2008, l’anno della caduta dei miti

Assodato il clima di crisi (andiamo avanti, o non parliamo d’altro), è possibile tirare una linea e provare ad annotare alcuni dei fenomeni visti nel corso del 2008, ovviamente dal punto di vista del loro impatto su marketing e comunicazione in Europa e dintorni. Uno in particolare, che potremmo definire “la caduta dei miti”, sembra riassumerne la maggior parte.

Pensate al mondo dello sport: doveva essere un anno mirabolante, fatto di Olimpiadi ed Europei di calcio, di record ed emozioni. Si è trattato in realtà dell’anno in cui il re si è rivelato in tutta la sua nudità. Le Olimpiadi di Pechino, in particolare, sono stati un evento freddo e poco riconducibile allo spirito olimpico: sono rimasti delusi gli investitori pubblicitari e soprattutto gli sportivi.

L’altro grande mito crollato, ovviamente, è quello degli investimenti finanziari ad alto rendimento. Il sogno, oggetto di decine di campagne pubblicitarie negli ultimi anni, di ricorrere a promotori finanziari-maghi al fine di far lievitare i propri risparmi, è andato molto al di là degli hedge fund: le piccole scritte sul rapporto rischio/rendimento non le ha lette nessuno e si son visti i risultati.

Ci sono poi altri due trend che, seppure abbiano mostrato traccia in tutta Europa, in Italia hanno assunto toni molto più decisi: da un lato, il crollo dei movimenti politici di sinistra; dall’altro, la progressiva discesa nelle vendite dei quotidiani. Due “cadute” che, al di là delle apparenze, sembrerebbero avere radici comuni nella disaffezione di un certo tipo di elettorato verso il proprio “mito” politico.

Infatti, il risultato dei partiti di sinistra (e di centro-sinistra) alle Elezioni Politiche in Italia era prevedibile, seppure non in termini così disastrosi, grazie alla ripida discesa delle vendite di quotidiani di quell’area politica: La Repubblica negli ultimi mesi, ma soprattutto la triade L’UnitàIl ManifestoLiberazione, scesa sotto la soglia cumulativa di 100mila copie già nella prima parte dell’anno.

Ripensate a voi stessi ad inizio 2008: probabilmente le vostre visioni di sport, finanza, politica ed editoria erano abbastanza (o magari profondamente) diverse. Il 2008 ha cambiato molte carte in tavola e il marketing 2009 dovrà adeguarsi. Prima, però, bisognerà che ci si adegui tutti noi: abbiamo qualche difficoltà ad orientarci, prima ancora di iniziare a pensare a comprare qualcosa.

Tra crisi e crasi

Crisi, crisi, crisi. Non si sente parlar d’altro né nei notiziari economici che in quelli di attualità. L’agenda setting non perdona e così anche per noi “crisi” sta diventando il termine più frequente nei nostri dialoghi tra amici, parenti e colleghi. C’è paura diffusa e si dice che sia dovuta alla crisi. Paura di cosa? Difficile a dirsi: alcuni ovviamente vivono in prima persona le difficoltà del mercato e quindi soffrono davvero subendo casse integrazioni, chiusure di contratti temporanei, cambi drammatici di condizioni economiche. Per gli altri, si tratta soprattutto di temere il futuro.

Se tutti comunicano incertezza, il futuro diventa grigio ancor prima che nero. Le aziende non hanno nemmeno il coraggio di approntare i budget, i manager si bloccano impauriti, i subordinati partono per le vacanze natalizie come se fossero l’ultimo momento di felicità prima del baratro chiamato 2009. Esiste però ovviamente un’industria che deve cercare di rimanere immune dal pessimismo ed è quella che opera sul mercato dell’intrattenimento. Può scherzare con la crisi, può ridicolizzare i comportamenti più irrazionali per dar fiducia a chi ancora può… Ma non può chiudere baracca e burattini.

Ecco così uscire a Natale i film preparati da mesi e lanciati con cura in questo periodo per allietare gli Italiani: Madagascar 2, Aldo Giovanni e Giacomo e soprattutto l’ennesimo cine-panettone con De Sica e conmpagnia. Bisogna pur far ridere le folle e non si può rinunciare agli schemi consolidati della comicità. Entra così in scena la parola più citata in recensioni cinematografiche, trailer e presentazioni di Natale a Rio sugli altri media: si tratta di “crasi”. Che è il termine che dovrebbe riassumere la distanza culturale tra Ghini e De Sica, tra l’Italia “acculturata” (?) e l’Italia dei furbi-simpaticoni-fai-da-te.

La cosa notevole è che l’ormai stra-nota battuta sul misunderstanding del termine “crasi” non verrà capita dai furbi-simpaticoni-fai-da-te che guarderanno il film, cioè la maggior parte degli spettatori di questo filone cinematografico nonché principali vittime della crisi economica attuale. Siamo insomma di fronte ad un delirio collettivo: la popolazione che soffre la crisi va al cinema per sorridere e scopre di dover sorridere fingendo di comprendere battute espresse nel film da un rappresentante dell’altra parte della barricata, quella che si ritiene colpevole del disastro economico. Che incubo.

Le tesi del [mini]marketing eretico

Provate a leggere queste affermazioni…

«Il marketing è morto in quanto sono esaurite le due condizioni che lo nutrivano: primo, che le persone non potessero parlare facilmente e direttamente tra loro, secondo, che il canale di trasmissione fosse concentrato, semplice e direttamente controllabile.»

