L’alta definizione? Non interessa a tutti

Sei in giro per la città e sbadigli nel traffico mentre cerchi di sintonizzare la radio. Passi una, due, tre frequenze e poi ti fermi su quella che si sente decentemente. Scendi dall’auto, indossi le cuffiette e vai a fare una corsetta: alle orecchie hai l’iPod e ti congratuli con te stesso per la qualità dell’audio rispetto a quella sentita prima in auto. Fai un allungo fino a Blockbuster per riportare un DVD noleggiato, scaduto da mesi.

Torni a casa e accendi il televisore: Inizi lo zapping e guardi un po’ di secondi di tante trasmissioni in onda. Alla fine ti fermi su un canale che sembra attirare la tua attenzione ma in realtà ti viene in mente che devi fare altro, nella stanza vicina. La TV sta accesa in sottofondo e magari la ricezione non sarà perfetta, ma non ti va di accendere il decoder per cercare il canale più pulito tra quelli in arrivo via satellite.

“Fare altro” si traduce nel dare un occhio alla coda del client P2P che hai lasciato a scaricare bit per tutto il giorno. Al mattino hai scelto due-tre film tra i più popolari del momento ed ora puoi guardarli senza andare al cinema o aspettare che siano pubblicati in DVD. Spegni la TV accesa nella stanza vicina ed inizi a guardare un DivX che, si direbbe, è stato ripreso con una telecamera nel buio di un cinema di provincia.

Mentre il film va avanti, ti cade l’occhio sulla fotocamera che hai lasciato domenica sera accanto al PC. Approfitti della serata attaccata allo schermo (altrimenti sarebbe difficile carpire il parlato del film) e inizi la copia delle foto. Il download è veloce: nonostante la tua fotocamera supporti i 7 MegaPixel, tu scatti le foto con qualità media. Tanto pensi che non le stamperai mai e così sulla schedina SD ce ne vanno di più.

Poi vai a dormire e ti fermi un attimo a pensare: continui a circondarti di apparecchi elettronici di alta qualità ed alta definizione, poi li utilizzi alla meno peggio. Ti diletti con i video formato francobollo di YouTube invece di vedere gli originali sullo schermo al plasma nel soggiorno, ascolti le canzoncine sull’iPod a 128 Kbps invece di ricorrere all’ampia discografia in CD che giace impolverata sulla libreria.

Preferisci scaricare film in bassissima qualità in DivX piuttosto che ricorrere al DVD fisico da comprare o noleggiare sotto casa. Hai MySky HD compreso nel tuo pacchetto satellitare, ma alla fine lo utilizzi sì e no una volta l’anno per registrare una partita di basket che poi non guarderai mai. Se tutti fossero come te, il mercato dei dischi ad alta definizione tipo Blu-Ray non decollerebbe mai.

E in effetti il mercato dei dischi ad alta definizione non sta decollando affatto. Chissà perché?

Anica, AnicaFlash e Coming Soon

Tra tutte le associazioni aderenti a Confindustria, l’Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediali, per gli amici Anica, è tra le più vive e promettenti. Sarà per l’effervescenza del settore industriale di appartenenza (principalmente cinema ed indotto), ma Anica svolge bene i suoi compiti istituzionali e spesso espande il proprio ruolo anche ad ambiti inaspettati. Dalla sua fondazione nel Dopoguerra ad oggi, non solo è diventata l’antenna italiana dell’Academy Awards, ma si è anche affermata a livello internazionale come ente leader di molti progetti internazionali.

Anica supporta quotidianamente la aziende socie, in vari modi: promuovendone attivamente le produzioni e le distribuzioni, monitorando la legislazione del settore, promuovendo accordi internazionali, mediando la complessità delle istutizioni europee attraverso MediaDesk Italia. Negli anni, soprattutto la prima attività è riuscita a crearsi credibilità e fiducia presso il grande pubblico: “Appuntamento al cinema” è un’etichetta che ci accompagna da anni e fa spesso capolino nei palinsesti televisivi delle reti Rai. I trailer sono d’altra parte brandelli di cinema e non è un caso che, rispetto agli spot tradizionali, riescano a rappresentare uno spettacolo di per sé.

