momento è arrivato, visto che nel frattempo sugli schermi italiani son passati programmi terribili, descritti dalla critica come segue

Scanditela in coro, questa amabile verità: aprite bene i polmoni, avvicinate il miglior megafono, e certificate che “Hotel cercasi” (ogni giovedì alle 22.30) è solo e soltanto una telepromozione degli hotel Best Western. Aggiungendo, già che ci siete, che tutto il resto è noia califfiana, suppellettile, orpello (in)giustificativo della più somma marchettitudine.

Non che sia stato l’unico caso imbarazzante passato in Italia; reti come La5, DeejayTV e la stessa RealTime, che pure in passato ha prodotto contenuti interessanti, ormai riconducono tutte le nuove produzioni a iniziative promozionali. E se alcune un po’ si salvano grazie alla forza dei protagonisti (cfr. il Jack on Tour sostenuto da un manipolo di rocker opportunamente alcolizzati), altri come Bye Bye Cinderella fanno passare la voglia di masticare una Daygum per tutta la vita.

Ma la sensazione di fastidio per i contenuti editoriali prodotti a quattro mani tra editori e investitori esplode nella parola scritta, ove i casi di native advertising lasciano qualche dubbio a chi purtroppo pur riconoscendo la drammatica crisi dell’economia, difficilmente vede gli advertorials come via di uscita:

If brands are so confident about the quality of their “content,” why don’t they proudly slap their name on it instead of camouflaging it to look like third-party mediated editorial?

C’è chi ostenta la qualità dei propri prodotti ibridi e chi se ne vergogna, così l’articolo di Michael Sebastian su AdAge sul tema fa sorridere accostando i baldanzosi siti di moda che svendono le proprie editor e Conde Nast che rifiuta sdegnatamente il modello produttivo e poi si lancia in “casuali” iniziative di presentazione dei propri contenuti nello stile degli investitori pubblicitari. In questo forse le TV commerciali sono più chiare, visto che è più evidente che la sopravvivenza deriva dalla pubblicità.

Se il filo conduttore di branded entertainment e native advertising è il tentativo di manipolare l’utente finale, non è difficile immaginare che il crescente profilo smaliziato di spettatori e lettori garantirà una condanna sicura a chi cercherà di prenderlo in giro. Come diceva Luca Sofri parlando del passaggio da pubbliredazionali a native advertising, è un peccato che Internet non abbia creato innovazione nei formati pubblicitari, pur se come la TV commerciale campa solo di investimenti pubblicitari.

Il successo delle televendite glamour

L’ultima notizia in ambito home shopping televisivo è che HSE24 ha deciso di portare da 6 a 9 le ore di diretta quotidiane. Chiunque abbia una vaga idea dei costi di gestione di una diretta televisiva sa che lo sforzo è importante per una rete che opera su un canale a due cifre del digitale terrestre; eppure i numeri importanti di ascolto (si parla di 300.000 clienti affiatati) giustificano l’investimento.

Lo scorso anno si erano susseguite notizie simili sull’espansione di tutti i principali canali specializzati, anche in termini di approccio industriale al mercato italiano (leggi il mega-polo logistico di Qvc inaugurato lo scorso autunno in Emilia Romagna), con numeri davvero rilevanti, che testimoniano il successo anche in Italia di un modello su cui ormai si lavora da qualche anno, con qualche ricaduta multicanale.

Il successo di questi canali, dal punto di vista editoriale, è probabilmente da rintracciare nel tentativo di offrire una qualche forma di intrattenimento, ben lontano dalle terribili televendite straniere doppiate fuori sincrono e dai numeri del lotto che pure tengono in piedi diversi canali televisivi locali, funzionando sulle nicchie grazie ai meccanismi di spinta commerciale di cui parlava Gianluca Diegoli in un suo bel post.

È comunque un bene che ci siano player televisivi diversi dai soliti Rai, Mediaset, Sky, Discovery, specie nel bistrattato day time. In fin dei conti almeno la loro missione aziendale è chiara e gli show prodotti non lasciano spazio a misunderstanding sulla vera natura della comunicazione televisiva, al contrario del tanto branded entertainment che si legge sui palinsesti. Ma su questo si tornerà un’altra volta, perché merita.

