I Blogger alle prese col Paese reale

Gaspar Torriero passa qualche settimana lontano da Internet e (ri)scopre un mondo diverso da quello quotidiano. Un mondo fatto di esseri umani lontani anni luce dalle dinamiche di Rete, dai suoi miti e dalle discussioni che si rincorrono nei forum tematici o negli spazi aperti offerti dai social network. Qualche mese fa Sir Squonk aveva fatto altrettanto, regalandoci un quadretto ben fatto della realtà vista in giro per le spiagge italiane.

L’immagine restituita oggi da Gaspar ha segno maggiormente negativo, perché rilevata in un contesto economico più difficile, in termini di tempo e di luogo. E soprattutto è ulteriormente distante da quella realtà che immaginiamo quotidianamente nei nostri post in Rete e che solo eventi traumatici come quello della scorsa settimana possono farci riscoprire. Eventi che peraltro passano sui nostri schermi come materiale di discussione. E basta.

Discutiamo, magari animatamente, di tecnologia e marketing, di hobby e politica internazionale. Ci piace comunicare in Rete, sentirci la parte culturalmente viva di un Paese morto, ma in fin dei conti siamo semplicemente estranei rispetto alla cultura dominante. Esultiamo per la bocciatura del Lodo Alfano, mentre il resto del Paese non ha la minima idea di cosa sia, in cosa differisca da un Lodo Mondadori o da un Lodo Schifani.

D’altra parte, siamo avidi consumatori di news, rispetto a quello che chiamiamo con fare schifato “Paese reale” e che immaginiamo eternamente schiavo del TG nazional-popolare di turno. Ce la tiriamo, sicuri di noi e dei nostri strumenti di comunicazione, dedicando loro cure ed attenzioni. Il Paese reale va a votare e noi ci meravigliamo dei risultati elettorali. Che stolti loro, nelle loro cabine elettorali. E noi, nelle nostre torri d’avorio.

Premio Nobel per la Pace ad Internet? Forse è ancora presto

Barack Obama non meritava il Nobel per la Pace. Gli vogliamo bene, abbiamo fiducia in lui e speriamo che un giorno possa maturare davvero il diritto di ricevere un premio talmente importante, ma al momento non ha fatto nulla per ottenere il riconoscimento, anzi (cfr. i migliaia di soldati statunitensi sparsi in giro per il mondo in aumento). I soldi del suo premio finiscono in beneficienza, ma la cicatrice sul Premio rimane: si è aperto un dibattito più o meno strisciante sulle altre persone e le altre istituzioni che avrebbero meritato il Nobel più di Obama.

La presa di posizione più forte, sebbene volutamente non in contrapposizione con l’attribuzione al Presidente degli Stati Uniti, è quella del Comitato che propone di assegnare ad Internet il prossimo Nobel per la Pace. L’iniziativa è partita dall’Italia, in particolare dalla redazione di Wired, per poi riuscire a coinvolgere importanti esponenti dell’élite culturale internazionale. Personaggi come Umberto Veronesi, Giorgio Armani e Nicholas Negroponte hanno speso la propria immagine per appoggiare a livello internazionale la causa della rivista Condè Nast.

Onore a Riccardo Luna per essere riuscito a portare così in alto un suo sogno. Sicuramente è affascinante l’idea di inseguire un proprio ideale e portarlo avanti in maniera coinvolgente per tutti; sicuramente bisogna ammettere che per l’edizione italiana di Wired è stato un bel colpo di immagine patrocinare l’iniziativa. Con meno sicurezza, invece, si può affermare che l’idea stessa sia “giusta”, che vada perseguita e condivisa da tutto il “popolo” che vive abitualmente su Internet, arricchendo le pagine del Web di passione e contenuti di valore.

Le reazioni sono state diverse, alcune totalmente negative, altre più possibiliste, come racconta Gabriella Longo. La verità è che difficilmente si può prendere una posizione netta su questa ipotesi che, a seconda dei punti di vista, potrebbe esaltare la centralità di Internet nelle dinamiche sociali più importanti, ma anche metterla eccessivamente in mostra in un periodo in cui i censori internazionali già la aggrediscono in maniera crescente. Forse è solo troppo presto, forse la Rete è ancora un germoglio che deve crescere in serenità.

