Le occasioni sprecate della pubblicità sui mezzi pubblici

Solo chi attraversa quotidianamente le metropoli in lungo e in largo, passando decine di minuti su autobus, tram e filobus può avere idea di quanta noia si possa accumulare in attesa alla fermata o mentre il proprio mezzo è bloccato nel traffico, ma anche semplicemente durante il tragitto. Non che in metropolitana vada meglio: si risparmia solo la parte di traffico di superficie.

Il grande successo dei quotidiani gratuiti è dovuto in parte anche a questa voglia di far passare il tempo mentre si va o si torna dal lavoro. I più saggi leggono libri, i più stanchi (a causa della sveglia all’alba o della giormata di lavoro appena finita) iniziano a guardarsi intorno, leggendo (di nuovo) la lista delle fermate della metropolitana, le copertine dei quotidiani dei vicini o gli annunci pubblicitari.

Qui casca l’asino. Per una misteriosa tradizione (forse legata ai budget minimi degli investitori), i messaggi pubblicitari sui mezzi di superficie sono quasi sempre brutti, poco originali e di basso profilo. Gli annunci sulle televisioni presenti a terra o sui mezzi (Moby TV o Telesia, ad esempio) sono così ripetitivi che ad un certo punto si cerca il telecomando per cercare di cambiare programma.

Qualche giorno fa KTTB si lamentava della bruttezza delle affissioni in metropolitana a Milano. Qui si fa una preghiera ad agenzie pubblicitarie e investitori: imparate a fare pubblicità sui mezzi pubblici. Rendetela accattivante, originale, non ripetitiva. Avete migliaia di occhi puntati addosso, che non aspettano altro che di essere divertiti, informati, attratti dalla vostra comunicazione.

Se proprio non riuscite a cavare un ragno dal buco, almeno fate un annuncio tradizionale, ma con un sito Web ottimizzato per il mobile bene in evidenza. Ormai l’uso di Internet sul cellulare è diffusissimo persino in metropolitana e le chance di portare qualcuno a navigare sul sito sono molto più alte rispetto ad un indirizzo scritto su una pagina pubblicitaria in una rivista patinata.

Lo shift continuo di servizi e contenuti in Rete

Si discute molto di presunti svenimenti, morti apparenti e di qualche coma (ir?)reversibile di blog un tempo floridi ed oggi progressivamente abbandonati dagli autori, ormai migrati verso nuove piattaforme di gestione dei contenuti, ma soprattuto dai commentatori, che preferiscono interagire con i propri amici (e con gli autori dei contenuti un tempo presenti sui blog) con strumenti alternativi.

Siamo alle solite: è in corso un nuovo shift degli strumenti di comunicazione. Le e-mail, ormai travolte dallo spam, sono ormai sempre più sostituite dai messaggi privati (o addirittura pubblici) sui social network, Facebook in primis. Gli SMS, per quanto sempre più spesso forniti “gratis” dalle TelCo affogati in tariffe semi-flat, sono spesso sostiuiti da messaggi in broadcast stile Twitter.

Le segnalazioni di materiale interessante, che un tempo spadroneggiavano nei forum ed avevano costituito uno dei principali motivi di shift da questi ultimi all’egocentrismo dei blog, oggi vengono sempre più inserite sui tumblelog, che sono rapidi e ben incastrati tra loro (quelli di Tumblr in primis), in modo che sia il social network (a botte di reblog) a decretarne l’effettivo appeal.

Le conversazioni private, un tempo legate alla necessità di installare monumentali client (ricordiamo quel mattonazzo di ICQ), oggi vengono sempre più lanciate da browser, all’interno di siti che fanno anche altri mestieri  (è il caso della semre più usata chat di GMail). Le discussioni pubbliche, un tempo frequenti sotto i post sui blog, oggi montano (più) rapidamente su Friendfeed.

L’unico vero problema, con tutti questi shift, è sulla produzione di contenuti originali. Una volta svuotatisi delle noiose “segnalazioni veloci”, i blog dovevano rimanere i posti prediletti in cui inserire riflessioni e notizie importanti, per poi venire eventualmente ripresi, citati e commentati sulle altre piattaforme. Sulle quali, invece, si vedono sempre più citati i media tradizionali.

Chi sperava in una rivoluzione non può che rimanere deluso. Sotto la montagna di reblog, like, commenti e status update rimane da un lato tanto testo prodotto da molti quotidiani online e pochi blog superstiti, dall’altro una montagnina di immagini e video strappati da Flickr e YouTube, non sempre veri UGC. Arriverà presto un altro shift, c’è da esserne sicuri: ma i contenuti, chi li mette?

Fantàsia, la fantasia in danza

Se per la maggior parte dei nostri connazionali “Fantàsia” è il nome del regno de La storia infinita di Michael Ende, per un piccolo (ma in forte crescita) nucleo di appassionati di danza contemporanea è piuttosto il titolo di un musical che, ormai da qualche anno, spunta qui e lì nei programmi di teatri e centri congressi italiani, suscitando generalmente buoni riscontri.

Fantàsia è uno spettacolo molto particolare: vuol essere un musical, ma anche uno show competence dell’eccellenza salseira in Italia. Un musical atipico, insomma, in cui più degli attori parla la musica caraibica e soprattutto la danza. Tanta salsa, appunto, ma anche cha cha cha ed altri spunti stilistici che, miscelati in maniera quantomeno originale, riescono ad emozionare.

