Ricerca scientifica, knowledge aziendale e notiziole

Capita, in un Paese in cui la liberalizzazione del mercato elettrico fa abolire le cravatte, che sia possibile discutere con manager illuminati (appunto) a proposito dell’impatto delle tanto amate tecnologie Web 2.0 rispetto alla condivisione della conoscenza aziendale. Succede anche, per coincidenza, di parlarne con esponenti della maltratta comunità della Ricerca scientifica italiana: anche qui, apertura ed interesse. Poi, però, si cerca di tirare delle conclusioni e viene fuori che tutti trovano decisamente difficile assumere una posizione netta in merito a questi fenomeni: i mondi accademico ed aziendale hanno preoccupazioni simili, ma finalità spesso diverse. E l’utilizzo degli strumenti di interazione in Rete sottolineano questa complessità di vedute.

Non è infatti possibile sintetizzare un approcccio “buono per tutti”: non è vero che qualsiasi strumento supporti correttamente tutti gli utilizzatori allo stesso modo. Sarà anche interessante seguire i tentativi di tenere lezioni via Second Life, ma questo non vuol dire che lo stesso strumento possa essere esportato ex abrupto nel mondo del business; potrà anche essere apprezzabile notare gli sforzi delle aziende nel cercare di intervenire nei dibattiti della blogosfera, ma non si possono biasimare i ricercatori scientifici che nutrono qualche timore nel condividere le proprie scoperte sulla Rete.

Una vignetta tratta dal tumblelog cos'(e')

I siti che permetterebbero di farlo, tra l’altro, ci sono già: Nature Precedings è il sistema che sta attirando più attenzione.  La perplessità di molti riguarda la proprietà intellettuale degli studi pubblicati: da un lato, la licenza Creative Commons, applicata a documenti così rilevanti, fa sorgere sempre qualche paura sulla contendibilità delle informazioni e sulle tentazioni dell’editore; dall’altro, la solita giungla del mondo scientifico fa sì che si corrano seri rischi di non-attribuzione e finte paternità furbette di opere brillanti. Da notare come problemi simili, portati in ambito aziendale, esplodano drammaticamente: nel momento in cui ad ogni “idea” corrispondono potenziali business, le aziende si guardano bene dal provare anche solo a condividere gli insight in questione.

I singoli dipendenti, così come i ricercatori, portano avanti la propria vita virtuale su piattaforme esterne a quella dell’organizzazione di appartenenza: raccontano la vita quotidiana, illustrano (poco) le attività quotidiane sul posto di lavoro, riflettono sulle disparità di trattamento, magari commentano le notizie del giorno. E la criticità maggiore, in un mondo che della conoscenza fa la principale moneta di scambio,  diventa proprio questa ritrosia nel comunicare idee attraverso strumenti condivisi ed “ufficiali”: si finisce, inevitabilmente, a commentare più i fattarelli della blogosfera che a condividere informazioni nuove. In fin dei conti solo le attività di social networking sembrano funzionare bene in ambito professionale: per quanto riguarda i contenuti, le notiziole dei quotidiani la fanno da padrone.

Informazioni sparse in posti inaspettati in momenti improbabili

La storia del blogging secondo Mashable.comSi era già meditato, qualche settimana fa, sul fatto che strumenti come Twitter e Tumblelog riassumano passato remoto e futuro prossimo del blogging. Le ampie possibilità di alimentazione (Web, SMS, Wap, Instant messenger e così via) da un lato ed il minor “impegno” necessario per aggiornare questo tipo di strumenti rispetto ai blog più tradizionali o alle piattaforme multimediali, fanno sì che sia facile immaginare nuove mirabolanti spazi di crescita. Molto apprezzabile, in tal senso, la presentazione di Jyri Engeström sull’evoluzione di Jaiku e dei suoi fratelli.

Persino aziende come Apple (più formale) o Technorati (più sbracati), utilizzano Twitter come strumento per comunicare informazioni e notizie utili ai propri clienti. La febbre, ormai, è esplosa anche in Italia. Ciò fa sì che si stia riproducendo anche nei nostri lidi quanto già visto all’estero: informazioni interessanti che prima venivano pubblicate nei blog ora vengono disseminate nei “pensierini” pubblicati come “status”, a qualsiasi ora, da cinguettatori italiani di varia natura. Qualche esempio?

