Luci ed ombre della Rete, edizione fine 2004

Da una parte c’è il passaparola della Rete che si mostra incomparabile strumento di ausilio alle vittime dello Tsunami ed ai familiari delle stesse, dall’altra la Rete festaiola che trasmette in diretta da Times Square i festeggiamenti per il Capodanno statunitense. Ancora una volta, le anime della Rete si confrontano, si scontrano e qualche volta si incontrano.

Si incontrano, negli ultimi giorni, nei mezzi di comunicazione tradizionali che in questi anni si sono affacciati sulla Rete: eternamente bisognosi di trovare una giustificazione economica alle loro iniziative, anche a costo di inquietanti compromessi rispetto all’indipendenza giornalistica, ma affascinati dall’anima più “naturale” della Rete. Basti pensare, ad esempio, ai messaggi di Repubblica.it, che cercano di mettere in contatto sopravvissuti e famiglie. Quest’anima “viva” del Web è quella che fa girare informazioni, dati, notizie su quanto accaduto dall’altra parte del mondo, attraverso comunità virtuali, blog, home page personali ed i media se ne stanno accorgendo.

Che una volta esistesse solo questo tipo di Rete è un dato di fatto: che possa esistere da sola, ancora adesso, è un’utopia. Non necessariamente positiva, tra l’altro: l’anima commerciale del Web trae linfa vitale da questa piacevole anarchia comunicativa (le aste sono l’esempio emblematico) e ne supporta economicamente la crescita. Fondamentalmente, gli ISP sono stati i primi soggetti economici che hanno sostenuto la crescita del Web anche grazie agli investimenti dell’altra anima, quella commerciale anche attraverso la concessione di servizi free come hosting gratuito di pagine, blog, forum.

Il problema, come al solito, è che questa Rete “commerciale” non riesce a tenere il passo dell’altra, non capisce come far soldi e sopratutto chi deve darli, sbagliando tempi e modi. Che lo faccia la TV, è praticamente scontato: show must go on ed ogni tanto basta qualche edizione straordinaria a testimoniare un qualche vago interesse per la vicenda ed accaparrarsi un po’ di audience. Persino su questi temi i soliti noti riescono a fare polemica incrociata.

Che i giornali arrivino tardi, è ormai assodato: quante copie degli “speciali 2004” andrebbero messe al macero per non aver incluso la notizia più importante dell’anno (e no, non è quella relativa ai tagli alle tasse)? Sulla Rete, però, si potrebbe fare di più e meglio: buon 2005 a tutto il mondo della comunicazione, sperando che non debba più sbandare per eventi così drammatici cercando di elemosinare attenzione mentre tutti pensano a zamponi e lenticchie.

Comunicare in una soffiata

La Ventura in una delle sue pose miglioriChissà chi è stato a dare a Novella 2000 il testo integrale degli SMS inviati da Gori alla Ventura. Visto che dovrebbero essere stati portati dagli avvocati di Bettarini come prova della causa di separazione, i primi colpevoli potrebbero essere proprio loro. Strano, però, che abbiano valutato le implicazioni legali della faccenda. O forse l’hanno fatto, giungendo alla conclusione che ne valeva comunque la pena?

Sembra di essere tornati ai tempi del TACS, quando la tendenza molta italica a “clonare” i cellulari analogici era stata uno dei motivi per cui quella tecnologia non è mai decollata. Comunicare al cellulare via GSM apparve invece come una sorta di toccasana: un segnale digitale, criptato, permetteva sogni tranquilli ai più. Qualche perplessità è in seguito emersa a causa di tecnologie complementari come le troppo aperture di Bluetooth, ma la tecnologia core è sembrata sempre inviolabile.

Un articolo de Il Corriere della Sera ci informa che, per poter intercettare le comunicazioni via SMS, si deve ricorrere ad «apparati elettronici costosissimi (anche 500 milioni) e quindi non alla portata di chiunque». Le sanzioni, al contrario, sono del tutto marginali: qualche centinaio di Euro tra multe penali (…) e oboli per i danni alla privacy. Un gioco economico con più facce, verrebbe da dire: la Ventura chiede 10 milioni di Euro di rimborso, Bettarini le risponde che sono solo «aspetti formali marginali». Un investimento azzeccato, probabilmente.

Creiamo valore, Ipse dixit

Pare che il Tesoro voglia verificare se la decisione del Consiglio di Amministrazione Enel di acquisire Ipse possa realmente creare valore per gli azionisti dell’azienda energetica e (di fatto) per i cittadini italiani. Bella strategia per cercare di salvarsi le spalle e soprattutto l’immagine pubblica. D’altra parte, c’è già l’H3G di turno che si lamenta

Non è la prima volta che assistiamo a questi balletti per cercare di convincere l’opinione pubblica che sì, può sembrare strano che un’azienda controllata dallo Stato continui a fare shopping di disastri economico – finanziari, ma tant’è, a volte è meglio accettare il male minore. Forse.

