So tutto di te

È di qualche giorno fa la notizia che un giornalista di Chicago sia riuscito a ricostruire l’identità di migliaia di spie della CIA utilizzando servizi informativi disponibili sulla Rete, gratuitamente o a pagamento. Abbastanza scontata la sconvolta reazione delle autorità statunitensi: nel continuo sforzo di sapere di tutto di più delle abitudini di navigazione degli utenti Internet, scoprono di essere le prime vulnerabili. Doveri di comunicazione istituzionale da una parte e strumenti di ricerca delle informazioni dall’altra sembrerebbero una morsa (piacevolmente, a volte) fatale per chi vuole avere segreti a tutti i costi.

Una decina di anni fa, mentre anche in Europa Internet stava iniziando il suo percorso di eccellenza e notorietà, aveva destato sorpresa e preoccupazione la scoperta che InfoSpace, allora portalone informativo onnicomprensivo, potesse restituire i riferimenti telefonici e quindi geografici dei navigatori dei maggiori Paesi del mondo, linkati ad una cartina 2-D abbastanza precisa. Negli anni successivi, il servizio è diventato pressoché scontato anche in Europa: i principali fornitori di directories hanno iniziato a fornire gli stessi servizi confidando nella qualità e nell’aggiornamento dei propri dati, a volte in cooperazione con siti più specializzati sul mapping puro.

Dopo i picchi di precisione raggiunti negli scorsi anni, ora è iniziato il percorso inverso, dovuto alle più restrittive leggi sulla privacy e sulla disponibilità pubblica dei dati in via di adozione in tutta Europa: chiunque, anche in Italia, ha provato l’esperienza frustrante di non trovare più i numeri telefonici un tempo disponibili gratuitamente su diversi siti. Quello che invece sta esplodendo, al contrario, è la volontà di comunicare i propri dati urbi et orbi in maniera diversa: chi prima scriveva in chiave (semi)anonima su forum e newsgroup, oggi abitualmente ha un blog nel quale si firma con nome e cognome. Magari il blog ha un tono professionale e questo fa rapidamente intuire la professione dello scrivente: magari si seguono i suoi commenti disseminati in altri luoghi e se ne conferma ed amplia la conoscenza.

Sarà interessante vedere come la notevole capacità di visualizzazione delle informazioni di strumenti come Google Earth potrà progressivamente essere ampliata dal desiderio, magari proveniente dal basso, di comunicare le proprie informazioni e quelle dell’ambiente circostante, linkandole in maniera progressiva ed esaustiva. Sembra quasi di iniziare a vederlo, un mondo virtuale parallelo in cui le copie digitali di quello reale vengono completate con le informazioni disseminate per la Rete da chi quel mondo reale lo vive, al pari di quello digitale. Come tutte le tecnologie innovative, sembra utilizzare un approccio interessante ed utile: anche pericoloso, se utilizzato male.

 

La Costituzione Italiana garantisce la libertà di pensiero e di espressione

Sebbene non dedichino al tema la stessa enfasi che negli Stati Uniti viene data al quinto emendamento, le Costituzioni europee pongono al cuore stesso del loro sistema i temi delle libertà civili, in particolare di quella di pensiero e di espressione. Lo fanno in maniera più o meno ampia, più o meno estesa, ma sembrano crederci fino in fondo: le democrazie europee sono nate grazie al sacrificio di chi quei diritti non ha potuto esercitarli, ma ha donato la propria vita ed il proprio lavoro affinché altri potessero darli per scontati.

Questo, ovviamente, fa sì che oggi si goda, per diritto acquisito, della possibilità di dire, fare e vedere ciò che si desidera, come e quando lo si desidera. Persino l’accusa ai fanatici del calcio di sfruttare lo streaming delle televisioni orientali per guardare in formato francobollo le partite potrebbe, in qualche modo, essere un esercizio di libertà e diventare perciò una limitazione l’impedirne l’uso tramite inquietanti filtri su scala nazionale. Si tratta dello stesso atteggiamento visto sulla vicenda delle scommesse sportive: per impedire l’utilizzo illecito di servizi forniti da stranieri si cerca di tutelare gli operatori italiani attraverso limiti alla libertà. Se non è possibile sconfiggere diplomaticamente il nemico, si abbatte il ponte che ci collega alle sue terre.

Per fortuna, verrebbe da dire, lo Stato tutela almeno la stampa tradizionale, anche quando la sua diffusione è inferiore a quella di un sito Web di media rilevanza: vengono tutelate le idee dei giornalisti, spesso portavoci di importanti questioni di interesse comune. Un tema caldo, sentito dai cittadini, che due settimane dopo il post sul tema di Beppe Grillo, continuano a commentare la sua indignazione per i contributi “a pioggia”, in particolare a quelli editi da cooperative e movimenti politici. In un generale clima di sfiducia verso politici e tycoon dei media (quando la figura non coincide…), d’altra parte, ci si schiera rapidamente su un lato o sull’altro della barricata.