«Ogni cosa è commentabile, che lo vogliate o no. Per esempio, pensate se il vostro payoff fosse commentabile: cosa ci scriverebbero sotto le persone? Tenetevi forte: lo è.»

«La media dei vostri clienti pensa a voi un centesimo di quanto voi crediate. Fatevene una ragione, l’atto di acquisto non è la loro sola attività, né la più emozionante.»

«Il danno provocato dal venditore incapace sarà più alto del risparmio che avete ottenuto con il suo contratto a basso costo – chi avrà avuto contatti deludenti, non lo terrà per sé. Se vendete al telefono, ogni trucco vi si ritorcerà contro come passaparola negativo. E no, i report di vendita non tengono conto di questo.»

«Se pensate che vendere su Internet non fa per voi, perché l’esperienza fisica della vendita per il cliente è ineguagliabile, avete ragione. Altri lo faranno volentieri al vostro posto.»

«Se credete realmente che i vostri clienti sono i negozi o i distributori che rivendono i vostri prodotti, siete nella stessa situazione di un veicolo condotto da un cieco. Fatevi guidare da chi usa davvero i vostri prodotti, ora che potete farlo.»

«Sappiamo che ciò che chiamate “carta fedeltà” è soprattutto un espediente per raccogliere dati su ciò che acquistiamo: se invece condividete con ognuno di noi ciò che vi interessa sapere, a che scopo, e ciò che sapete già, possiamo collaborare. In ogni caso la vostra reputazione migliorerà – e di conseguenza la nostra fedeltà.»

Siete rimasti insensibili? Probabilmente, sebbene siate lettori di .commEurope, non vi occupate in maniera prevalente di marketing, sales management e comunicazione aziendale. Altrimenti, gli spunti di cui sopra vi avrebbero toccato nel profondo: perché vengono toccati (e sconfessati) tutti gli strumenti di lavoro principali.

Si tratta solo di alcune delle riflessioni contenute in [mini]marketing – 91 discutibili tesi per un marketing diverso di Gianluca Diegoli, l’e-book che da qualche giorno sta ampiamente facendo discutere la Rete italiana. E, si badi, non solo di quella parte formata da professionisti che abitualmente si occupano di marketing: anzi, soprattutto di chi non lo fa.

Chi è a digiuno di questa disciplina e delle sue sorelle, infatti, trova le tesi di Gianluca “semplicemente” lineari, spontanee, quasi “ovvie”. Al contrario, chi conosce teoria e soprattutto prassi di questo ambiente, ne coglie la forza rivoluzionaria e, purtroppo, la difficoltà di accoglierle nella propria vita professionale.

Per quanto ciò sia contrario ad ogni principio di buon senso, il mondo del marketing è negli anni diventato tradizionalista, poco aperto e difficilmente innovativo. Viene da pensare che la necessità di affermare una propria scientificità abbia fatto irrigidire i professionisti su posizioni sufficientemente “sperimentate” per essere credibili.

Ora, con la contrazione dei mercati, la tentazione sarà quella di continuare a riciclare all’infinito le 3 idee che hanno mediamente funzionato negli anni passati. Al contrario, forse, dovremmo avere il coraggio di ascoltare Mr. Diegoli ed azzardare qualche cambiamento importante. Coraggio e capacità di ascoltare. Argh.

Un anno di Max

Qualche mese fa era possibile abbonarsi ad un anno di Max per la modica cifra di 9,90 Euro più spese di spedizione (?) e ricevere così a casa propria il periodico maschile più diffuso in Italia. Un investimento interessante per comprendere cosa attrae così tanti lettori in un mercato editoriale asfittico.

Ciò che emerge da un anno di Max è che il mensile è in realtà molto diverso da ciò che, da esterni, immaginiamo esso sia. Siamo mediamente sicuri che si tratti di un giornalino semi-erotico e bisogna dire che le copertine difficilmente smentiscono questa fama. Ma non è così; o, almeno, non è solo così.

Mediamente ogni numero contiene un servizio fotografico con belle donne discinte. Ma le altre 200 pagine della rivista hanno una vocazione molto diversa: si possono leggere abitualmente dossier su temi caldi, indagini sui consumi, rubriche umoristiche e aggiornamenti su eventi culturali e politici.

Proprio quest’ultima parte, a dire il vero, è il punto debole della rivista. Solleva parecchie perplessità veder parlare ancora, con un mese e mezzo di ritardo, degli eventi minimi della vita quotidiana nazionale. Causa parecchi sbadigli leggere editoriali, magari satirici, basati su avvenimenti ormai vecchi.

Sarebbe perciò più interessante leggere un mensile completamente sciolto dalle vicende politico-economiche di tutti i giorni. Una rivista che continui su una strada di approfondimento dei temi caldi, ma che voli altra rispetto alle banalità che ogni giorno gli altri media ci raccontano con intensità.

Con i tempi della Rete, infatti, ormai un mensile rischia di diventare un dinosauro che fa capolino una volta al mese: qui siamo di fronte ad una redazione coi fiocchi, con ampie possibilità di crescita. Perché le vendite sex-based non potranno durare in eterno: meglio puntare su cultura e intrattenimento.