Riflessioni

«Pensa che in italia i nuovi media hanno più esperti che utenti» [10 giugno 2007, 10.49, da Gianluca Diegoli]

«dopo attenta analisi, posso dividere i twitterers in “emuli di confuso” e “neo-omosessuali”. almeno col blog qualcuna da limonare si trovava» [20 giugno, 13.14, da Sapo]

«si discute delle metriche per il web 2.0, page view is dead, what’s next? nobody’s knows.» [4 giugno 2007, 16.23, da Mafe]

«gli verrebbe da dire che la stagione dei convegni 2.0 ha un po’ rotto l’anima» [15 giugno 2007, 23.12, da Massimo Mantellini]

Citazioni

«”Il vero spettacolo di qs mondo è la gente e per di più non si paga il biglietto” (Bukowsky)» [17 maggio 2007, 23.32, da Lele Dainesi]

«”Internet is good because mankind is good” Esther Dyson, verbatim» [5 giugno 2007, 11.56, da Vanz]

Segnalazioni di propri contributi

«My two cents about feeds and spam: http://www.kurai.eu/262/feed-feed-feed/» [12 giugno 2007, 11.12, da Federico Fasce]

«Lo segnalerei sul blog, ma è morto: “Da Gutemberg ad aNobii“» [14 giugno 2007, 11.37, da Giuseppe Granieri]

«pubblica la sua wish list dei 35 anni http://www.wishlistr.com/axell» [13 giugno 2007, 12.09, da Axell]

Links

«http://tv-links.co.uk/ è una figata pazzesca» [19 giugno 2007, 22.16, da Gaspar Torriero]

«partecipate al prossimo BarCamp: http://www.barcamp.org/CampSant» [14 giugno 2007, 12.45, Andrea Beggi]

«http://www.teenager.somedia.it serviva davvero?» [11 giugno 2007, 16.24, da dottorgioia]

Notizie

«Ikea aprirà 21 pdv in Italia in sette anni» [12 giugno 2007, 21.36, da Alberico Tremigliozzi]

E alla fine vinse il Web 1.5

Quando l’hype sul Web (presunto) 2.0 ha iniziato a montare, molti in Europa si illudevano che questa nuova ondata di entusiasmo ed opportunità avrebbe potuto vedere il vecchio continente tra i protagonisti. Sogno realistico: markettari, sviluppatori e manager europei non sono meno “creativi” di quelli di Oltreoceano. Lo scoppio della grande bolla aveva già mietuto vittime illustri: chi non ricorda belle favole come quella di Tiscali? Un tempo il Gruppo era presente in decine di paesi, ora è limitato a pochissime realtà, a causa delle vendite che si sono rese necessarie per sostenere i debiti contratti nei tempi (anch’essi presunti) d’oro.

Il fantasmagorico mondo del Web 2.0 sembrava inizialmente connotato da un diffuso uso del crowdsourcing: un ottimo modo per abbattere la necessità di impiegare decine di persone anche solo per lo startup. La rivincita del garage: una bella idea, un team di sviluppatori ambiziosi, una connessione capiente. Poi ci si è resi conto che la connessione, visto il tipo di applicazioni (spesso audio, video, foto), doveva essere ben più che capiente; allo stesso modo si è capito che la capacità dei server che ospita le ambiziose applicazioni di nuova generazione dovesse essere misurato in Terabyte (e non solo di spazio su disco). Ciò che non si è speso in risorse umane, insomma, si è iniziato a spenderlo in tecnologia.

Era evidente che i grandi player internazionali, quelli nati o rinati dalle ceneri della prima bolla e progressivamente affermatisi come leader della nuova ondata, si facessero avanti con poderose stampelle: Google è il caso più evidente, ma è solo la base dell’iceberg. Pochi sono sopravvissuti alla prima bolla così com’erano; molti sono i soggetti che si sono evoluti (vedi Yahoo!) e molti sono gli attori nati nell’interludio che hanno creato le basi per la nuova ondata di start-up ed ora come tanti Conti Ugolino divorano queste creature che tanto hanno dato al buzz intorno al Web 2.0. Come dire, il Web 1.5, quello nato post-bolla, sta ormai inglobando le vere punte di diamante di ciò che è innovativo e vincente sul mercato.