Quaranta anni di Internet

Nell’autunno del 1969 l’agenzia governativa statunitense ARPA (poi conosciuta come DARPA, in un eterno altalenare tra i due nomi) diede l’avvio a quella che sarebbe stata la più importante invenzione della seconda metà del ventesimo secolo: erano i primi passi di Internet, substrato indispensabile delle nostre vite contemporanee e tecnologia abilitante per tutte le invenzioni di rilievo successive. Nemmeno la peggiore delle distopie riuscirebbe ad immaginare un mondo diverso da quello odierno, senza la Rete e le sue ricadute profonde su ogni tecnologia di comunicazione, su ogni contesto sociale che abbia superato la soglia della civiltà.

Qualche anno fa si plaudiva, giustamente, a Tim Berners Lee ed al suo World Wide Web; oggi, con l’evolversi di nuovi protocolli e nuovi contesti d’uso, ci si rende conto di come Internet stia evolvendo molto oltre il concetto di pagina Web, di sito da navigare per cercare informazioni. Dobbiamo esultare per la capacità di rigenerarsi ed evolvere, di riscoprire quotidianamente gli strumenti di base ricombinandoli in nuove possibilità di interazione e comunicazione. Persino la posta elettronica sta conoscendo una nuova giovinezza, spesso nascosta sotto le spoglie di messaggi di servizio, a supporto delle applicazioni che girano su BlackBerry e similari.

La grande svolta di Internet è probabilmente avvenuta nell’ultimo lustro, quando i relativi protocolli e linguaggi hanno iniziato ad ibridarsi in maniera complessa con i linguaggi di programmazione “vecchio stile”. Molte persone hanno iniziato ad utilizzare il browser come strumento principale di lavoro senza nemmeno rendersene conto, accedendo ad applicazioni remote le cui interfacce e modalità di funzionamento si sono fatte ogni giorno più vicine a quelle del Web. Negli ambienti iniziali la Rete è diventata la metafora e il background in cui mischiare operatività quotidiana, comunicazioni top-down e primi accenni di flussi informativi tra colleghi.

Oggi possiamo goderci lo slideshow del Guardian che narra la storia di Internet, sorridendo su piccoli fallimenti e grandi successi delle tecnologie che si sono alternate sui nostri schermi nel corso di questi 40 anni. Ci sono sfide importanti ancora da giocare, come le decisioni globali sulla Net Neutrality o l’indipendenza della Rete da censori pubblici poco illuminati. Ciò che conta è che continuerà ad accompagnarci nella vita quotidiana e lo farà sempre più in maniera nascosta: il che è un bene, perché solo quando si capirà che la connettività è un’utility primaria al pari della corrente elettrica o dell’acqua potabile, il tutto potrà librarsi libero da vincoli.

L’ora dell’harakiri virtuale

La notizia del giorno è la chiusura definitiva di Maestrini per Caso, storico blog italiano ormai agonizzante da mesi. La notizia della settimana la scomparsa dal Web di Paul The Wine Guy, fresco trionfatore ai Macchianera Blog Awards 2009. Si potrebbe andare avanti così, citando le scomparse dal Web di Dr. Pruno, SuzukiMaruti, Capitano: heavy users di social network che di punto in bianco abbandonano la scena e scompaiono.

FriendFeed in questo ha innovato il rituale dell’harakiri virtuale. Se i Maestrini lasceranno il loro account saggiamente intatto su Blogger, nulla scomparirà dalla nostra memoria storica; al contrario, coloro che hanno cancellato il proprio profilo da FriendFeed, hanno gettato nella confusione totale decine di utenti, discussioni, gruppi. FriendFeed infatti cancella ogni traccia dell’utente sulla piattaforma, lasciando decine di discussioni zoppe.

L’efffetto è straniante, perché da un lato ci si rende conto di quanto tempo si è dedicato a partecipare a discussioni che oggi non esistono più perché trascinate nel cestino insieme ai loro autori; dall’altro, ci si ritrova a leggere propri interventi decontestualizzati e spesso surreali, in risposta a item non più esistenti. Fioccano le discussioni del tipo “Ma che fine ha fatto Mr. X? Perché è sparita Miss Y?”, trascinando tutta la questione nel melodramma.