Il sonno della ragione populistica, però, genera mostri: Grillo tira in mezzo persino Il Mucchio selvaggio, storica rivista appoggiata dalla scena alternative italiana. Al contrario, sfuggono dalla trivella operazioni editoriali poco chiare in cui interessi economici e sostentamenti alla politica si mischiano: tema molto più preoccupante dei contributi dello Stato, ufficiali e noti a tutti. Contributi che, comunque, sono lo specchio della realtà economica: se un settore va male, la sua editoria specialistica soffrirà e soffocherà, senza l’aiuto indiretto da parte dei cittadini. Naturalmente, non tutti gli operatori del settore desidereranno gli aiuti: l’importante, come al Pronto Soccorso, è che chi merita di star bene ed ha un periodo di difficoltà, riceva le cure adeguate.

Cina vs. Mondo, 2 a 0

Il goal più importante che la Cina potesse segnare nei confronti del resto del mondo, l’ha già fatto qualche anno fa, aprendosi all’economia di mercato e soprattutto spalancando le proprie porte agli investitori esteri, ansiosi di avere manodopera a costo infimo anche per le lavorazioni più raffinate, quali quelle hi-tech o quelle dell’alta moda. In pochi anni, siamo arrivati al punto che – chiunque può verificarlo guardando i regali fatti a Natale – la maggior parte dei prodotti d’uso quotidiano viene prodotta proprio lì. Per ora, i marchi sono ancora quelli occidentali: presto i cinesi non dovranno nemmeno pagare questi balzelli ai marchi più noti, avendone appreso tutto il knowledge.

Il secondo goal la Cina lo sta segnando in questi giorni e le farà vincere definitivamente la partita: nonostante l’ottimismo di alcuni, sarà la Cina a cambiare il Mondo, più che Internet a cambiare la Cina. Un’azienda che prevede di duplicare i suoi clienti, in qualsiasi settore operi, si guarderà bene dal non rispettare le regole del mercato: i concorrenti ubbidienti sono dietro l’angolo. Non è così certo che sia stato un errore di business: un giorno forse persino Google si renderà conto di avere più utenti nella sola Cina, che in tutti gli altri Stati del mondo messi insieme.

Ogni volta che si discute di dimensioni, in un Mondo che si muove ancora alla velocità del capitalismo industriale ottocentesco, insomma, la Cina sbanca, con le sue enormi economie di scala: produttrice per il Mondo ora, consumatrice del Mondo poi. I cinesi, nel frattempo, sono ovunque, per illustrarci la loro felice via alla globalizzazione: l’Italia impazzisce per la concorrente cinese del Grande Fratello, il Corriere dedica loro un’edizione in lingua madre, Michele Serra ci dimostra quanto la loro ridente comparsa nella nostra vita sia riuscita a mettere in luce le nostre contraddizioni culturali.

Per quanto Google possa ritenere dolorosa ma giusta la sua decisione in merito alle auto-limitazioni alla libertà di informazione, probabilmente sa che sta ancora una volta anticipando quella che sarà la nuova ondata sulla Rete. Le misteriose richieste statunitensi o gli imbarazzanti tentativi di oscuramento italiani sono i figlioletti della decisione-madre cinese. I Governi si sono resi conto che la Rete è ormai troppo libera per i tristi limiti normalmente imposti alla libertà di espressione nella vita quotidiana degli Occidentali: non esistendo vincoli tecnologici all’oscuramento delle informazioni fastidiose, tanto vale approfittarne gratuitamente.

Liberi tutti (di copiare)

Bolle la discussione su Libero Blog, uno dei due servizi che, insieme ad una sorta di Arianna dedicato ai blog, segna la virata modaiola della nuova veste di Libero verso il fenomeno blog. Strategia per nulla nuova, verrebbe da dire, da quando Iol lanciò Softcity nel periodo di prima diffusione della Rete, quando andavano di moda i download di freeware. Allo stesso modo, Italia On Line tentò con i portali legati alle città ed alla ricerca di Mp3, mano a mano che questi temi diventavano di pubblico dominio.

Se “Libero Ricerca Blog” riprende la tecnica di Libero News, l’aggregatore che a sua volta sfrutta l’innovazione originaria di Google News (esplodendone in entrambi i casi gli errori di attribuzione alle label), Libero Blog è un frullatone dei post di presunti “blogger di fiducia” (ma si ha la sensazione che tirino un po’ a casaccio), decontestualizzati, omogeneizzati e resi commentabili sulla nuova piattaforma, con un vago link all’home page dell’autore dei post stessi. La tecnica, anche in questo caso, riprende quella utilizzata in News2000 di prendere i dispacci di agenzia, cambiarne le prime e le ultime righe e ripubblicarli come contenuti originali.