Cosa resterà, una volta finito il processo di consolidamento ed esplosa la bolla 2.0? Ad esempio, tanto per riprendere il link proposto ieri da dot-coma, la gioia e la sorpresa di leggere il blog di Marc Andreessen (sì, proprio QUEL Marc Andreessen) che si presenta come un navigatore qualsiasi… Oppure piccole chicche come il Brilliant Button Maker di Luca Zappa, un programmatore di Reply che con la sua idea, in pochi mesi, ha regalato oltre 4 milioni di immaginette ai suoi utenti. Tutto ciò che di bello vi viene in mente e che abitualmente collegate all’idea di Web 2.0, invece, presto finirà nelle mani di aziende più grosse e bisognose di innovazione: d’altra parte molti progetti sono ancora in Beta, si troveranno bene nel mondo dei perpetual beta di Google e soci.

Anche i blogger leggono (e molto)

Qualche anno fa, durante uno dei mille incontri che fanno da cornice e sostanza della Fiera del Libro di Torino, un relatore sostenne che i blogger fossero “una cozzaglia di aspiranti gionalisti e mancati scrittori”. Visto l’esiguo numero di bloggari presenti in Italia in quel momento, nessuno volle ribattere: sorgeva il dubbio che in quel momento storico avesse persino ragione. Ora che invece i blog in lingua italiana sono centinaia di migliaia, sarebbe possibile controbattere: accanto alla suddetta cozzaglia c’è anche una grossa parte di autori “normali”, che utilizzano questo mezzo d’espressione, al pari di altri offerti dall’avanzamento tecnologico, con la semplicità un tempo riscontrabile solo nella posta elettronica.

Ciò che accomuna questa maggioranza e la “cozzaglia” è un’evidente affinità con la parola scritta: mantenere vivo un blog implica non solo un discreto numero di ore necessarie per garantire l’aggiornamento costante, ma anche una capacità di scrittura che renda l’aggiornamento stesso un piacere, non una via crucis. Tale capacità, va da sé, era quella che le professoresse di Lettere del Liceo ti invitavano a sviluppare leggendo, leggendo, leggendo. L’approccio era sensato: chi ha mantenuto quella passione nonostante il limitato tempo derivante dai troppi impegni lavorativi (sigh), sicuramente oggi ha una marcia in più anche nello scrivere con passione sul proprio blog sui quattrosaltinpadella o sull’anticoegittodeifaraoni.

Per la proprietà transitiva, se mantenere vivo un blog implica amare scrivere e ciò implica amare leggere, i blogger ameranno alla follia aNobii, il social network di origine giapponese che, grazie alla sponsorship illuminata di Giuseppe Granieri, ha permesso di dimostrare che i bibliofili italiani che vagano in Rete sono tanti e fieri di esserlo. La comunità internazionale cresce di giorno in giorno e quella europea sembra essere in forte ascesa: i filtri geografici applicabili in diverse zone del sito permettono d’altronde di calibrare i risultati delle proprie ricerche anche al fine di confrontarsi con altre culture ed altri interessi, magari distanti dai propri.

Il logo del Gruppo 'Comunicazione' su aNobii

Pur con tutti i problemi tecnici e concettuali ancora presenti, aNobii cresce ad una velocità incredibile: in una sola settimana sono stati aggiunti circa 100.000 libri, anche grazie agli sforzi della comunità di iscritti, che segnala gli eventuali libri non ancora censiti. Cresce allo stesso modo la coesione sociale, attraverso la nascita di Gruppi di interesse, che accomunano appassionati ed esperti di discipline specifiche, movimenti letterari, stili di scrittura. Giusto per non farsi mancare niente, è stato creato un Gruppo chiamato “Comunicazione”, con la finalità di condividere letture interessanti attinenti le discipline e le esperienze che attengono a questo campo. Tutti gli amici ed i lettori di .commEurope sono caldamente invitati a partecipare: l’ingresso è gratuito e non c’è nemmeno la consumazione obbligatoria…

Il fascino delle diciottenni ed il volano del Web

La famosa foto di Allison StokkeQuesta a sinistra è una delle foto che negli ultimi mesi ha avuto maggiore diffusione sulla Rete: ritrae Allison Stokke, studentessa diciottenne e campionessa giovanile di salto con l’asta, da oggi famosa in tutto il mondo grazie ad un articolo del Washington Post, prontamente ripreso da tutti i maggiori quotidiani europei, compreso l’italiano Corriere della Sera e lo spagnolo El Pais. Un tam tam che sta crescendo in queste ore in tutto il mondo attraversando blog ed altri spazi di condivisione multimediale: un video della giovane atleta furoreggia su YouTube ed il suo profilo su MySpace contiene ormai un numero improbabile di commenti, la maggior parte dei quali smaccatamente scritti da ragazzotti in calore, eccitati per le caratteristiche fisiche della tonica ragazzina.