Dispiace, d’altra parte, quando un amico “virtuale” sparisce dalla circolazione. Può avere mille motivi per farlo, ma se la sua scomparsa comporta la cancellazione del proprio blog o del prorio profilo dal social network più utilizzato, in qualche modo ci si sente traditi e amareggiati. Sembra di essere nella clinica del Dr. Mierzwiak in Eternal Sunshine of the Spotless Mind: ci viene chiesto di dimenticare qualcuno che non vorremmo mai abbandonare.

Ci sono stati casi di contatti virtuali morti davvero ed in quel caso l’effetto è ancora diverso: gli interventi sulle piattaforme pubbliche rimangono, freezati nel tempo; quelli sui domini proprietari spariscono dopo pochi mesi, sostituiti da laconiche pagine che chiedono il rinnovo di domini ormai senza padrone; i profili sui social network, Facebook in primis, vengono sommersi da ricordi, condoglianze, segni di affetto postumo.

Essere heavy user di Internet oggi non è più un voler scappare dal mondo: al contrario, significa vivere costantemente in contatto con centinaia di altre persone, condividendo piccoli eventi quotidiani e grandi riflessioni sul futuro. Siamo esseri di parole ed emozioni, con una sola preghiera comune: smettetela di fare harakiri quando vi siete stufati di interagire col mondo. Freezate la vostra presenza, ma non cancellate i nostri ricordi comuni.

Un plauso a Poggio Argentiera

In queste settimane di ozio forzato, una piacevole attività a metà strada tra virtuale e reale è stata l’avvio delle degustazioni previste dal blogger panel di Poggio Argentiera. Il lato virtuale è quello puramente legato allo spirito di marketing dell’iniziativa, nata e sviluppata attraverso il blog di Gianpaolo Paglia; quello decisamente reale è la possibilità di degustare dei buoni vini comodamente a casa, coi propri tempi e modi.

Che si tratti di professionisti o di semplici appassionati, coloro che hanno aderito al panel hanno sino ad ora dimostrato una buona curiosità per una serie di vini spiccatamente legati al territorio della Maremma: non particolarmente noti, ma assolutamente stimolanti. Sono vini ben raccontati dal produttore e dai suoi lettori, che interagiscono in tutta libertà sui propri blog o negli spazi ufficiali messi a disposizione dall’Azienda.

L’iniziativa è stata ben curata sin dal lancio, quasi un anno fa. Una selezione intelligente del panel (lontana dallo stereotipo del “prendo i primi 50 della classifica xyz”), una scelta di bottiglie con significati ben precisi, ma anche una buona gestione della logistica e del packaging. Una bella operazione di marketing che non a caso è stata recentemente ripresa, seppure con uno stile un po’ diverso, dallo staff di Francesco Zonin.

Nei prossimi giorni e poi a seguire nelle settimane successive, Pollicinor ospiterà le recensioni, del tutto amatoriali, dei sei vini ricevuti da Poggio Argentiera. Qui su .commEurope rimane invece questo memo destinato a chi blatera quotidianamente di corporate blog e poi non sa cosa consigliare alle aziende che chiedono un supporto per una presenza “utile” in Rete: Poggio Argentiera rimane una case history che merita rispetto.

L’arroganza televisiva trabocca nella realtà quotidiana

Video su YouTube: una concorrente di belle apparenze ad un quiz condotto da Gerry Scotti sciorina con sicumera i propri titoli accademici, comprensivi di un Dottorato di Ricerca. Il conduttore fa complimenti a ripetizione alla ragazza e propone la prima domanda. Com’è nello spirito del telequiz in quetione, Chi vuol essere milionario?, si tratta di una questione abbastanza sciocca: parte comunque il tempo ed il minimo di suspence dovuta ad ogni passo in questo tipo di trasmissioni. La giovane donna di Lecce risponde e Gerry Scotti sbianca: ha sbagliato ed in qualche modo il conduttore si sente in colpa.

Il video inizia a girare su YouTube insieme a tanti altri simili ed attrae numerosi commenti derivanti dallo sbilancio evidente tra la presentazione esaltata iniziale della concorrente e la figuraccia finale. Inizia ad apparire su un tumblelog e da qui si irradia progressivamente ad altri spazi su Tumblr, su FriendFeed, su Toluu e su Facebook. Cercando il nome della tizia su Google, la prima pagina di risultati contiene commenti sulla sua figuraccia, in mezzo a tracce sparse di sue omonime e accenni alla sua vita accademica. La signora d’altronde non ha un sito personale, né un blog, né un profilo su un social network.