Binge viewing

Chi non ha mai provato la sensazione di aver visto un bellissimo film ed essere poi rimasti insofferenti dall’uscita forzata da quel micromondo, da quell’insieme di personaggi che ci hanno talmente coinvolto dal renderci indispensabile correre su Google e cercare più informazioni possibili sulla storia, sulle ambientazioni, sul cast?

Chi non ha mai visto un episodio di una serie televisiva ed è rimasto con l’acquolina in bocca per sapere quali saranno gli sviluppi del plot? Senza cadere nella trappola degli spoiler, ma proprio con la volontà di rituffarsi subito nello sviluppo orizzontale o scoprire nuove avventure in quello verticale, magari non la settimana dopo?

Quanti di noi da ragazzini si divertivano a leggere due-tre albi di fumetti tutti in una volta, impiegando ore per vedere le avventure dell’eroe preferito svilupparsi di pagina in pagina? O un po’ più cresciuti si sono dedicati a maratone a base di Signore degli anelli, I love shopping, Harry Potter a seconda di gusti, età e interessi?

Il binge viewing tanto di moda oggi è la risposta a tutte le domande. Non è difficile ritrovarsi volutamente a mettere da parte intere stagioni di serie televisive e poi dedicare maratone, soprattutto nei weekend, per vederle tutte di filato, come vere e proprie immersioni profonde in mondi paralleli, di natura comedy o drama.

Sembra che anche i produttori stiano iniziando a ragionare su questo fenomeno e così non sorprende tanto la notizia che House of Cards, la nuova serie con Kevin Spacey prodotta da Netflix, sia stata rilasciata al giorno uno in tutti i 13 episodi: le aspettative sono alte e il modello funzionerà sulle stagioni successive, per i veri drogati.

Meglio le Iene che Pomì

Questo è un post di esplicito appoggio alla campagna che le Iene hanno condotto contro l’occultamento, fisico e intellettuale, dei rifiuti tossici nella tanto vituperata terra dei fuochi. La situazione è talmente grave da meritare approfondimenti da parte di tutti gli organi competenti e una presa di coscienza forte da parte di chi quelle terre le abita, in buona o fede o a valle di speculazioni edilizie di possibile impronta criminale, cosciente del pericolo o meno.

Questo non è ovviamente un post contro i Campani, anzi. In Italia tutto viene ridotto a una sorta di derby calcistico per cui anche chi dice il vero, come sembrano fare gli inviati del programma di Italia1, viene additato come “nemico” e portatore di oscuri interessi terzi. Come si è già notato a proposito del caso Barilla, quando c’è il cibo in mezzo poi il sangue arriva alla testa di molti, soprattutto quando è evidente la dimensione “territoriale” dello scontro.

Questo è un post col ciglio alzato nei confronti di Pomì, che ha gestito malissimo la comunicazione a valle del fattaccio. Tentando di tirarsi fuori dalla mischia, ha posizionato il proprio marchio come strettamente legato all’agricoltura del Nord Italia, che pur essendo rigogliosa e si spera in crescita, non brilla certo per sostenibilità ambientale. Ai tempi dell’appartenenza al gruppo Parmalat il marchio non avrebbe mai commesso un errore così grave.

Questo non è un post contro le campagne pubblicitarie degli inviati de Le Iene, che sostengono di essere costretti a sostenere marchi di largo consumo pur di pagarsi gli avvocati alle calcagna per i tanti servizi scottanti. Si vuole solo annotare che però ogni spot in più, ogni campagna in cui uno o più membri del cast appare sorridente, toglie un po’ di credibilità al programma, che in fin dei conti è uno dei pochi esempi di servizio pubblico televisivo.

Cinema e fiction in TV

Non è stato esattamente un successone il ciclo TuttoDante su Rai2; a causa della sua trasmissione la rete pubblica si è fatta superare persino da Iris. Il che rappresenta un demerito per Roberto Benigni, ma anche un plauso per la rete Mediaset. Evidentemente gli Italiani non sono poi così allergici al cinema in TV come i palinsesti dei canali maggiori sembrano sottintendere da diversi lustri a questa parte; né hanno voglia di vedere solo repliche di Sissi durante il “blackout” estivo.

Certo si dirà che i numeri delle pellicole cinematografiche in TV sono comunque marginali rispetto a quelli delle fiction popolari, la cui forza consiste nel fotografare la realtà quotidiana; ma il cinema in TV è anche esercizio culturale, non solo puro intrattenimento. Dovrebbe capirlo e valorizzarlo l’apposito Ministero, ma al contrario nel settore si parla di possibili tagli al credito d’imposta che a livello nazionale ha sostenuto la maggior parte delle produzioni, con qualche zampino delle TV.