Si tratta, però, dell’ultima ondata di un fenomeno che in Rete va avanti da mesi e che vede nel suo sito non ufficiale la punta di un movimento sicuramente favorevole nei suoi confronti, ma dalle caratteristiche opprimenti: per una teenager, un conto è ricevere le battutine spinte dei propri compagni liceali, dall’altro diventare icona sexy di migliaia di persone in tutto il mondo, nonostante non si sia fatto nulla per raggiungere questo obiettivo. Nessun filmino osé, nessuna foto erotica, un look tutto sommato nemmeno molto provocante: eppure i navigatori, da quelli statunitensi a quelli europei passando persino dai sudafricani, si sprecano nel descrivere cosa desidererebbero fare alla studentessa, appena maggiorenne.

Non è questo il luogo per esprimere un giudizio etico su tali desideri, ovviamente. Ciò che colpisce, ancora una volta, è il flusso mediatico come volano delle ascese (e delle cadute) di personaggi celebri, grazie ad un mix micidiale di Rete e media tradizionali. Ha correttamente notato Chad Goodman nelle scorse ore: la Rete è stracolma di riferimenti a Allison Stokke, ma milioni di persone, navigatori compresi, ne ignoravano del tutto l’esistenza; ora, grazie ad un articolo su un quotidiano prestigioso ed al relativo rimbalzo tra le maggiori testate del Mondo, tutti noi impariamo a conoscere questa ennesima figura che grazie al Web è “nata dal basso” ed è evidentemente destinata a futuri successi di pubblico e critica. Nascita dal basso che, nota Goodman, potrebbe essere più legata ai media mainstream di quanto si pensi: persino la pubblicazione iniziale della famigerata foto sarebbe successiva a quella avvenuta su un quotidiano locale.

Succedeva, lentamente, prima del Web: si creavano miti, si svolgevano riti, ma non c’erano i siti. Ora i tipi (e soprattutto le tipe) da copertina hanno una gestazione più veloce e soprattutto vengono da campi diversi: il pubblico desiderio non è più quello legato a cinema e spettacolo in genere, ma anche a personaggi dello sport, della cronaca, persino della politica. La Rete crea il substrato, omogeneizza le informazioni disponibili e le moltiplica; i media tradizionali prendono gli spunti, li pianificano e li mettono in circolazione. L’effetto volano del Web a quel punto fa il resto, contribuendo ad aumentare la notorietà e l'”appetibilità” del soggetto in questione. Non è difficile immaginare orde di markettari attratti dall’idea di mettere le zampe su questo magnifico flusso di pubblicità gratuita: attenzione, però, alla forza di attrito legata alla velocità del flusso. Le zampe, è facile bruciarsele.

Spotanatomy è il migliore Junior Marketing Blog del 2007

Il tabellone finale dei Marketing Blog Playoffs 2007Quando ad inizio aprile i Marketing blog Playoffs 2007 erano stati lanciati, l’idea sembrava innovativa, ma soprattutto divertente: un passatempo per i lettori, una sfida per i giurati, un tentativo di farsi notare da parte di quasi una quarantina di blogger. Col tempo, però, in oltre un mese e mezzo di selezioni progressive, il gioco è diventato serio ed impegnativo: mano a mano che le votazioni progredivano, i blogger si impegnavano nel mantenere i propri blog aggiornati ed interessanti; i giurati, invece, sudavano e basta. Scelte difficili, una dopo l’altra: in fin dei conti, i blog di qualità erano tanti e meritevoli di attenzione anche da parte dei non “addetti ai lavori”. Oggi, finalmente, la classifica finale:

  1. Spotanatomy,
  2. doubleBBlog,
  3. MarketingArena.

Un bel podio, senza dubbio, che riassume un po’ tutte le tipologie di blog partecipanti: Spotanatomy è un blog collettivo edito da professionisti, doubleBBlog è un blog individuale di un pubblicitario, MarketingArena è opera di un gruppo di brillanti studenti. Combinando queste caratteristiche, si può ricostruire l’insieme della realtà degli Junior Marketing Blog partecipanti alla competizione: “junior” solo nell’anzianità in Rete, ma per la maggior parte decisamente maturi nella qualità degli interventi. Blog che vengono tenuti aggiornati con particolare attenzione qualitativa e con un saggio dosaggio delle quantità: il record assoluto, comunque, è nelle mani di Spotanatomy, il cui ritmo di aggiornamento è decisamente elevato, anche rispetto a blog non specialistici come quelli che hanno partecipato ai Marketing blog Playoffs 2007. Merito della vittoria, forse, va anche a questa caratteristica.