Proprio su questo assioma si basa il mondo di Coming Soon, costola di AnicaFlash, alias la società che da 30 anni distribuisce le “rubriche cinematografiche” a radio e televisioni private. Coming Soon è il marchio che progressivamente, prima via satellite, poi via digitale terrestre e Web, ha iniziato a rappresentare un vero e proprio faro per gli appassionati di cinema italiano ed internazionale. Se il canale televisivo è riuscito a creare un palinsensto low cost, ma decisamente guardabile, è stata soprattutto la Rete a far decollare l’infotainment cinematografico: oggi il sito istituzionale di Coming Soon è una delle community più attive in questo ambito.

Con il tempo, nuovi strumenti promozionali sono stati partoriti grazie alla flessibilità delle nuove tecnologie ed alla maggiore disponibilità di banda sul Web: l’esempio più eclatante è il box chiamato “Andiamo al Cinema” (ti pareva), che tutti i gestori di blog personali o siti dedicati al mondo del cinema possono inserire sulle proprie pagine, dopo averne fatto formale (…) richiesta a Coming Soon. Le informazioni (ad esempio le sale in cui è possibile vedere il film, per provincia) vengono fornite nel frame stesso e quindi non è necessario lasciare il sito ospitante. In fin dei conti, è carino da guardare e non crea grossi problemi tecnici: così si farà pubblicità ai film in uscita ma non si guadagnerà un centesimo… Ma vuoi mettere la soddisfazione di offrire un servizio così ai propri lettori?

Cinema e Web: update 2007

Periodicamente è opportuno verificare l’interazione che esiste tra Cinema e Web: esattamente un anno fa, ad esempio, l’occasione era stata data dal lancio di H2Odio,  il film di Alex Infascelli lanciato dal Gruppo L’Espresso nelle edicole italiane e sul Web, in streaming. Allora i dubbi sul pricing erano più che fondati: frutto della solita paura atavica degli editori nel confronto dell’e-commerce, non avevano alcun confronto plausibile con le esperienze internazionali. Siamo alle solite: gli editori in questi anni si sono mostrai bravi a proporre informazioni, ma imbranati nel vendere servizi (basti provare, sempre per restare in ambito L’Espresso, il costosissimo acquisto di arretrati di opere tramite il Servizio Clienti de La Repubblica). Molto più “sul pezzo”, si direbbe, ISP ed operatori specializzati.

Il logo del servizio Tiscali Movies NowSul Corriere di oggi, è Tiscali a diventare innovatrice di mercato. La sua reincarnazione inglese, infatti, ha lanciato il servizio Tiscali Movies Now, una piattaforma di download di film integrali a basso prezzo: titoli di varia natura (dai bestseller di Woody Allen a misteriosi filmetti inglesi) da scaricare per una manciata di sterline, con un buon margine di scelta nella qualità desiderata. I film possono infatti essere scaricati in un formato adatto ai player portatili, ma anche in qualità VHS ed in qualità DVD: in molti casi, inoltre, è possibile scegliere se noleggiare il film o acquistarne una copia digitale.

Auchan Bergamo offre il noleggio DVD a 1,50 EuroLa piattaforma di Tiscali non sarà innovativissima dal punto di vista tecnologico (il sistema gira grazie allo schema Playforsure di Microsoft ed ai relativi sistemi di rights management), ma è un buon segnale per il mercato home video europeo. Le catene di noleggio tradizionali sono già state messe in crisi da TV satellitari ed ipermercati (persino in Italia è possibile noleggiare le ultime novità a 1,90 Euro al giorno): speriamo trovino nuovi stimoli da questa sfida lanciata dalla Rete, solitamente temuta come foriera di illegalità tramite il download non autorizzato dei film.

Il mondo della televisione ha già capito che i video su Internet non sono solo quelli di YouTube e corre a creare marketplace per gli affezionati. Il Cinema è un po’ più timoroso e per ora vede la Rete soprattutto come uno strumento di marketing ed informazione sui propri prodotti: è ormai abitudine produrre un sito per ogni film distribuito, con tanto di blog a raccontare l’avanzamento della produzione (bisognerebbe capire in cosa sarebbe “blog” quello di Shkrek III, però). Peccato che di solito queste iniziative svengono dopo il termine delle proiezioni, rinascono per l’uscita in home video e muoiono definitivamente poche settimane dopo.