Tra tutte in questi anni si è affermata Sky, che spesso ha preso il ruolo un tempo della Rai di mecenate del cinema d’autore; qualche mese fa i top manager italiani dell’azienda di Murdoch avevano invitato i produttori anche a investire su fiction di qualità, per le quali il confine con le pellicole cinematografiche fosse più sfumato. Rai e Mediaset invece continuano per la loro strada fatta di produzioni spesso mediocri, incentrate più sullo strappare lacrime che sul distinguersi per l’eccellenza.

La necessità di tagliare budget su budget sta peraltro ulteriormente falcidiando il settore; quindi aspettiamoci che l’invasione di pellicole tedesche melense in televisione possa crescere a dismisura, insieme alle repliche delle fiction di maggior successo degli ultimi anni. D’altra parte i Manager penseranno che per gli appassionati di cinema bastano e avanzano i ghetti di Rai Movie e delle sue sorelle private; sulle reti principali solo qualche varietà e soprattutto tanta fuffa. E non solo d’estate.

Carosello re-re-re-reloaded

L’ormai cinquantennale nostalgia collettiva per Carosello non viene coltivata solo nelle edicole con le iniziative dei maggiori quotidiani (qualche anno fa La Repubblica, nel 2013 Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport); ogni tanto Rai e Sipra (ops, Rai Pubblicità) ripropongono su Rai1 un programma con lo stesso nome dell’originale.

Di solito i tentativi avevano visto tranvate in termini di ascolto; ma Carosello Reloaded sembra avere successo tra il pubblico: i numeri delle varie puntate sono stati piuttosto alti, anche se sorge il dubbio che siano derivati più che altro dai contenuti in cui sono stati framezzati, dall’access prime time all’immarcescibile saga di Montalbano.

I critici sono andati giù pesanti, a buona ragione: creatività modesta, qualche spot già visto in altri contesti riproposto o al massimo stiracchiato, senza storytelling orizzontale tra una puntata e l’altra. Giusto qualche timido accenno positivo all’ENI, che ha provato a presentare delle storielle animate, pur non particolarmente animate.

Tra gli investitori pubblicitari già si parla di un possibile ritorno in autunno, anche se sono veramente pochi i player disposti a investire su questo formato, che alla fine è uno spottone allungato, al massimo riproposto anche al cinema. La tanto acclamata interazione col second screen non si è vista affatto, c’è ancora tanto lavoro da fare.

Qual è il futuro di MTV Italia?

Alcuni dei più noti programmi in onda nel 2013 su MTV ItaliaDopo anni effervescenti, il valzer intorno a Telecom Italia Media sembra essere arrivato alla fine: nelle scorse ore Umberto Cairo ha tranquillizzato gli azionisti sull’imminente finalizzazione dell’acquisizione di La7 grazie al via libera dell’Antitrust. Anche i più sospettosi dovrebbero essersi l’anima in pace sull’effettiva svolta dopo mesi di trattative. Rimane però in pancia alla società la partecipazione del 51% di MTV Italia, la joint venture con MTV Networks Europe che gestisce l’omonima rete e una serie di canali secondari in ambito musicale e kids. E allora ecco il via a una nuova girandola di voci, finalizzate forse a convincere Viacom ad andare oltre il suo 49% acquisendone la totalità.

La più forte è stata la dichiarazione del presidente di Telecom Italia Media, Severino Salvemini, a margine dell’assemblea degli azionisti: riferendosi in particolare a MTV, ha detto che, per renderla più attraente verso nuovi soci, «La tv verrà asciugata nella parte musicale e verrà resa più generalista». I fan hanno tremato: ancora meno musica di così? Di fatto non passano più videoclip sul canale 8 del digitale terrestre: tante produzioni originali come Ginnaste, Mario, La prova dell’otto, Calciatori; tanti programmi terribili importati dagli Stati Uniti, come Jersey Shore o i vari drammi sulle adolescenti incinta; un po’ di serie di culto come Scrubs, New Girl, Modern Family. Ma niente musica.