Le reazioni sono tra le più disparate, per lo più negative: a parte la saggia ironia di Paolo Valdemarin e le prese di posizione di Paolo Graziani, si leggono soprattutto strali degli “autori di fiducia”, in particolare di chi, come Alberto, critica l’incauta politica di appropriamento senza notifica compiuta da Libero. Si possono trovare, comunque, anche interventi propositivi come quelli di Marco Montemagno, che individua i trend più promettenti della Rete (come la “folksonomy” di Flickr e simili) e dà suggerimenti all’azienda del Gruppo Wind per riportare l’iniziativa sulla giusta rotta.

La perplessità di fondo (ne parla anche Settolo sui commenti a Mantellini), comunque, rimane nei riguardi di chi, dopo essersi pavoneggiato per mesi con le etichette Creative Commons, si è reso conto che il suo ultimo desiderio era che i suoi contenuti venissero davvero distribuiti liberamente. Un’ampia sottovalutazione dei portati legali di iniziative come le licenze Creative Commons è ravvisabile in chi, seppure in buona fede, ha messo sul proprio blog il richiamo ad una licenza tanto per aggiungere un antipixel in più, senza riflettere sull’effettiva concessione a terzi di grande parte dei propri diritti d’autore.

Se si è davvero sostenitori della libera circolazione delle informazioni, non ci si può scandalizzare che qualcuno, prima o poi, decida di sfruttare i benefici che vengono concessi urbi et orbi. Rimane quantomeno dubbia, in ogni caso, la strategia di Libero di modificare i contenuti, attraverso una misteriosa redazione con tanto di direttore responsabile. Ci si potrebbe augurare che i gruppi di studio italiani sul tema si interessino alla vicenda: sarebbe un bene per i sostenitori della giusta causa e, si spera, un monito per chi, abituato al deep linking di immagini ed informazioni si sente “espropriato” per il fatto che, stavolta, sono i “grandi” che prendono a lui.

Pro Ana, pro Mia ed altri fans

Anorexia sucksDi bello, nell’anoressia, c’è ben poco. Ancor meno nella bulimia. Potrebbero bastare le testimonianze drammatiche di chi le ha superate. Poi si potrebbe leggere anche qualche quindicenne che c’è in mezzo e ne è felice: onestamente, vengono i brividi lo stesso. Non accenna a sgonfiarsi il fenomeno Pro Ana / Pro Mia: nei giorni scorsi la BBC ha parlato di centinaia di siti britannici (o europei in genere) dedicati alle fans (pochi i maschi, si direbbe) adepte a questi brutti disordini alimentari. Eppure se ne parla già dal 2001, con le solite associazioni britanniche che mettono in guardia dai pericoli derivanti dalla lettura dei siti “anoressici” e ne chiedono l’eliminazione ai provider. Effettivamente molti siti ancora segnalati nei motori di ricerca sembrano essere spariti, soprattutto dai server dei vari ISP free. Nel frattempo, la “moda” ha lasciato i confini europei e si è ormai diffusa anche negli Stati Uniti. Siamo arrivati persino alle poesie delle anoressiche:

«Infinity is so damn sweet Your mortal earth cannot compete Starving for the other shore I will not eat! Say it loud & say it now I’m anorexic & I’m proud.»

È difficile, eticamente difficile, decidere se dar ragione alle petizioni contro i siti Pro Ana o a quelle che chiedono che la libertà di comunicare di persone che soffrono di anoressia e bulimia sia garantita. Certo, guardando un po’ dei siti del ring Pro-Ana, si rimane senza parole.
Forse viene da dire Stop Pro Ana.

Pausa di riflessione

Due temi, diversamente scottanti, stanno infuocando blog, forum e comunità varie. Da una parte, le agenzie hanno rilanciato il comunicato stampa dell’Unione Consumatori sulle implicazioni della recente Legge 106/2004 sui siti Web, in particolare sull’ampliamento dell’obbligo di depositare alle biblioteche nazionali copia di ogni informazione diffusa presso il grande pubblico. Dall’altra, pare che gli utenti italiani si siano lanciati nel gioco perverso cercare su Internet i filmati del povero “ostaggio americano decapitato” o il “filmato decapitazione Iraq” (sono le keyword che sembrano più usate), spingendo alla riflessione chi le informazioni le conosce e deve scegliere se diffonderle o meno.

Particolarmente interessante il dibattito sul blog di LorenzoC: si va da chi ricorda simili atrocità anche nel nostro paese a chi non vede l’ora di diffondere l’orrore. C’è qualcosa che lega questo tipo di situazioni alla Legge 106: fino a che punto chi divulga delle informazioni deve essere un “professionista”, fino a che punto deve assumersi le responsabilità di questa azione?