La storia di Ipse 2000, come la raccontano i pochi dipendenti superstiti, non è molto esemplare: un’escalation drammatica che segue uno startup a pieno ritmo. Sembra la storia di molti altri fallimenti della bolla speculativa che scoppiò in Europa proprio con la gara – farsa per le licenze UMTS. La differenza principale, però, è che la vicenda di Ipse 2000 coinvolge nomi notevoli dell’economia europea: non solo le italianissime Banca di Roma (poi Capitalia) e Falck, ma anche imprese a vocazione internazionale come Telefonica o Acea Electrabel. Proprio Telefonica, d’altra parte, ha cercato sino alla fine di inglobare il tutto secondo gli schemi aziendali, cercando di ispirarsi a Tim e sognando di diventare la Vodafone dei poveri: con pessimi risultati, ovviamente.

C’era una volta NoiCom, ed ora non c’è più. C’era una volta Blu, ed ora rimane solo come spauracchio per chi vuole investire nel settore della telefonica mobile senza un approccio sensato. C’erano una volta tante altre piccole e grandi aziendine telefoniche, di telecomunicazione, di comunicazione. Di valore per gli azionisti, nemmeno l’ombra. Di clienti ancora meno. E lo Stato, o chi per esso, decideva (e decide) il loro destino secondo un’algebra bizzarra, spesso facendo le orecchie da mercante.

E che mercante.

Auguri e business

Le cartoline per gli auguri “virtuali” sono ancora in voga, così tanti anni dopo le loro prime apparizioni sul Web. All’inizio fu BlueMountain, che proponeva delle scarne pagine HTML che, con uso sapiente delle Gif animate, dei file Midi e delle ancore intrapagina davano la sensazione di essere a dir poco multimediali, in un periodo in cui il Web era soprattutto testo nero su sfondi bianchi e non era così dissimile dal Gopher che l’aveva preceduto.

Poi vennero i concorrenti, primo tra tutti Hallmark, che da anni può contare su un vero e proprio impero di buoni sentimenti, veicolati in biglietti cartacei o persino attraverso canali televisivi visti in tutto il mondo. Una partnership vittoriosa fu quella con Yahoo!, che tra i primi link “fissi” della sua Yahoo!Mail inserì proprio quello alle cartoline del gigante degli auguri. Se era arrivata Hallmark, il business doveva esserci!

Peccato che, come al solito, nessuno ha mai capito granché quale dovesse essere, questo business model. Gli unici soldi che giravano sembravano essere quelli delle mega acquisizioni, come quella di Excite@Home su BlueMountain, poi finita in altre mani. I primi siti nascevano anche in Italia, ma tanto per cambiare l’unico tentativo di racimolare qualche cent era quello di inserire qui e lì qualche link pubblicitario: erano pur sempre e-mail indirizzate a destinatari realmente esistenti (almeno a livello di indirizzo). Ciò che è necessario per un po’ di spam leggero, insomma.

Gli ultimi tentativi, negli ultimi anni, sono stati quelli di vendere cartoline sempre più elaborate, solitamente in Flash, lasciando solo qualche teaser a disposizione delle spedizioni gratuite. Come dire: comunicate pure in maniera cool, ma dateci l’obolo. In questi giorni di festa, a sensazione è che la gente continui a comunicare sì con le cartoline virtuali, ma di oboli nemmeno l’ombra. Tra l’altro, l’aveva già scoperto The Industry Standard molti anni fa…

Menti illuminate ci illuminano sul futuro dei nostri figli

Ci sarebbe da domandarsi a cosa volessero giungere gli organizzatori del convegno sulle “Nuove solitudini” (eh?) invitando allo stesso tavolo antropologi e neurologi. A leggere le agenzie, sicuramente ad un po’ di pubblicità. La ricetta è sempre la solita: far dire banalità melodrammatiche a medici e ricercatori per recuperare un po’ di spazio su quotidiani gratuiti e radio locali, tipicamente i mezzi più golosi di queste notizie. I media mainstream, invece, di solito ignorano del tutto i proclami. A meno che non siano a corto di notizie, ovviamente.

Forse per paura di perdere persino il proprio pubblico affezionato, stavolta, non si è risparmiato sulle “notizie – bomba”: scopriamo che non solo i videogiochi fanno “male” ai ragazzi, ma anche la televisione ha il suo bel ruolo nel rincretinirli.