Speriamo che nel futuro questa piccola grande comunità di interessi possa consolidarsi e dare il via ad altre iniziative affascinanti come questa: il ringraziamento per averla ideata e l’invito a tirare fuori altre meraviglie dal suo cappello vanno a Gianluca, che di questa comunità mostra di essere sempre il fulcro e l’ispiratore. Non poteva che essere sua anche l’idea del bell’incontro di domani, il MKTG Barbecuecamp, che si terrà nella campagna lombarda: un incontro di markettari e consulenti un po’ folli, ma innamorati del mondo della comunicazione. Niente PC, niente wi-fi e niente protagonismi tipici dei BarCamp italici: finalmente, un incontro tra amici appassionati e non sovraeccitati.

Il Sole 24 Ore alle grandi manovre

Gira ormai da qualche giorno la notizia che Il Sole 24 Ore, tra un progetto di quotazione in Borsa e qualche altra iniziativa editoriale fuori dal core business (vengono in mente i prodotti “turistici” degli ultimi tempi), intenda anche imbastire una faraonica piattaforma di “blog d’autore”, con una previsione iniziale di 100 blog specialistici. C’è chi nota che il numero sia un po’ alto, chi si candida come autore e chi indice concorsi per definire i possibili dettagli dell’operazione: com’era prevedibile, la notizia non poteva passare inosservata per una questione di quantità prevista e di qualità attesa. Qualità, in particolare, che dev’essere veramente alta: il quotidiano non può rovinare la propria immagine per qualche “pensirerino” poco consono.

L’iniziativa, d’altronde, avrebbe sicuramente il vantaggio di avvicinare alle iniziative dell’editore un pubblico più eterogeneo; tuttavia, non è difficile immaginare che i primi lettori arriveranno direttamente dalle pagine del quotidiano e saranno lettori tradizionali: liberi professionisti, professional aziendali ed altri membri del variegato mondo aziendale e finanziario. Dal punto di vista editoriale, l’idea non suona affatto malvagia: i blog di un consulente del lavoro o di un fiscalista appariranno irrimediabilmente noiosi per il pubblico tecnofilo di Nòva, ma potranno attrarre verso le mirabolanti spiagge del Web 2.0 anche gente che, in azienda, naviga decisamente poco.

Sarebbe carino, però, capire il business model dell’iniziativa: se di blog veramente specialistici e di qualità si tratta, perché non prevedere forme di abbonamento ai contenuti? La proposta appare provocatoria rispetto alla filosofia in voga in questi anni, ma potrebbe segnare un punto a favore della sostenibilità del piano: se si tratta di far spendere tempo a preziosi professionisti del diritto o della finanza, è bene che gli stessi vengano retribuiti, magari in funzione delle sottoscrizioni del singolo blog. Non si vorrà, si spera, seguire la logica un po’ ridicolizzante di alcuni circuiti di nanopublishing: concedere agli autori una microparte dei microricavi derivanti dalle microinserzioni pubblicitarie dell’AdSense di turno.

Non si tratta, si badi bene, di rendere quella del blogger una professione: al contrario, si tratta di fare entrare le professioni nel mondo delle opinioni condivise e di qualità. Sarà forse un peccato che in un modello simile le informazioni non possano, per ovvi motivi, essere aggregate su Technorati e dintorni: ma si tratta di un “pedaggio” a favore di iniziative che devono durare nel tempo per costituire riferimenti affidabili. Abbiamo già visto morire iniziative mirabili come NetManager per la solita miopia di imprenditori improvvisatisi editori, desiderosi solo di inserire banner e link pubblicitari ad ogni angolo di pagina: se di contenuti professionali stiamo parlando, dobiammo essere professionali anche nell’usufruirne.