Quando le parte la voglia di ribellarsi al pubblico ludibrio, la scelta cade sul profilo Facebook della sorella. Da lì inizia ad irradiare messaggi minacciosi a chiunque abbia in qualche modo linkato il video, ventilando il fatto che colui che lo aveva pubblicato su YouTube è corso a toglierlo una volta spaventato da una denuncia per diffamazione presentata a Carabinieri e Polizia Postale (così, per abbondare). I messaggi via Facebook contengono una serie di sciocchezze tecnologiche e legali e sono segno del fatto che qualcuno sta imbeccando la signora a farsi forte con chi l’ha pubblicamente criticata.

Tutti tolgono il video dai propri tumblelog e dai propri profili su social network, chi ha qualcosa da dire inizia delle flame war private con la signora, che continua a brandire azioni legali come un manganello. Non è difficile immaginare che nel giro di qualche giorno rimarrà giusto qualche traccia remota su Google, magari a pagina 35 dei risultati. Nelle nostre teste rimarrà comunque il ricordo di una che ha fatto una figuraccia davanti a milioni di spettatori, ma è preoccupata dal giudizio di una mezza dozzina di blogger che sottolineano il suo modo di fare tronfio, paragonandolo all’effettivo “successo” televisivo.

Lo stesso modo di fare che qualche giorno fa ci è sembrato di scorgere leggendo di tale Floriana Secondi, personaggio del Grande Fratello, che è finita sui giornali per aver prima avviato una rissa nel suo condominio, poi con le forze dell’ordine. Lo stesso modo di dire “Io sono stata in televisione e voi no”, lo stesso modo di preoccuparsi non per le proprie figuracce, ma per l’eco che esse hanno sui mezzi di comunicazione. La stessa arroganza nel voler negare gli avvenimenti, invece di preoccuparsi di non farli mai avvenire. Se vedrete scomparire questo articolo, la ricercatrice folle avrà di nuovo agitato la clava.

Una nuova occhiata al .commEurope Zeitgeist

Ad inizio 2008 avevamo dato una scorsa ai dati statistici sugli accessi a .commEurope tramite motori di ricerca, rilevati con Google Analytics. I dati, pubblicati sullo .commEurope Zeitgeist, nel tempo sono stati periodicamente aggiornati e mantenuti in ordine con le consuete modalità di rappresentazione: 100 @ per la chiave di ricerca più utilizzata nel periodo di analisi e giù a scendere per le altre chiavi più usate.

In considerazione del fatto che tra poco si chiuderà il secondo anno di monitoraggio delle statistiche, possiamo ora propore qualche considerazione sull’evoluzione delle ricerche nel tempo e rispetto ai contenuti di questo blog, che è stato mantenuto tendenzialmente aggiornato. Come sempre, ci saranno alcune tematiche la cui rilevanza perdura nel tempo e altre più legate ai personaggi, alle mode e agli avvenimenti del periodo.

Nel primo campo rientrano sicuramente le ricerche afferenti al dominio Teorema Tour – Avitour – TodoMondo. Tutto deriva da un articolo su TodoMondo del 2005, sul quale ormai da anni si avvicendano discussioni infinite (siamo ormai oltre i 140 commenti) su presunti fallimenti, viaggi da sogno a prezzi bassi, bancarotte del tour operator e altre tematiche affini; una specie di forum auto-creatosi nei commenti di un vecchio post.

Nel secondo tipo di ricerche emergono invece spunti legati all’attualità: periodicamente (ed ovviamente non è difficile vederlo con forza in queste settimane), ad esempio, torna in auge la chiave “simboli elettorali”, grazie ad un articolo di marzo 2008. Nel nostro Paese però l’attualità è sempre più monotona ed i temi sempre più simili nel tempo e così anche queste ricerche si stratificano nel tempo, finendo anch’esse nella Top20.