Mondo cane, il mondo non cambia

Un’attività divertente per i curiosi del mondo televisivo nostrano consiste nello spulciare i palinsesti notturni: a parte Gabriele La Porta che pontifica sulla “sua” RaiNotte, sugli altri canali si sviluppa un florilegio di contenuti “alternativi”, frutto di attenta attività di raschiamento dei fondi di magazzino da parte dei programmatori. I dati infinitesimali sugli ascolti, d’altronde, non giustificano molto l’investimento in produzioni di eccellenza: al massimo, si propongono a nastro repliche di ciò che è andato in onda durante il giorno. Nel frattempo, sarebbe bello capire a che punto è l’applicazione delle disposizioni dell’Authority sulle reti minori.

La palma di stanotte, ad esempio, va a Mondo Cane, uno dei film più strani della storia del cinema. “Film”, di per sé, è riduttivo: si tratta da un lato di un documentario, dall’altro di un inquietante collage di scene artefatte vogliose di documentare realtà esasperate; il tutto, comunque, condito da una bella colonna sonora di Riz Ortolani. Mondo Cane fu il capostipite del filone “mondo movie“, che dal primo presero soprattutto lo spirito prosaico e perverso, fino al filone (a dir poco) erotico di Joe D’Amato e Russ Meyer.

Più dei suoi epigoni (si andò avanti per 25 anni, a partire da inizio anni Sessanta e fino alla fine degli Ottanta), Mondo Cane lasciava intendere qual era e qual è lo spirito europeo dei nostri tempi nei confronti dei contenuti multimediali. Non si tratta della spettacolarizzazione ludica hollywoodiana: dalle nostre parti lo spirito critico si è trasformato in ludibrio investigativo, la voglia di conoscenza in desiderio di emozioni forti. A volte si ha la sensazione che alcuni rimpiangano la mancanza di uno snuff movie rispetto agli eventi di Cogne o Erba.

Che questo approccio sia spavaldo durante l’adolescenza e voyeuristico negli anni successivi, sta nella natura delle cose; tuttavia, la crescita esponenziale dell’attenzione che i media prestano a bullismo ed altri fenomeni gravi nella scuola secondaria sicuramente sollazza gli appassionati del genere, ma ha ormai innestato un fenomeno di emulazione inarrestabile. Finire sull’home page di Repubblica.it, che sistematicamente ogni giorno pubblica una notizia a tema, è una medaglia che vale probabilmente più di un buon voto. E se Repubblica.it continua a dar credito a queste notizie, è perché si tratta di irresistibili attira-traffico.

Beyoncé, we love you

La copertina con Beyonché di Sports IllustratedL’uscita annuale di Sport Illustrated dedicato alla moda da spiaggia è un piccolo evento che ogni anno segna il polso della cultura pop statunitense ed occidentale in genere: il fatto che la sua copertina per la prima volta nella storia quest’anno non presenti le solite modelle o sportive dai corpi torniti ma una bella cantante dalla pelle ambrata è di per sé una notizia. Ad occhi chiusi, chi è un po’ avvezzo alle cose di mondo, può indovinare di chi si tratti: ovviamente di Beyoncé Giselle Knowles, per gli amici Beyoncé, per i fan la donna più bella degli Stati Uniti, anzi del mondo.

Ad essere precisi, appena qualche giorno fa i lettori di AskMen.com l’avevano etichettata “fidanzata ideale”, preferendola ad un altro centinaio di belle protagoniste dello show business. Nelle stesse ore, la cantante-attrice dal fisico mozzafiato e dalla simpatia irresistibile, stava come al solito mietendo vittime ai Grammy Awards. Appena pochi giorni prima, era stata protagonista ai Golden Globe con lo staff di DreamGirls, tanto per coronare il suo dominio ormai incontrastato sul mondo dello spettacolo al femminile. Da tempo d’altra parte non si vedeva un’artista così completa. Anzi, è difficile farsene venire altre in mente.

Quale altra cantante, d’altra parte, negli ultimi decenni è riuscita a portare al successo globale il proprio gruppo, avere un successo straordinario come solista ed essere emersa come ottima attrice in ruoli e film molto diversi, da La pantera rosa al succitato DreamGirls? Tutto ciò, tra l’altro, ad appena 25 anni. Tutto ciò imponendosi come personaggio talmente popolare da far venire voglia di lavorare quasi gratis con lei: ciò che Beyoncé tocca diventa oro, visto che il suo pubblico è ormai così eterogeneo da garantirle popolarità ad oltranza, indipendentemente dai singoli prodotti culturali che produce.

