Notte prima degli esami

Difficile raccontare il sentimento che decine (centinaia?) di migliaia di persone hanno vissuto in questi giorni in tutta Europa; chi era conscio del peso che l’annuncio dei risultati di stress test/asset quality review delle banche europee a mezzogiorno di domenica nel weekend ha dormito poco nonostante l’ora in più del ritorno all’ora solare.

Il punto è che la “pagella” ai principali attori bancari europei non impatta solo i dipendenti degli Istituti, che pure negli scorsi anni hanno beccato schiaffi a ripetizione nell’ambito della scomparsa del ceto medio: in tutta Europa c’è grande rapporto tra Financial Institutions e territori di radicamento/nascita, non solo a livello di azionariato.

Apprendere che la Banca di fiducia verrà “caldamente invitata” a fondersi con un’altra spesso vuol dire modificare la percezione che se ne ha, sapendo che cambieranno radicalmente le politiche di credito, ma spesso anche l’identità e il contributo che potrà dare all’area in cui è nata e cresciuta, magari con una storia pluricentenaria.

In un Paese come l’Italia, ad esempio, il ruolo di cinghia di trasmissione tra Istituti e territori era stato demandato, sin dalla Legge Amato di venti anni fa, alle Fondazioni; poi le stesse non sono riuscite a stare dietro al mercato, peccando spesso di avidità e interpretando il proprio ruolo con un abbraccio letale alla politica locale.

L’ultima ondata di M&A ormai ha qualche anno; tutti gli analisti si aspettano un nuovo ciclo imminente, con effetti imprevedibili sui mercati finanziari prima e nell’economia “reale” dopo. Non aiuta il fatto che persino i pure player (Fineco, IWBank, Webank, Widiba etc.) siano tutti nelle mani dei principali gruppi bancari “tradizionali”.

Per ora gli unici ad aver goduto della faccenda degli stress test sono gli speculatori, che ad esempio hanno pompato MPS sino al giorno prima dell’uscita dei risultati, per poi ovviamente godere al ribasso nel crollo seguente. Il pensiero invece va a chi soffrirà, nel breve medio e lungo termine, gli impatti degli esercizi di Francoforte.

Addio classe media

Jaron Lanier è uno dei padri della Rete; magari non tra quelli che si sono sporcati le mani per metterla su, ma sicuramente tra quelli che hanno iniziato a studiarla in fasce. I suoi libri degli ultimi due decenni si potrebbero poggiare sul ciclo dell’hype di Gartner: grandi entusiasmi seguiti ora da grande disillusione. Critiche pesanti ai giganti di Internet, preoccupazioni significative riguardo al fatto che le offerte speciali di Amazon e pochi altri stiano iniziando a massacrare anche i centri commerciali dopo che i centri commerciali avevano ucciso i negozietti in centro. Bisogna dire che Lanier è in buona compagnia: Franklin Foer ha analizzato dati e comportamenti del gigante dell’e-commerce come estremizzazione del modello Walmart, ripulito dallo sfrido con la realtà fisica. Una sorta di monopolio perfetto, che tuttavia qualcuno ha iniziato a mettere in discussione proprio negli scorsi giorni: la quotazione stellare di Alibaba ha fatto emergere che c’è spazio per giganti ancora più grossi, o quantomeno che i monopoli hanno vita corta in assenza di asimmetrie informative. A parte Google, che si è assunto il ruolo di gestirle, da solo.

Il vero potere sta lì, nell’essere il controllore dell’informazione, che irrimediabilmente implica essere anche il padrone della pubblicità, che dell’informazione è la sorella mercenaria. Evgeny Morozov ha costruito la sua carriera sulla critica a Google e sull’invito ai suoi utenti ad alzare il capo, a continuare a interpretare la realtà in maniera proattiva piuttosto che fidandosi degli algoritmi, pur potenti. Il che richiede una certa capacità intellettiva: se abbiamo il sospetto che Facebook “ci nasconda qualcosa” sui nostri amici, possiamo scegliere di mettere gli interventi in ordine cronologico, ma questo richiederà ulteriore tempo da parte nostra nel filtrarli; se non ci accontentiamo del primo link a un albergo di Google in una determinata città, possiamo andare a cercare un comparatore specializzato e raffinare la ricerca, adottando la nostra esperienza per confrontare caratteristiche e prezzi. Certo il tempo di molti di noi è limitato, ma qui torniamo al classico problema per cui la risorsa più scarsa nelle nostre vite è proprio la disponibilità di ore e giorni; non a caso i lavori “offline” di assistenza cresceranno sempre di più, su nicchie specializzate.

Si tratta di una vera e propria polarizzazione del mercato del lavoro: da un lato questi lavori basati sul concedere il proprio tempo (e le proprie braccia) a chi può permetterselo, cioè chi sta dall’altra parte del polo e ha una professione di alto livello. Oltre alla retorica contro gli immigrati di cui si scriveva qualche settimana fa, l’altro luogo comune di chi teme per il proprio lavoro vede “le macchine” impersonificare il ruolo del cattivo un po’ in tutto il mondo. Non che sia una novità: “le macchine” in questione un tempo erano i telai, poi i robot nelle fabbriche, ora i device connessi alla Rete. Oggi “le macchine” fanno fuori operai e impiegati di basso livello, ma hanno bisogno di milioni di esseri senzienti per essere progettate, gestite e vendute. Chi si ferma è perduto, ma fermarsi è spesso una scelta volontaria: qualsiasi impiegato che non vuole trasformarsi in venditore, qualsiasi operaio che non vuole trasformarsi in badante, qualsiasi studente che sogna di fare il mestiere dei propri genitori diventerà un problema per la società. Oltre ovviamente a fare la fame, visto il tritacarne politico ed economico in cui siamo immersi.

Cresce la diseguaglianza salariale probabilmente, ma questo fa sì che sia il momento di fare scelte radicali: o si vuole rimanere a valle o si cerca di raggiunge la cima della montagna; difficile rimanere sulla mulattiera e lamentarsi di venire travolti da chi è più agile. Nascono e muoiono nicchie ogni giorno e non tutte legate all’alta tecnologia; ma certo non è più tempo di vantarsi di non possedere uno smartphone o di ignorare volontariamente l’uso della Rete. Servono politiche fortemente orientate a incentivare l’educazione, anche e soprattutto in settori che fino a pochi anni fa non esistevano o erano marginali; non solo per i ragazzini, ma anche e soprattutto per gli adulti, in modo che possano riconvertirsi invece di piangersela tutto il giorno sulla propria obsolescenza professionale e sociale. Non sarà un processo rapido e gli strappi sociali sono sempre dietro l’angolo, ma probabilmente è il momento di rimboccarsi la maniche interpretando “diritti” che stanno sparendo, travolti dal presente che un tempo è stato un futuro disegnato e poi messo in piedi da esseri umani, non certo da “macchine” non senzienti e insensibili.