La febbre delle foto

Ad inizio marzo la stampa alternativa pone l’accento su una vicenda da un lato bizzarra, dall’altro decisamente negativa: la versione cartacea de Il Corriere della Sera qualche mese prima ha pubblicato un articolo su Guantanamo allegano un’immagine tratta dalla locandina di un film invece che un’immagine reale dell’infermo americano. Tanto scalpore, niente scuse ufficiali ed un messaggio del presidente dell’Ordine dei Giornalisti al free-lance della serie “tutti possiamo sbagliare”. A dire della redazione, la colpa sembrerebbe da attribuire ad un’erronea ricerca su una banca dati fotografica commerciale.

Primo d’aprile: Luca Zappa, un blogger con la passione della fotografia, scopre che una delle sue foto è stata pubblicata nell’ambito di una delle mille categorie gallerie pubblicate ogni giorno dai principali quotidiani on line, Repubblica.it in questo caso. La sua denuncia non rimane isolata: poche ore dopo, su Flickr, persone di tutto il mondo iniziano a discutere i furti delle proprie immagini da parte dei quotidiani italiani. Il buon Pandemia avvia il dibattito su questa pessima abitudine e piano piano tutti i maggiori blogger italiani hanno iniziato ad inveire contro lo scarso (anzi, nullo) rispetto dei diritti da parte di Repubblica.it, che negli stessi giorni ha avuto il coraggio di esaltare i propri record di traffico.

Il risultato del Pandemonio sembrava essere di segno positivo: Repubblica.it aveva iniziato a pubblicare forme primordiali di riferimento all’autore delle foto, pur continuando ad ignorare le caratteristiche delle licenze pubblicate su Flickr e su altri siti simili, vero e proprio serbatoio di foto a costo zero per i quotidiani. Non solo di quelli on line, però: è proprio di ieri la “denuncia” di Macubu, un blogger genovese, rivolta a La Repubblica cartacea, edizione genovese. Il quotidiano ha infatti pubblicato una sua bella foto, senza citare i riferimenti all’autore che, se non altro per quanto riguarda la stampa cartacea, è espressamente previsto dalla Legge. Nel frattempo, passata la burrasca, anche i credits sono (ri)scomparsi dalle gallerie della versione digitale, ormai sempre più spesso “blindate” in Flash.

Sia detto che la cattiva abitudine, in realtà, non è solo quella del Gruppo L’Espresso: poche ore fa anche Corriere.it ha dovuto pubblicamente scusarsi per aver rubato una foto dal sito di una blogger. Per aggiungere torto su torto, l’immagine è anche stata usata in un pessimo contesto: si trattava infatti di un articolo su una hostess dedita alla prostituzione. Se teniamo questo ritmo, prossimamente ogni articolo, dal giallo di Cogne al dibattito politico internazionale, sarà accompagnato dalla foto (ottenuta senza rispettare la licenza, ovviamente) di un blogger: possibilmente, super-decontestualizzta e magari scelta a casaccio. Tanto è gratis!

In autonomia, in partnership o come capita: basta esserci

Termina nei prossimi giorni la promozione Coca Cola che da febbraio, in base ad un ampio accordo di collaborazione con iTunes, ha offerto la possibilità di scaricare gratuitamente un brano musicale per ogni bottiglietta di bibita da mezzo litro acquistata. Il sito italiano della Coca Cola, nell’ambito di questa iniziativa attira-giovani, ha predisposto una piattaforma digitale per ospitare la musica degli artisti emergenti, anche nell’ottica di invitarli ai vari eventi sponsorizzati in Europa. L’iniziativa ha avuto un discreto successo, probabilmente più per l’appeal del mondo iTunes che per l’effettivo interesse nell’acquistare appositamente le bottiglie partecipanti all’iniziativa.

Le intense dichiarazioni di amore tra le filiali europee di Coca Cola ed iTunes che in questi mesi hanno accompagnato il lancio di iniziative simili in diversi Paesi, suonano con un po’ strane a chi, appena pochi mesi prima, aveva seguito le vicende di Mycokemusic, la piattaforma di download digitali lanciata proprio dalla multinazionale delle bollicine nel 2004. Con fare belligerante, la piattaforma basata su OD2 (il famoso servizio creato da Peter Gabriel) aveva visto il suo fulcro in Gran Bretagna, per poi morire nel 2006 tra l’assordante silenzio dei manager di Coca Cola, ormai prossimi ad un accordo con iTunes, che già aveva sottoscritto qualcosa di simile con Pepsi.