[Continua…]

Alla riscossa contro le vanzinate

Il punto inglorioso toccato da Aldo, Giovanni e Giacomo con La leggenda di Al, John e Jack meritava vendetta: di fatto, i tre sono spesso stati un’eccezione positiva nel mondo comico natalizio italiano popolato da “vacanzieri” volgarotti. Nonostante qualche mese fa era stata diffusa la notizia che quest’anno la vanzinata non ci sarebbe stata, all’improvviso le città italiane sono state invase dai mega cartelloni rossi con le faccione di Boldi e De Sica, oltre alla consueta campagna televisiva (tra trailer ed ospitate).

A far loro concorrenza, appunto, l’ampia campagna su affissioni e soprattutto luoghi e mezzi pubblici (autobus, pavimenti delle stazioni e così via) di La conosci Claudia?, il film che deve far dimenticare il precedente, ambientato negli anni Cinquanta, che ancora oggi provoca l’orticaria. Speriamo solo che, almeno, il nuovo film faccia ridere: per molti questa sembra una sorta di “ultima chance” che il pubblico concede ai tre purché tornino a far ridere e non giochino più a fare gli pseudo-attori.

La distribuzione di ben 550 copie del film dovrebbe garantire un “muro” sufficiente rispetto non solo a De Sica & C., ma anche a Shrek 2 e Ocean’s Twelve: per gli altri film, probabilmente, non ci sarà proprio spazio. Considerando che l’anno scorso gran parte dei contributi statali al cinema italiano sono andati al film natalizio dei Vanzina, ci sarebbe da augurarsi che almeno quest’anno la distribuzione riguardi qualche produzione in più, fosse anche La conosci Claudia?. Gli attori italiani come Ottavia Piccolo recitano con Aldo, Giovanni e Giacomo probabilmente proprio perché altrimenti non potrebbero nemmeno “ambire” ad un ruolo nel film di cassetta vanziniano, che utilizza principalmente volti televisivi à la Ron Moss.

Buona fortuna ai tre, dunque, che almeno ci provano. Certo la scelta di Paola Cortellesi come femme fatale potrebbe lasciare perplessi, ma è pur vero che l’attrice ha una visibilità televisiva sufficiente ad aumentare le chance di attirare il grande pubblico. Riguardo alla trama: lasciamo perdere, è sempre la solita, come per i Vanzina.

Treni vs. Aerei, 1 a 0

Un servizio su cui varrebbe la pena di investire in questo momento storico dell’Europa? I trasporti. Ad osservare le migliaia di persone che ogni giorno si muovono all’interno dei nostri Paesi e sempre più tra Paesi diversi, ci si può agevolmente rendere conto di quanto possa essere interessante questo settore industriale. Treni, aerei o auto: i mezzi sono i più diversi, così come le finalità dei movimenti. C’è chi si sposta per lavoro, chi per passione, chi per incontrare i propri familiari, chi per motivi di salute. Ognuno di queste occasioni di viaggio ha budget e flessibilità diversi: i vettori aerei sono i primi che se ne sono resi conto e così hanno progressivamente differenziato la propria offerta.

Questo ha richiesto una tale flessibilità nella profilazione delle tariffe da rendere necessario introdurre sistemi sempre più avanzati di ticketing: da un lato tariffe flessibili in base a data di prenotazione ed orari, dall’altro, la necessità di erogare ticket elettronici non solo via Web, ma anche da parte dei più tradizionali agenti di viaggio, anche a distanza ravvicinata dalla partenza. Tutto meraviglioso ed efficiente… Peccato che i voli delle compagnie europee saltano a più non posso.

Alitalia è leader in questa specialità olimpica: scioperi, fermi per nebbia, ritardi, soppressioni. Non c’è da meravigliarsi che Trenitalia stia guadagnando nuovo terreno con le sue offerte dedicate a clientele differenziate: muoversi in poche ore tra Roma Termini e Milano Centrale è decisamente più comodo e veloce di (riuscire ad) arrivare a Fiumicino o a Milano Malpensa. All’estero non è molto differente: i TGV, ad esempio, sono una valida alternativa agli aerei. Viva i treni: inquinano meno, costano meno, funzionano sempre. Se solo li pulissero, ogni tanto…

L’élite che si nazional – popolizza

Chi torna indietro nel tempo ad osservare le prime comunità virtuali, trova spesso citati i “grandi classici”: The Well, ad esempio. In realtà, spazi virtuali di questo tipo andavano al di là del concetto contemporaneo (sempre più tendente a quello di “forum” e similari) poiché supportavano gli spazi comuni con un’attività più “sistemistica” di gestione di accessi, connettività, software condivisi.

Un esempio tipico, in Italia, era la Rete Civica di Milano: nata dalla fruttuosa collaborazione di enti pubblici, Università ed associazioni, ha visto nascere intere comunità all’interno delle “conferenze”, ha coordinato attività che hanno fatto breccia tra i cittadini di Milano e non solo, “educandoli” all’uso della Rete ed alle potenzialità insite negli strumenti informatici e telematici.