Obiettivo (centrato) di Fantàsia è riuscire a destare interesse anche in chi non è affatto appassionato di danza e magari guarda con sospetto ai trenini da villaggio turistico su sfondo musicale latino-americano. Finalmente si ha la possibilità di capire, divertendosi e imparando, il perché di tanto successo dei ritmi latini in scuole di danza e palestre di mezza Italia.

Sul palco, i gruppi Tropical Gem e Flamboyan Dancers danzano con entusiasmo ed emozione, riuscendo a trasmettere al pubblico la sana follia di uno spettacolo che, di rappresentazione in rappresentazione, cambia pelle, si allunga, evolve, sotto la guida matura (ma non per questo appassita) di Fernando Sosa, motore ultimo dell’iniziativa e ballerino eccellente.

C’è molta confusione nei cieli

Su .commEurope si è sempre dimostrata simpatia e solidarietà per le travagliate vicende di Alitalia e del suo staff: pochi sono i marchi italiani veramente noti a livello internazionale e le ipotesi degli scorsi mesi di veder sparire il mondo AZ dai nostri cieli è sempre sembrata una cattiveria ingiustificata verso un marchio che, negli anni, ha avuto più credibilità all’Estero che in Italia.

Quando la Compagnia Aerea Italiana ha sciolto il nome del brand della nuova compagnia, molti hanno tirato un sospiro di sollievo, se non altro per i minori investimenti necessari a lanciare un nuovo marchio a livello internazionale (basti pensare ad un ipotetico restyling degli aerei) ed eventualmente, qualora fosse prevalsa l’ipotesi-Lufthansa, ad aderire ad una nuova alleanza internazionale.

Quello che è accaduto nei mesi succesivi all’annuncio, però, è sotto gli occhi di tutti. La “nuova” Alitalia sembra aver ereditato più i difetti che i pregi della casa madre. Ogni giorno ci imbattiamo in ritardi pesanti derivanti da una maggior rotazione degli aeromobili e in crew ostinatamente fiere di rimarcare la propria appartenenza ad AirOne, anche quando poco opportuno.

In questi mesi capita di effettuare l’imbarco su un volo annunciato come VolareWeb con un biglietto Alitalia e scoprire che il volo è operato da AirOne. Capita di continuo, soprattutto sulle rotte nazionali, tanto che viene da domandarsi dove siano nascosti tutti gli MD-80 (e soprattuto le rispettive crew, tutte in esubero?) che in questi decenni ci hanno accompagnato in giro per i cieli.

Fino ad ora, oltre al fumo su VolareWeb, l’unico marchio sparito sembra essere quello di Air Europe, mentre rimane in circolazione l’orripilante Alitalia Express. Non è soprattuto noto il destino del marchio AirOne, ma si spera che presto svanisca nel nulla AirOne Cityliner, i cui aerei ormai si trovano anche sulla Milano-Roma e il cui nome è decisamente troppo connotato con Lufthansa.

Proprio Lufthansa, nel frattempo, ha lanciato Lufthansa Italia e sembra intenzionata a fare faville, anche grazie all’idea (politicamente) furba di concentrare le proprie operazioni su Milano Malpensa, sede (saggiamente) dimenticata da Alitalia ancora prima della cessione a CAI. Dalla sua ha senza dubbio un asset: il poter contare sull’immagine granitica e seriosa della casamadre.

Sembra significativo che Lufthansa Italia abbia già annunciato investimenti pubblicitari importanti e Alitalia continui a portare rispetto al marchietto di AirOne anche solo nei comunicati stampa. Speriamo che questa fase transitoria finisca presto e migliorino sostanzialmente sia la comunicazione commerciale, sia la qualità e lo stile delle operazioni di volo di Alitalia. Di Alitalia, non di AirOne.

Franceschini stupiscici!

Dopo l’inverno particolarmente freddo, questo marzo inizia con gli auspici di meteorologi e politologi per una primavera dalle tinte più tenui. Le Elezioni Europee si avvicinano ed il clima che si è instaurato in effetti non aiuta a vivere sereni. A destra, i soliti dissidi tra la politica rigida leghista e il moderatismo dei leader; a sinistra (?), una carneficina continua tra partiti e tra correnti del partito maggiore.

L’elezione di qualche giorno fa di Dario Franceschini a segretario del Partito Democratico è un evento difficile da posizionare in termini di potenziali impatti sulle dinamiche della comunicazione politica nazionale e (giù a scendere verso la base) locale. Ciò che gli viene richiesto da più parti è uno sforzo per aumentare la coesione e migliorare la dialettica interna al Partito. Ma non basta.

Agli elettori, delle diatribe interne, interessa fino ad un certo punto. Anzi, più si esacerba il protagonismo dei soliti noti, meno si riesce a rendere interessanti sé stessi presso l’elettorato. E per questo Dario Franceschini deve sì diventare un leader forte e credibile, ma soprattutto deve riuscire ad elaborare uno stile comunicativo riconoscibile e convincente. Deve, soprattutto, riuscire a stupirci.

Non si tratta delle “invenzioni stupefacenti” tanto care al Premier. Si tratta di una necessità auto-evidente di raccogliere dal resto del Partito le idee innovative e riproporle, con tono adeguato, al fine di far percepire il proprio valore distintivo. Si tratta di riuscire a far passare idee out of the box, al contrario di quanto fatto da Walter Veltroni. Ci riuscirà? O tra 6 mesi ci sarà un nuovo segretario?