La descrizione del suo successo, si noti, ricorda molto da vicino quanto già descritto qualche mese fa su queste pagine: si parlava di un dossier del Financial Times sul più noto (e ricco) cantante hip hop del mondo. Chi? Jay-Z, ovviamente. Colui che, nemmeno a dirlo, è l’attuale fidanzato di Beyoncé. Il circolo si chiude: la coppia d’oro è sulla breccia dell’onda e lo sarà ancora a lungo. Apparentemente per il loro essere così glamour; nella realtà, per aver capito prima e più di tutti gli altri i meccanismi del successo e gli ingredienti del gran circo dei media: onore al merito, complimenti per l’intelligenza.

L’apocalisse truculenta del cinema mondiale

Una scena tratta da ApocalyptoChi l’avrebbe mai detto, mentre si dimenava nel ruolo di bello di turno in melense commedie romantiche, che Mel Columcille (?) Gerard Gibson, per gli amici Mel Gibson, sarebbe stato l’inventore di un nuovo genere cinematografico? Soprattutto, era difficile immaginare che con La Passione di Cristo prima e Apocalypto poi, l'(ex)attore mascellone potesse voler dare vita alla moda dell'”apocalisse truculenta”, un mix di sangue, lingue astruse, religioni e credenze popolari. La moda, per ora, non è seguitissima: un film in aramaico – maya – eschimese ogni due anni prodotto e diretto dal nostro basta ed avanza. Eppure, non mancheranno i proseliti.

I successori di Gibson potranno infatti contare su un pubblico sorprendentemente attento ed interessato a qusto tipo di polpettoni: dall’anziano deportato alla proiezione collettiva degli ultimi giorni di Cristo ai ragazzini trascinati dai genitori alla ricostruzione “storica” degli ultimi giorni della civiltà sudamericana, i “convertiti” al nuovo verbo cinematografico sono decisamente di più all’uscita dal cinema che all’entrata. In fin dei conti i film truculenti piacciono, se riescono a muovere gli animi e magari suscitare un po’ di lacrime sostanziate da ideologie sufficientemente diffuse.

Il “simpaticissssimo” Gibson, d’altra parte, è molto furbo: fa un film per i cristiani più intransigenti e non si dimentica di chiamare a recitare attori delle nazioni più cattoliche del mondo; parla delle antiche cività Americane e dimostra che in fin dei conti si sono auto-sterminate, con buona pace degli attuali abitanti. I detrattori del suo ultimo film come Maria Rita Parsi, riconoscono l’uso furbesco anche delle tecniche di regia: secondo la psicologa Apocalypto «andrebbe vietato almeno ai minori di 16 anni, tanto più perché girato con le caratteristiche e la tempistica del videogioco e quindi confezionato a uso e consumo dei ragazzi».

Proprio il dibattito sulla mancata censura italiana del film ha avviato un ampio confronto pubblico sulla sua violenza gratuita e soprattutto è stato il volano pubblicitario che nemmeno il più grande dei budget promozionali cinematografici italiani potrebbe permettersi. In queste ore tutti gli italiani hanno appreso dell’esistenza del nuovo film di Gibson, si sono fatti un’idea del contenuto e delle forme ed hanno deciso se andare o meno a vederlo. Ancora una volta Mr. Columcille ce l’ha fatta: nel bene e nel male, ha tirato fuori dal cappello un altro evento culturale e questo va molto al di là del puro film.

A volte viene persino voglia di interagire con la pubblicità

Il product placement cinematografico non ha mai avuto molto appeal sugli spettatori europei: spesso rozzo, poco curato, troppo evidente e poco attinente alla trama del film. Al contrario, la sua versione moderna applicata ai videogiochi, l’in-game advertising, sembra piacere molto: i videogiocatori più accaniti vogliono vivere esperienze sempre più realistiche ed è innegabile che la pubblicità faccia parte della nostra vita quotidiana. Giocare a calcio in un campo circondato da cartelloni pubblicitari reali aiuta probabilmente a sentirsi ancora più al centro di un’esperienza realistica.

Non è perciò difficile immaginare il crescente interesse da parte degli investitori pubblicitari: si riesce ad entrare in contatto con occhi interessati in momenti emozionalmente positivi, incidendo non solo sull’arricchimento degli ambienti, ma potendo anche offrire ai propri prospect gingilli virtuali che li aiutino nelle loro avventure digitali, ad esempio cibo energetico sponsorizzato o abbigliamento speciale marchiato. A livello di business, l’effetto immediato della crescita dell’interesse collettivo verso il fenomeno è testimoniata dall’ondata di concentrazioni vista nel settore delle agenzie che vendono gli spazi pubblicitari nei nuovi media.