Sembrerebbe sulla stessa linea la nuova edizione di “Alla conquista del Web – Scopri il tesoro della comunicazione“, un’attività didattica per i più giovani… Eppure.

La grafica del sito, è evidente, è quantomeno dozzinale. Dov’è finita la classica eleganza che contraddistingueva le iniziative dell’RCM? Vada per il fatto che è un sito per i più giovani: ma forse proprio per questo, forse proprio per l’innato senso stylish che hanno le nuove generazioni, si poteva fare di meglio. Anche le descrizioni dell’iniziativa potevano assumere un tono meno luogocomunistico. Sarà che ormai, in Italia, la Rete è, per fortuna, tutto tranne che qualcosa di élite. Non per questo, però, è un piacere assisterne alla nazional – popolizzazione.

Web Marketing Tools, RIP

Rimane ancora qualche traccia, nelle Rete che non dimentica, di quella versione italiana di Business 2.0 che fu una vera e propria meteora nelle nostre edicole. Progetto editoriale che era nato nel momento peggiore del mercato di riferimento: in pieno sboom internettaro dopo anni di euforia. Molti di noi ancora aspettano un rimborso da parte della casa editrice per i numeri che non sono mai usciti.

Leggendo oggi un po’ di commenti sulla Rete, torna alla mente quel tipo di situazioni, ma stavolta con una vittima ben più illustre: Web Marketing Tools, la rivista chic dei markettari italiani, che pare chiuda definitivamente i battenti. Muore di sicuro la versione cartacea: le newsletter periodiche continuano, per ora, ad arrivare agli iscritti. Un brutto colpo, in un panorama dove non ci sono riviste capaci di raccoglierne l’eredità.

Nell’interessante discussione avviata su Mlist, molti si interrogano sul perché della dipartita: sicuramente l’accelerazione impressa al mondo editoriale dai blog è una delle cause principali. Tuttavia, se qualcuno si chiede “quanti” tra le donne e gli uomini di marketing contribuissero, un dubbio forse più rilevante è: quanti leggevano con attenzione e quanti avrebbero voluto scrivere? Quanti invece di riflettere sugli spunti proposti si rodevano il fegato dicendo “Perché non mi hanno invitato?” o amenità simili? Una sorte di sindrome da blogostargia elevata a potenza.

Anche in questo caso, a posteriori, rimarranno le tracce del mondo di WMTools: ad esempio Kangaroo, uno dei siti di offerte di lavoro più settoriali d’Italia, forse mai partito davvero. Speriamo rimangano, tuttavia, anche gli archivi della rivista, in accesso gratuito o a pagamento: sarebbe un patrimonio difficile da perdere senza i rimpianti per ciò che potevano darci, ancora.

Coscienze pulite, polmoni sporchi

Si dice spesso che le religioni “tradizionali” hanno problemi di “immagine” nell’attrarre i nuovi adepti o quantomeno conservare quelli esistenti. D’altra parte, se la religione fosse un servizio per il quale ideare campagne di marketing, sarebbe quanto meno un prodotto bizzarro. Pensiamo ad una nazione come l’Italia in cui sulla totalità dei potenziali “clienti” (qualunque cittadino, dal neonato al moribondo) una grande parte ha già aderito subito dopo la nascita alla religione col più ampio marketshare: concretamente, però, gli heavy users sono pochi, molto pochi.

Negli ultimi anni abbiamo visto un po’ di tutto per attrarre nuovi proseliti: convention, grandi eventi, direct marketing per ogni Chiesa che vuole partecipare alla festa annuale dell’8 per mille. La Chiesa Valdese, ad esempio, è diventata quantomeno nota proprio grazie alla crescente insofferenza rispetto alle concorrenti: quanti hanno messo la crocetta su questa Chiesa semisconosciuta sulla propria dichiarazione dei redditi per “sfregio” rispetto ad una rigida formazione cattolicheggiante?

Oggi piove una nuova tegola sulle Chiese europee: pare che andare in chiesa faccia male. A voglia a lamentarsi che nessuno vada più a seguire le funzioni della propria religione: i fumi di incenso e candele, presenti pressoché in tutte le religioni “classiche”, arrivano a superare di 20 volte i limiti delle particelle dannose stabiliti dall’Unione Europea.

Sarà anche un bel colpo di immagine per l’Università di Maastricht, quello di pubblicare dati che scavano così a fondo nell’immaginario di ognuno di noi. Ma quanti, onestamente, hanno passato un’intera giornata in una chiesa e quanti, invece, l’hanno passata nel traffico? Peggio la vita del corista da chiesa o del vigile urbano?

Dopo quella che ci metteva in guardia contro i fumi della cucina, spettiamoci la prossima ricerca su quanto faccia male frequentare i pub: la quantità incredibile di fumo che vi si respira, effettivamente, dà spesso più fastidio di quella che si trova nelle strade.