I filmati di Nick Berg verranno downloadati da centinaia di migliaia di persone nelle prossime ore. Da una parte questo è bene: l’orrore, probabilmente, va conosciuto da chi desidera conoscere “la verità”. Dall’altra, quanti saranno i siti che li presenteranno adeguatamente (ad esempio: inserendo una nota per la tutela dei più sensibili) e quanti invece “sbatteranno il mostro in prima pagina”, per aumentare il traffico sul proprio sito? Strumenti come Google ed il suo page rank faranno il resto.

Non bisognerebbe essere molto pessimisti sulla legge 106, comunque. Persino al al Ministero dei Beni Culturali non ci credono. O meglio, da bravi burocrati stanno immaginando dei fantasmagorici comitati che sbroglino la matassa. Probabilmente, finirà come il Decreto Passigli ed altre amenità simili.

Ilaria Alpi e Miran Hrovatin: 10 anni inutili?

Negli ultimi giorni tutti i media Europei, con gli italiani in pole position, hanno abbondantemente speculato sul decimo anniversario della morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Mentre hanno eco anche in Francia le imbarazzanti testimonianze false, le indagini sulla morte dei due sono avvolte nel mistero più cupo.

I due eroi sono stati un esempio, non c’è dubbio. Quello che brucia, è che nonostante gli ospedali, i libri ed i premi “istituzionali”, questo esempio venga spesso dimenticato. Ci vuole il Casini del momento per dire “Grazie” ai giornalisti. La Commissione parlamentare brancola nel buio, nonostante i proclami.

Verrebbe da scrivere che comunicare non è celebrare dei morti coraggiosi, ma dire – gridare, se necessario – la verità, quella verità che i morti in questione cercavano di svelare. Forse anche in questo post si sta facendo lo stesso errore: ma la rabbia è difficile da comunicare.

Il ritorno di Morpheus e le (solite) nuvole sul P2P

Il logo di MorpheusTorna alla carica Morpheus, prodotto di StreamCast Networks che per qualche tempo era stato il “gemello scemo” di KaZaA, oggi leader incontrastato nel settore dei programmi peer to peer. Lo fa con una versione 4 che, interessante sulla carta (permette infatti un’ampia interoperabilità tra i maggiori network mondiali), è un concentrato di spyware ed adware: i commenti sul Forum di Punto Informatico vanno tutti nella direzione di allertare gli utenti a non scaricare il prodotto. Più complessi i giudizi pubblicati sulle piattaforme che permettono il download: c’è chi si lamenta che il programma gli ha “distrutto” il sistema operativo, costringendolo alla reinstallazione da zero, chi plaude all’innovatività.

Peccato che proprio Morpheus, nel luglio scorso, aveva dichiarato

«Morpheus 3.2 è la risposta alle legittime preoccupazioni dei nostri utenti circa l’invasione della loro privacy. Sebbene noi non giustifichiamo la violazione del copyright, non siamo neppure disposti a passare sopra il bersagliamento dei nostri utenti e l’invasione della loro privacy»,

come è ancora possibile leggere nell’archivio di Punto Informatico.

La stessa rivista elettronica, qualche giorno fa, informava dell’iniziativa del consorzio P2P United, l’“associazione di categoria” di alcuni dei maggiori produttori di software P2P statunitensi, di premere sul Congresso USA per essere scagionati dall’idea di favorire la diffusione di contenuti pedopornografci. Un modo per togliersi dalle scarpe almeno un sassolino, rispetto alle continue lotte legali che accompagnano la crescita del P2P.

Le lotte sono arrivate ad esiti paradossali: KaZaA porterà in giudizio RIAA e MPAA per violazione dei propri copyright… (!) Un altro protagonista di ripetute disavventure legali, il Michael Robertson CEO di Lindows, ha nel frattempo lanciato una versione gratuita del proprio sistema operativo attraverso i vari sistemi P2P. Un modo di superare le controversie legali che l’hanno visto soccombere in molti stati europei…

Se la “negligenza” uccide i giornalisti

Non ha fatto lo scalpore che meritava la notizia delle agenzie sulle “negligenze” statunitensi nell’uccisione, a cannonate, di due giornalisti a Baghdad.

Anche se .commEurope non si occupa di politica, c’è il massimo interesse a parlare di corretta informazione: perciò fa impressione il report Two murders and a lie, disponibile sul sito di Reporter sans frontières. L’associazione merita sempre attenzione: già qualche tempo fa si sentii qualche mormorio a proposito dell’iniziativa Adotta un giornalista, in favore dei giornalisti misteriosamente “fagocitati” nel mondo. Sarebbe stato bello sentire delle voci, gridate.