Questi fenomeni riguardano sia le aziende, sia i personaggi. C’è un nucleo ogni giorno nuovo di navigatori accomunato dal ricercare informazioni sull’apertura di KFC in Italia e uno formato da coloro che continuano a volerne sapere di più su Eleonora Berlusconi o su Gianfranco De Laurentiis, ricorrendo ad articoli del 2004. La sensazione comune è che si cerchino sopratutto informazioni e contenuti difficili da trovare in siti ufficiali.

Se ad esempio il sito ufficiale di Muji fosse meglio organizzato e indicizzato sui motori di ricerca, non ci sarebbe bisogno di arrivare su .commEurope; se Milena Gabanelli avesse chiuso una volta per tutte la querelle con Paolo Barnard, non ci sarebbero più decine di visite mensili ad articoli vecchi di oltre un anno; se UniCredit avesse gestito con meno fretta il merge con Capitalia, si approderebbe sul sito ufficiale invece che su questo blog.

L’indicazione, insomma, sembra essere unica: che siate Eleonora Berlusconi o un manager di Avitour, che siate Milena Gabanelli o il product manager di Barilla Alixir (altro tormentone su .commEurope), forse fareste bene a comunicare di più (e meglio) in Rete. Altrimenti chi è interessato a voi (fan, clienti, prospect o anche nemici) continuerà a planare in Rete in articoli magari vecchi, magari negativi, sicuramente fuori controllo.

Lo shift continuo di servizi e contenuti in Rete

Si discute molto di presunti svenimenti, morti apparenti e di qualche coma (ir?)reversibile di blog un tempo floridi ed oggi progressivamente abbandonati dagli autori, ormai migrati verso nuove piattaforme di gestione dei contenuti, ma soprattuto dai commentatori, che preferiscono interagire con i propri amici (e con gli autori dei contenuti un tempo presenti sui blog) con strumenti alternativi.

Siamo alle solite: è in corso un nuovo shift degli strumenti di comunicazione. Le e-mail, ormai travolte dallo spam, sono ormai sempre più sostituite dai messaggi privati (o addirittura pubblici) sui social network, Facebook in primis. Gli SMS, per quanto sempre più spesso forniti “gratis” dalle TelCo affogati in tariffe semi-flat, sono spesso sostiuiti da messaggi in broadcast stile Twitter.

Le segnalazioni di materiale interessante, che un tempo spadroneggiavano nei forum ed avevano costituito uno dei principali motivi di shift da questi ultimi all’egocentrismo dei blog, oggi vengono sempre più inserite sui tumblelog, che sono rapidi e ben incastrati tra loro (quelli di Tumblr in primis), in modo che sia il social network (a botte di reblog) a decretarne l’effettivo appeal.

Le conversazioni private, un tempo legate alla necessità di installare monumentali client (ricordiamo quel mattonazzo di ICQ), oggi vengono sempre più lanciate da browser, all’interno di siti che fanno anche altri mestieri  (è il caso della semre più usata chat di GMail). Le discussioni pubbliche, un tempo frequenti sotto i post sui blog, oggi montano (più) rapidamente su Friendfeed.

L’unico vero problema, con tutti questi shift, è sulla produzione di contenuti originali. Una volta svuotatisi delle noiose “segnalazioni veloci”, i blog dovevano rimanere i posti prediletti in cui inserire riflessioni e notizie importanti, per poi venire eventualmente ripresi, citati e commentati sulle altre piattaforme. Sulle quali, invece, si vedono sempre più citati i media tradizionali.

Chi sperava in una rivoluzione non può che rimanere deluso. Sotto la montagna di reblog, like, commenti e status update rimane da un lato tanto testo prodotto da molti quotidiani online e pochi blog superstiti, dall’altro una montagnina di immagini e video strappati da Flickr e YouTube, non sempre veri UGC. Arriverà presto un altro shift, c’è da esserne sicuri: ma i contenuti, chi li mette?

La vendetta del succo di frutta

Quel genio di Paul The Wine Guy si sveglia il 30 dicembre ed invece di organizzare il Capodanno come tutti gli altri blogger, tende ad alcuni tra i più noti di loro una deliziosa trappola: si finge addetto marketing di un’azienda alimentare austriaca interessata a comprare dei loro interventi promozionali da pubblicare sui blog personali, con un budget pubblicitario totale di qualche decina di migliaia di Euro.