Il caso più emblematico è quello di Massive, azienda leader di mercato recentemente acquisita da Microsoft, con prospettive di integrazione con le piattaforme pubblicitarie di Microsoft Live! decisamente interessanti, compresa quella con AdCenter e con il Messenger. Anche gli attori più tradizionali del mercato pubblicitario come Nielsen cercano di ritagliarsi la propria torta, ad esempio facendo il tracking delle campagne, utilizzando strumenti tradizionali come il People Meter: peccato che è proprio il desiderio spasmodico di misurare le performance che trasforma la pura presenza “creativa” (ed apprezzata) dei brand più noti in tecniche intrusive affatto amate dai giocatori.

Occorre dunque stare attenti alle regole chiave che i media buyer più intelligenti hanno già individuato ed i produttori hanno applicato: di fatto, si tratta di garantire una visibilità seamless al marchio, che diventa una chiave per migliorare la propria esperienza virtuale e non l’ennesimo assillo come avviene per la pubblicità tradizionale. I più creativi e smart verranno premiati: si tratta di un nuovo mondo per la pubblicità in un mercato che sta crescendo da tutti i punti di vista e che raggiunge target di consumatori interessantissimi. Si tratta di un nuovo Eldorado, altro che televisione interattiva…

Io voglio il DVD, tu vuoi il film

Giacciono indisturbati sui loro espositori i DVD “usa e getta” che 01 Distribution ha annunciato qualche settimana fa: il filo di polvere che li ricopre nel punto vendita di MediaWorld dentro l’OrioCenter (per la cronaca, il centro commerciale più grande di Italia) è probabilmente colpa del cartello bianco scritto col PC che evidenzia la durata massima di 48 ore. Sorge il dubbio che sia stato messo lì dopo le proteste di chi, attratto dal prezzo inferiore a 10 Euro, avesse pensato di fare un affarone nel comprare La febbre o The Aviator, seppure in un’orripilante confezione cartacea (anch’essa) usa e getta.

In apparenza, si tratta di un’idea realizzata con troppa rapidità rispetto alle esigenze del mercato: è come se una volta scoperta la disponibilità dei DVD degradabili francesi, si fosse voluto a tutti i costi riempirli con contenuti ritenuti interessanti per il pubblico europeo. A leggere le dichiarazioni del manager che ha lanciato l’iniziativa, i problemi sembrano derivare da una cattiva analisi del target: sicuramente non i grandi cinefili, che probabilmente saranno poco sensibili al tema prezzo pur di avere un prodotto di qualità e comunque saranno già abbonati a Sky Cinema, ma nemmeno coloro che non hanno voglia di riportare il DVD al punto vendita in cui l’hanno preso. Per costoro, interessati solamente a passare una serata senza TV, persino il cestone pieno di film a 2,90 Euro posto di fronte ai DVD monouso presenta idee carine.

Non è l’unica idea distributiva di questo 2006 e non sarà l’ultima: viene dopo i squilli di trombe relativi allo streaming messo a disposizione dalle major di oltreoceano a prezzi non proprio popolari (ed errati) e si confronta sul mercato italiano con l’iniziativa di Alex Infascelli, che ha distribuito il suo nuovo H2Odio solamente in edicola ed in download dai siti del Gruppo L’Espresso. Tanti piccoli tentativi di ribaltare la logica attuale di distribuzione cinematografica, soprattutto per quanto riguarda le modalità di godimento delle prime visioni.

Che il P2P faccia paura non è una novità e può essere ritenuto più o meno giusto, più o meno saggio combatterlo e non affrontarlo a viso aperto: al momento, però, produttori e distributori brancolano nel buio. Si continuano a cercare i colpacci da prima visione e si dimentica il valore della coda, si cerca di spremere pochi limoni costosi e si ragiona sempre sullo strumento di trasmissione, raramente sul contenuto. I collezionisti di DVD si accaparreranno qualsiasi cosa appaia nei cesti, ma chi è convinto che un ben determinato film gli abbia cambiato la vita, sarà disposto ad acquisire qualsiasi briciola multimediale che lo ricordi, al di là del supporto. Fin quando continueremo a confondere i due target, continueremo a produrre mostri. Degradabili.