Lo scorso Natale, qualcuno lo ricorderà, Coca Cola si era invece lanciata su YouTube, con finalità simili a quanto già fatto con iTunes: investimenti pubblicitari finalizzati ad attirare i fan delle rispettive piattaforme verso il mondo delle bibite gasate. A Natale prossimo, c’è da immaginare, le partnership avverranno con altri soggetti, nel frattempo di maggior successo: non basterà più nemmeno buttarsi su SecondLife, attuale passatempo delle aziende di tutto il mondo. Sulla Rete miti e passioni scorrono velocemente: molti panorami tridimensionali delle aziende già oggi languono desolati, dopo la folla dei giorni seguenti gli annunci sui giornali di ogni iniziativa.

Da notare che il vampirismo delle aziende rispetto alle piattaforme più popolari coinvolge ormai anche le filiali europee dei colossi statunitensi del Web: caso celebre, ad esempio, è la recente partnership italiana tra Yahoo! e Monster, fortemente stridente rispetto alla concorrenza sfrenata che l’ex HotJobs, da anni sotto l’egida di Yahoo! negli Stati Uniti, da sempre mantiene con Monster. Qualcosa di simile è successo anche con le piattaforme di dating, le cui partnership con gli editori sono state varie e dinamiche nel corso degli anni. In Europa, la fanno da padrone gli account manager dei siti di successo: le aziende clienti, evidentemente, li ascoltano in base all’hype che la loro piattaforma genera.

Un po’ di sano cinismo sugli user generated contents

Ha sollevato un po’ di polemiche e di riflessioni piccate la notizia che la partecipazione alle più note iniziative del Web 2.0 è decisamente meno ampia del previsto, se non altro rapportando autori e usufruitori dei tanto osannati user generated contents. Si palpa la delusione di chi per mesi si è riempito la bocca di centralità dell’utente, di centauri metà-scrittori e metà-lettori, di giornalismo diffuso e di produzione multimediale di qualità da parte delle operose formichine di YouTube e dintorni. Si dice sempre: Web 2.0 è sinonimo di un nuovo modo di intendere la Rete. Ciò che non si dice, è che poi gli utenti ronzano sempre intorno ad un nucleo ristretto di fornitori di contenuti.

A guardare i numeri della “clamorosa” ricerca, ci si rende conto di non essere molto lontani dai tempi dei primi Ciao.com o Dooyoo: allora gli utenti venivano retribuiti per scrivere recensioni, oggi gli autori dei blog aprono i propri spazi sognando di ricevere corposi assegni da Google e Overture. Si trattava di poche migliaia di navigatori allora e si parla di qualche centinaio di migliaia di produttori di contenuti adesso, di cui appena poche migliaia con un seguito appena significativo: numeri comunque risibili rispetto al pubblico della Rete, che nel frattempo sta esplodendo in termini di miliardi di persone.

I lettori di Wikipedia, ad esempio, sono un numero continuamente crescente grazie al grande peso che i motori di ricerca, Google e Microsoft Live in primis, destinano alle sue pagine: il motivo di tanto successo è indubbiamente legato alla profondità verticale ed orizzontale della conoscenza disponibile. Anche solo limitandosi alla versione italiana, è facile notare come sia un bene che solo le persone veramente esperte dei propri argomenti preferiti (per motivi personali o magari professionali) integrino la piattaforma con le informazioni in loro possesso: cosa succederebbe se chiunque passasse da Wikipedia sentisse l’irrefrenabile bisogno di scrivere delle proprie passioni? Non è difficile immaginare un esplodere di lemmi legati ai personaggi del Grande Fratello: sicuramente personaggi popolari, ma non esattamente di spessore enciclopedico.

YouTube, che permette (ancora per poco?) di pubblicare contenuti protetti da copyright, mostra come i contenuti generati dagli utenti siano decisamente più interessanti dai clip copia/incollati dalle produzioni televisive, tipicamente di intrattenimento spiccio. Raffaele Mastrolonardo ne aveva già parlato diversi mesi fa: solo l’1% degli internettari produce conteuti, solo il 10% lo integra, riordina e commenta e l’89% si limita ad usufruirne. Il che, è un aspetto molto più positivo di quanto sembri: se si moltiplicasse per 100 il volume di foto su Flickr, avremmo 99 volte più foto di compleanno, non di certo 99 volte più capolavori. Puro rumore, di cui si può decisamente fare a meno.