L’unica vecchia volpe che non cade nel tranello è Gianluca Diegoli, che non solo declina l’offerta, ma soprattutto rilancia su Twitter/Friendfeed la notizia, diventando l’hub delle blogstar che, sorprese dalla proposta, hanno reazioni diverse e soprattutto ambigue: tendenzialmente si tende a voler spostare gli interventi su spazi diversi dal proprio blog principale, eventualmente proponendo collaborazioni commerciali.

Quando Paul The Wine Guy espone pubblicamente i risultati della sua indagine, le rezioni sono ulteriormente confuse: i non-contattati si sono divertiti a crocifiggere pubblicamente coloro che hanno tentennato, accusandoli di scarsa trasparenza e scarsa etica; le blogstar più sfacciate hanno esposto in pubblico i propri prezzi (qualche centinaio di Euro), quelle più “professionali” hanno scritto articoli di approfondimento e di riflessione collettiva.

Nessuno è riuscito davvero a trarre una riflessione univoca sull’etica sottesa e necessaria a gestire questo tipo di operazioni, sia in veste di marketer che di autore di post. Si fa tanto parlare di buzz marketing, ma in fin dei conti alla fine sembra di essere tornati ai pubbliredazionali che, notoriamente, le concessionarie tradizionali danno quasi gratis a chi acquista campagne… Perché i veri soldi, con la pubblicità, girano altrove.

Carrefour, Mattel e il circo dei blogger

Gli internettari di tutta Italia si uniscono nell’indignazione contro Carrefour, accompagnando il dolore di una madre coraggiosa che ha visto maltrattato il figlio con problemi di salute durante un evento svolto nel parcheggio di uno degli ipermercati della catena. Le prefiche si scagliano contro il gigante della GDO, le persone sensibili giurano al mondo che non metteranno mai più piede in un ipermercato della catena, i più attenti sottolineano come la colpa dell’accaduto andrebbe quantomeno condivisa tra azienda di distribuzione e società produttrice dei giochi promossi dalla campagna assassina.

Nella sintesi, da un lato il dolore umano di una madre maltrattata, dall’altro l’ennesimo disastro di una grande azienda europea nel campo di relazioni pubbliche e dintorni. Le persone che appoggiano le urla della prima, i professionisti che analizzano al microscopio le reazioni della seconda. Le persone che si muovono dall’indignazione (commento sul blog) all’azione (boicottaggio), i professionisti che distribuiscono consigli (tanto è gratis) e si mettono a disposizione delle aziende coinvolte per spiegare loro come orientare le proprie PR off line e on line (tanto avranno budget illimitati, no?).

Facciamo tutti parte di uno stesso circo, o quantomeno estremizziamo ciò che succede in queste pagine virtuali per presentarci di volta in volta come vittime o come carnefici, porci sotto il lume dell’attenzione o puntarlo dritto sul viso di chi reclama aiuto. Le aziende ci guardano perplesse, colpite dal fatto che un articoletto su un blog di periferia riesca ad attirare di passaggio in passaggio le attenzioni dei bloggers più noti e quindi, come sempre più spesso accade, dei giornalisti che li consultano alla ricerca di spunti e trend che le sterili agenzie di stampa non possono individuare.

Non si dica che Mattel non abbia imparato dalla disavventura che l’aveva travolta un anno fa: anzi, il fatto che abbia portato in giro per l’Italia gli stessi mezzi di Cars che un anno fa l’avevano travolta, stavolta in formato gigante, potrebbe essere letto come un tentativo di rilanciare la propria immagine e quella dei propri giocattoli. Non si pensi che la grande distribuzione sia sempre disattenta alle esigenze dei disabili: su The Rat Race è recentemente apparsa una bella testimonianza sulle attenzioni dedicate ai bambini con esigenze particolari.

E non si pensi nemmeno che Carrefour non sappia gestire le proprie relazioni pubbliche o non conosca le dinamiche della Rete: la catena ha un proprio Forum, su cui si è ampiamente dibattuto dell’accaduto. Ciò che forse sfugge a molti è che i rischi di un’iniziativa complessa a volte superano il progettato fascino che in situazioni normali piccoli e grandi eventi possono esercitare anche in target inaspettati: si va al di là della voglia di comunicazione e degli impatti sognati, perché quando ci sono uomini di mezzo, tutto è possibile.