Il trade off dei media commerciali è vecchio ma molto attuale

Sgomitando tra i mille film che affollano le sale cinematografiche in autunno, Good Night, and Good Luck si distingue per un’ottima gestione della fotografia e del montaggio. Peccato per la sceneggiatura poco curata, che tuttavia riesce a comunicare bene al pubblico europeo, che di questo film tanto ha sentito parlare a Venezia, l’importanza di rileggere il passato come insegnamento per il futuro dei media.

L’affascinante mondo delle redazioni CBS degli anni Sessanta diviene, infatti, metafora efficace per rappresentare quell’inquietante trade off che nell’ultimo secolo ha accompagnato il progressivo sviluppo commerciale della stampa, della radio, della televisione ed infine del Web. Quanto possono essere liberi gli editori, i giornalisti, i produttori, i registi la cui busta paga dipende dal produrre contenuti interessanti da vendere agli sponsor invece che ai lettori / spettatori / ascoltatori? Quanto possono spingersi nello schierarsi, nel denunziare, nel gridare la verità, consci che gli investitori preferiranno dei tranquillizzanti contenuti di intrattenimento a dei pedanti programmi di approfondimento?

L’Europa dei giorni nostri è lontana anni luce dagli anni del Maccartismo, ma vive quotidianamente i drammatici dubbi di Edward Murrow e dei suoi compagni: lo fa non solo nel panorama televisivo, in cui i player maggiori sono legati a poche famiglie onnivore e spesso invischiate col potere politico, ma anche sui mezzi più moderni. Il Web europeo in particolare, vive nella consueta mancanza di business model vincenti, che garantiscano a siti anche di grande rilevanza un futuro indipendente. E su un mezzo in cui pubblicità e contenuti sono ancora più miscelati rispetto a tutti gli altri, ciò può destare più di qualche preoccupazione.

Saranno sempre più notti insonni, quelle che i giornalisti più professionali ed i loro “clienti” più sensibili vivranno nei prossimi mesi di ormai consueta crisi economica, politica e sociale. Il pericolo di una nuova caccia alle streghe è sempre valido ed alcuni proclami guerrafondai degli ultimi anni sembrano essere andati in questo senso. C’è bisogno di tanta deontologia da una parte e di tanta disponibilità all’ascolto dall’altra. Good Night, and Good Luck.

La cenerentola del cinema mondiale

Chi in questi giorni ha distrattamente seguito le vicende del Festival di Venezia ha avuto un assaggio di quello che è disponibile nei cinema italiani: da una parte, ad esempio, il candidabile all’Oscar Cinderella Man, dall’altro La bestia dentro o I giorni dell’abbandono, come al solito lanciati in veste possibili successoni internazionali e realisticamente rilegati ad un ambito più che nostrano. Da una parte i filmoni hollywoodiani, dall’altro il cinema presuntuosamente drammatico di matrice europea, anzi italiana.

Cinderella Man, di fatto, è stato studiato a tavolino per essere un blockbuster: com’era avvenuto per Titanic, si parte da una storia vera per imbastire un fitto intreccio di amori, storia comuni e disperazioni universali. I film italiani, al contrario, vorrebbero intercettare un pubblico più elitario, con temi forti come la dissoluzione della vita di coppia e la violenza familiare. Nel primo caso, si sta male per i pugni che volano sul viso di Russel Crowe, negli altri per i visi diafani di Margherita Buy e Giovanna Mezzogiorno.

Il cinema è bello perché è vario ed ovviamente sui nostri schermi in questi giorni si possono anche ammirare commediole demenziali e cartoni animati. Ma se non si vuole scendere nel triviale, non sembra necessario sorbirsi ore di disperazioni italiche per emozionarsi. Altro che la grandeur del cinema francese: quello italiano continua a dimenarsi con fatica nel panorama internazionale, aspettando il prossimo Tornatore di turno che, imparata la lezione dai kolossal di Oltreoceano, possa smuovere i tiepidi animi dell’Academy.

Ormai persino i festival più pretenziosi, come quello di Cannes, riservano un’accoglienza contrastante a mattoni impossibili come Le conseguenza dell’amore e gli analoghi “capolavori” italici. Nessuno pretende di dover fare nuovi cinemiparadiso e nuovi mediterranei a palla: ma sarebbe bello che ogni tanto il cinema italiano si impegnasse a smuovere un po’ gli animi del pubblico oltre che ad accarezzare i cervelli dei critici. Abbiamo ottime strutture ed ottimi professionisti: speriamo di poter proporre anche ottime produzioni, oltre ad ottimi esercizi stilistici.