Ricerca scientifica, knowledge aziendale e notiziole

Capita, in un Paese in cui la liberalizzazione del mercato elettrico fa abolire le cravatte, che sia possibile discutere con manager illuminati (appunto) a proposito dell’impatto delle tanto amate tecnologie Web 2.0 rispetto alla condivisione della conoscenza aziendale. Succede anche, per coincidenza, di parlarne con esponenti della maltratta comunità della Ricerca scientifica italiana: anche qui, apertura ed interesse. Poi, però, si cerca di tirare delle conclusioni e viene fuori che tutti trovano decisamente difficile assumere una posizione netta in merito a questi fenomeni: i mondi accademico ed aziendale hanno preoccupazioni simili, ma finalità spesso diverse. E l’utilizzo degli strumenti di interazione in Rete sottolineano questa complessità di vedute.

Non è infatti possibile sintetizzare un approcccio “buono per tutti”: non è vero che qualsiasi strumento supporti correttamente tutti gli utilizzatori allo stesso modo. Sarà anche interessante seguire i tentativi di tenere lezioni via Second Life, ma questo non vuol dire che lo stesso strumento possa essere esportato ex abrupto nel mondo del business; potrà anche essere apprezzabile notare gli sforzi delle aziende nel cercare di intervenire nei dibattiti della blogosfera, ma non si possono biasimare i ricercatori scientifici che nutrono qualche timore nel condividere le proprie scoperte sulla Rete.

Una vignetta tratta dal tumblelog cos'(e')

I siti che permetterebbero di farlo, tra l’altro, ci sono già: Nature Precedings è il sistema che sta attirando più attenzione.  La perplessità di molti riguarda la proprietà intellettuale degli studi pubblicati: da un lato, la licenza Creative Commons, applicata a documenti così rilevanti, fa sorgere sempre qualche paura sulla contendibilità delle informazioni e sulle tentazioni dell’editore; dall’altro, la solita giungla del mondo scientifico fa sì che si corrano seri rischi di non-attribuzione e finte paternità furbette di opere brillanti. Da notare come problemi simili, portati in ambito aziendale, esplodano drammaticamente: nel momento in cui ad ogni “idea” corrispondono potenziali business, le aziende si guardano bene dal provare anche solo a condividere gli insight in questione.

I singoli dipendenti, così come i ricercatori, portano avanti la propria vita virtuale su piattaforme esterne a quella dell’organizzazione di appartenenza: raccontano la vita quotidiana, illustrano (poco) le attività quotidiane sul posto di lavoro, riflettono sulle disparità di trattamento, magari commentano le notizie del giorno. E la criticità maggiore, in un mondo che della conoscenza fa la principale moneta di scambio,  diventa proprio questa ritrosia nel comunicare idee attraverso strumenti condivisi ed “ufficiali”: si finisce, inevitabilmente, a commentare più i fattarelli della blogosfera che a condividere informazioni nuove. In fin dei conti solo le attività di social networking sembrano funzionare bene in ambito professionale: per quanto riguarda i contenuti, le notiziole dei quotidiani la fanno da padrone.

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