La direttrice Antonella di Lazzaro difende da tempo la sua impostazione sempre più generalista, facendosi scudo di programmi come Il testimone che obiettivamente in anni poveri di creatività come questi costituiscono prodotti televisivi di qualità e impegno civile. Ciò non toglie però che MTV abbia completamente smarrito la sua vocazione originale, lasciando spazio aperto a possibili concorrenti che, nello spezzatino dei nuovi canali digitali/satellitari potrebbero recuperare le nicchie tempo per tempo abbandonate. La despecializzazione potrebbe anche piacere a Viacom, che ha lasciato per strada la musica anche in altri Paesi; ma gli spettatori giovani cambiano rapidamente gusti e se il nuovo proprietario statunitense toglierà dal palinsesto anche le chicche di produzione italiana, chi rimarrà a guardare MTV?

Illimitatamente Elio e le storie tese

Sorvoliamo sul fatto che quaggiù si fosse parlato di un collegamento tra politica e Sanremo già negli scorsi anni, in occasione della rivolta degli orchestrali o della stralunata edizione dello scorso anno; il risultato delle elezioni politiche di quest’anno ha non solo confermato la solita tendenza populistica degli italiani, ma anche il solito amore per il male minore.

Come è avvenuto praticamente sempre negli ultimi anni, anche quest’anno sul podio sono arrivati personaggi imbarazzanti (stavolta era il turno dei Modà) e ancora una volta abbiamo tirato un sospiro di sollievo per la vittoria di un meno peggio (Mengoni). La novità rispetto agli altri anni era la presenza tra i finalisti di Elio e le Storie tese, ancora condannati all’argento.

Non che le loro canzoni sanremesi fossero un capolavoro: alcuni tra noi fans siamo rimasti un po’ perplessi sebbene non sia mancato il prevedibile apprezzamento degli orchestrali e di parte del pubblico. Qualcuno ha ironizzato sul fatto che percentualmente il risultato di Elio sia sembrato quello del Centrosinistra alle elezioni politiche ed effettivamente il target è simile.

Il loro vero successo sul grande pubblico è stato il jingle dello spot Vodafone. Il pinguino Pino spopola tra ragazzini e adulti grazie alle sue strofe surreali e agli arrangiamenti efficaci. È un corto circuito mediatico/culturale lontano anni luce dalla vittoria di Vecchioni o da L’Italia dei cachi: è il genio musicale prestato alla pubblicità e dimenticato sul palco di Sanremo.

Berlusconi continua a dominare la comunicazione politica

La mappa è un'elaborazione di YouTrend.it

Confrontando questa mappa dei risultati in ogni comune con quella delle elezioni politiche precedenti, c’è qualche macchia gialla in più (Movimento 5 Stelle), i comuni rossi rimangono quelli di sempre tra Emilia Romagna e Toscana, ma per il resto c’è ancora tanto blu. Un po’ meno di quando in quella primavera 2008 pre-crisi vinse Berlusconi a man bassa, ma non è che il sentiment popolare sia poi cambiato tanto. Quel sentiment che molti di noi faticano seriamente a capire.

Potrebbe semplicemente dipendere dal fatto che ignoriamo cosa in questi mesi è avvenuto per strada, nei negozi, nei mercati, in televisione. Mentre in Rete da un lato ci si confrontava da mesi sul destino del Partito Democratico definendo con le primarie chi avrebbe avuto dovuto godere del “sicuro” posto da Premier e dall’altro si scaldavano i motori del partito di Grillo, dieci milioni di persone maturavano (o confermavano) la decisione di votare per il Centrodestra.

Durante la campagna elettorale il risultato di anni di populismo televisivo in stile Paolo Del Debbio si traducevano in folle-ululanti-daje-al-comunista ai comizi di Berlusconi, in piazze piene per gli eventi di Grillo, in raccolte di firme per sostenere la presentazione di decine di liste. Poi la proposta di abolire l’IMU ha orientato molti voti come avvenne con l’ICI. Sarebbe bastato guardare una puntata di Pomeriggio 5 per capire come mai l’ex Premier non ha centrato per poco il colpaccio.

Prendiamo quella del giorno dopo le Elezioni: c’è il servizio odi et amo su Maradona, ci sono la storia del barbone aiutato dal programma e quella delle starlette dei reality oggi in crisi economica, c’è il momento-nostalgia con Mal e c’è soprattutto lo spazio politico, con il voyeurismo sulla casa di Grillo, la Santanché che spopola in studio, i candidati di secondo piano dei partiti del Centrosinistra che ricevono fischi e insulti. Comunicazione politica allo stato puro.